Futuro Antico. Intervista a Fosbury Architecture
Curatore del Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2023, Fosbury Architecture guarda al domani puntando sulle pratiche collettive, come esplicitato dal progetto per la kermesse veneziana
Fosbury Architecture (FA) è un collettivo fondato nel 2013 a Milano da Giacomo Ardesio (1987), Alessandro Bonizzoni (1988), Nicola Campri (1989), Claudia Mainardi (1987) e Veronica Caprino (1988). FA interpreta l’architettura come strumento in grado di mediare tra istanze collettive e individuali, espandendo i confini della disciplina e ripensandone i processi produttivi in vista delle sfide più attuali.
Quali sono i vostri riferimenti ispirazionali nell’arte?
Fosbury Architecture è una pratica collettiva nata quando eravamo ancora tra le aule universitarie o appena laureati. Siamo un gruppo con interessi e aspirazioni differenti e in questi anni la condivisione di riferimenti e idee, eroi e nemici, guilty pleasure e idiosincrasie ci è servita a plasmare quella cosmogonia privata da cui attingiamo per ciascun progetto che facciamo insieme. Non abbiamo riferimenti precisi e siamo decisamente onnivori: più che un pantheon, è un immaginario in evoluzione che ci segue senza perseguitarci.
Tempo fa ci è stato chiesto per la pubblicazione Collective Processes: Counterpractices in European Architecture di identificare le nostre fonti di ispirazione. Ne è uscita una lunghissima lista – strumento che usiamo spesso –, che andava da Ettore Sottsass al Gabibbo. Tra gli artisti che avevamo citato c’erano Ellsworth Kelly, Marcel Broodthaers, Harry Everett Smith, Haim Steinbach, George Maciunas, Tim Eitel, Sol LeWitt, Frida Kahlo, Michael Heizer, Geoffrey Farmer, Nigel Van Wieck, Gianfranco Baruchello, Walter De Maria, Marina Abramović, Paola Pivi, Rachel Whiteread, Robert Smithson, Rirkrit Tiravanija, Simon Evans, Varvara Stepanova e Joseph Beuys, ma di sicuro se ce lo richiedessero oggi ne metteremmo degli altri.
Qual è il progetto che vi rappresenta di più? Potete raccontarci la sua genesi?
Sicuramente Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri, il progetto per il Padiglione Italia alla 18° Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, che rappresenta il punto di arrivo del lavoro fatto insieme negli ultimi dieci anni e che abbiamo sfruttato come una occasione per dare spazio a una nuova generazione di professionisti che tenta quotidianamente di espandere i confini della disciplina promuovendo una rinnovata idea di architettura che non vede il manufatto costruito come un fine ultimo, ma come strumento per intervenire in quel tessuto di relazioni tra comunità e luoghi che è alla base di ogni progetto.
La genesi del progetto è stata molto divertente. Abbiamo ricevuto una email da parte di un indirizzo che non conoscevamo, ma che sembrava avere una relazione con il Ministero della Cultura. Naturalmente l’abbiamo ignorata per più di un giorno per poi scoprire che si trattava dell’invito al concorso per il Padiglione Italia. Dopo aver pensato addirittura di non partecipare, perché i concorsi portano via moltissime energie e l’esito dipende da moltissime variabili, ci siamo ritrovati a discuterne. Quella stessa sera abbiamo identificato il tema curatoriale, il titolo, il formato di mostra e la maggior parte dei partecipanti. Dal giorno dopo ci siamo messi subito al lavoro.
Che importanza ha per voi il Genius Loci all’interno del vostro lavoro?
In questi ultimi mesi abbiamo attraversato l’Italia in lungo e in largo per scoprire territori fragili ma bellissimi dove, dalla collaborazione tra practitioner, advisor provenienti da altre discipline creative e attori locali, sono stati avviati nove progetti nel solco del Padiglione Italia 2023. Sono luoghi rappresentativi e simbolici, e la loro identificazione è dovuta proprio a quei caratteri distintivi che Norberg-Schulz definirebbe Genius Loci. La narrativa di un luogo è però qualcosa da rispettare ma anche da interrogare per immaginare un futuro diverso.
