Intervista ad Adelisa Selimbasic. La pittrice che esalta i difetti
Donne femminili ma non oggettivate, corpi imperfetti però fieri e sensuali. Adelisa Selimbasic è una giovane artista italo-bosniaca che sta vivendo un periodo di residenza d’artista a New York. Ci ha raccontato la sua storia
Adelisa Selimbasic (Karlsruhe, 1996) è un’artista emergente italo-bosniaca che si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nonostante la giovane età ha lavorato a diverse mostre, tra cui la prima organizzata nel 2020 dalla galleria IPERCUBO a Milano. Un pennello valido e uno sguardo fresco e attuale l’hanno portata a vincere la residenza d’artista organizzata dalla Fridman Gallery di New York per il 2023, dove attualmente si trova. Selimbasic è precisa e costante, e vuole raccontare il corpo sottolineando una parola chiave: accettazione.
Quando è nata Adelisa Selimbasic come artista?
A tredici anni, quando ho realizzato il mio primo quadro. Si trattava di un’interpretazione dell’opera In the Meadow (1888) di Renoir. Da quel momento ho capito di voler fare l’artista. Peraltro proprio in questi giorni ho visto il quadro In the Meadow per la prima volta al Metropolitan Museum di New York. Per me è stato una piccola conferma del fatto che sto facendo i passi giusti.
Qual è stata la tua prima mostra?
Nello studio di un avvocato per un concorso. Ma la prima vera mostra per me rimane la personale Non ci incontreremo mai così giovani, organizzata nel 2020 da galleria IPERCUBO e curata da Luca Zuccala presso lo spazio STATE_OF di Milano. È stata un’esperienza unica che ricorderò per sempre.
E poi ce ne sono state molte altre…
Tra le più recenti c’è Frammenti da lontano, curata da Giuliana Benassi, presso galleria Mazzoli di Modena, mostra nata dopo la mia incredibile esperienza a Roma ospitata da EXPOSTEX, che ormai per me è come una famiglia. Poi ho partecipato a Un segreto per pochi-Sapersi riconoscere dentro un ritratto presso ArchiVitali a Bellano sempre nel 2023. E nel 2022 ho partecipato a Fu desiderio che infine prende forma in un corpo, in dialogo con l’artista Sara Lo Russo, curata da Laura Rositani presso Spazio Adiacenze a Bologna. Insomma è stato un anno intenso.
Qual è il tuo rapporto con la pittura?
Il piacere che si prova nell’atto di creare e di dare forma a un’idea è indescrivibile. Per me, la pittura è una collaborazione tra quello che vedo e osservo ed il mio interesse e l’apertura che ho nel realizzarlo.
Come ti sei sentita quando hai scoperto la te pittrice?
Direi che l’ho vissuta come una rinascita, una nuova consapevolezza e senza dubbio una presa di posizione nel mondo.
Raccontaci meglio la tua pratica artistica.
Sono incuriosita dal comportamento umano, da come una persona decida di posare, vestire e performare e di come le altre persone interpreteranno questo comportamento. Osservo i complessi umani e studio come le persone percepiscono se stesse e l’altro, cosa accettano e cosa rinnegano, e soprattutto il perché. Creo un mondo privo di disagio e di senso di inadeguatezza che invece caratterizza la nostra società contemporanea. Il mio lavoro non ha una risposta, ma delle possibilità percettive e dei suggerimenti che aprono il lavoro a molteplici narrazioni. Vi è una sospensione temporale: non si capisce se il momento rappresentato è una causa o una conseguenza di un’azione.
Qual è la tua modalità di lavoro? Sei veloce o lenta e riflessiva?
Lavoro in modo istintivo e ossessivo. In base alle necessità della mia ricerca la mia modalità si velocizza, rallenta o diventa più riflessiva.
Da dove nascono i tuoi lavori? Cosa suscita la tua curiosità?
Le esperienze di vita influenzano il mio lavoro in modo costante. Per me è fondamentale l’ascolto: mi permette di uscire dal mio io e di trovare punti di connessione con l’altro. Il lavoro in questo modo non è solo mio, ma di tutti.
I corpi che disegni sono sempre femminili, e spesso la loro identità è celata…
Sì, rappresento corpi autentici che non seguono un ideale estetico. I volti sono spesso vaghi o assenti perché in questo modo il lavoro è aperto e ciascuno ci si può riconoscere. All’interno delle mie opere cerco di dare una percezione del corpo non convenzionale: un corpo normale, con cellulite, smagliature, fianchi larghi e cicatrici. Insomma un corpo autentico e vivo.
Ora sei a New York. Dove lavori? Hai uno spazio-studio?
Ora lavoro in uno studio a Beacon, una città dell’Hudson Valley, un po’ fuori New York. Beacon ha una presenza di studi d’artista notevole, dettata dal costo alto della vita di New York.
Prima eri a Milano…
Si, a Milano ho lavorato in uno studio insieme ad altri ragazzi: Lucia Cristiani, Francesco Pacelli, Edoardo Manzoni, Lorenzo Lunghi e Mattia Pastore. Lo studio si trova in zona Cimiano, e quando rientrerò in Italia tornerò a lavorare lì.
Il mondo dell’arte ti spaventa?
Mi spaventa l’accelerazione che sta prendendo.
Che progetti hai per il futuro?
Ho varie mostre già in programma nel 2023 e 2024, tra cui la mia prima mostra a New York presso Fridman gallery, che inaugurerà il 21 giugno. Parteciperò anche ad altre residenze; sto già pianificando un prossimo spostamento di qualche mese nel 2024. Preferisco non rivelare il nome della città semplicemente perché è ancora un work in progress, però l’idea è sicuramente quella di non fermarsi, anzi! Poi ci sarà un progetto con lo studio a Milano. Inoltre, durante la mia permanenza a NY è nata l’idea di un progetto per artiste donne e madri con la curatrice e dealer Delfina Pattacini.
Domanda di rito: sogno nel cassetto?
Essere un punto di riferimento.
Gloria Vergani
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