Il progetto di Ripa Teatina affronta il tema delle opere pubbliche incompiute – che abbiamo scoperto grazie al lavoro di Alterazioni Video con cui abbiamo pubblicato INCOMPIUTO. La nascita di uno Stile – e ci è particolarmente caro proprio perché lavora sulla risignificazione dei luoghi. Un ospedale non finito, considerato dai cittadini e dalla stampa come un ecomostro, è restituito alla comunità locale attraverso un progetto di paesaggio concepito dalla collaborazione tra il collettivo HPO e la scrittrice Claudia Durastanti. Si chiamerà Parco dell’Uccellaccio e tornerà a essere uno spazio pubblico per gli abitanti e un’attrazione per i visitatori.
PASSATO E FUTURO SECONDO FOSBURY ARCHITECTURE
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credete che il futuro possa avere un cuore antico?
In una disciplina come l’architettura, il rapporto con il passato è un tema centrale, spesso controverso. Quest’anno è venuto a mancare Paolo Portoghesi, direttore nel 1980 della prima Biennale di Architettura intitolata La Presenza del Passato, storica celebrazione del post-moderno, mentre la Biennale 2023 curata da Lesley Lokko ha come tema Il Laboratorio del Futuro e mira a integrare la storia dell’architettura con nuove voci soprattutto africane, ritenendola incompleta ed esclusiva.
Non ci siamo mai sentiti di dover fare la storia, ma con la nostra pratica spesso ci siamo trovati a osservare il passato per comprendere il contemporaneo, immaginando qualche volta anche degli scenari futuri. Quando nel 2017, in occasione di Make New History, seconda biennale di Chicago, abbiamo utilizzato lo studiolo rinascimentale – luogo di autorappresentazione per eccellenza – per visualizzare lo spazio domestico di una giovanissima vlogger all’interno di un hub per creator digitali, non avremmo mai immaginato che questo fenomeno sarebbe diventato realtà qualche anno dopo con progetti come DefHouse, hub milanese di formazione per TikToker progettato in stile Memphis.
Quali consigli dareste a un giovane che voglia intraprendere la vostra strada?
A quanto pare per la maggior parte della stampa i giovani siamo noi. In Italia si è considerati giovani architetti ben oltre i quaranta, mentre nel resto d’Europa non è così.
Alla generazione successiva ci sentiamo di consigliare di prendere atto delle innumerevoli difficoltà del lavoro creativo in un contesto di crisi permanente, perché l’architettura non è solo portatrice di soluzione ma anche parte del problema, e di non aver paura di fare compromessi perché la costanza alla lunga paga. In diversi momenti abbiamo pensato di chiudere Fosbury Architecture, ma questo progetto collettivo si è dimostrato più forte delle volontà e delle contingenze dei singoli membri.
In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Come molti altri ben più autorevoli progettisti, ci siamo interrogati a lungo sull’importanza del rituale come forma di appropriazione e occupazione dello spazio. Per quanto architettura e design siano giustamente chiamati a rispondere a esigenze più o meno specifiche e tradurle in forma, è sempre presente una dimensione che ha a che fare con il desiderio, la memoria e l’immaginazione.
Come immaginate il futuro? Sapreste darci tre idee che secondo voi guideranno i prossimi anni?
Nel mezzo di una crisi ambientale, geopolitica ed economica non è semplice immaginare il futuro, anche se è proprio nei momenti di difficoltà che avvengono i cambi di paradigma. Più che indicare idee che guideranno i prossimi anni, possiamo auspicare il recupero della dimensione collettiva, un uso più cosciente delle risorse e l’alleanza tra diversi tipi di conoscenza.
Marco Bassan
https://fosburyarchitecture.com/
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