La Venere incendiata? Un unicum nella storia dell’arte. Intervista a Vincenzo Trione
A quasi un mese di distanza dall’incendio che ha polverizzato la Venere napoletana di Michelangelo Pistoletto, torniamo sul tema col curatore che quell’opera l’ha voluta in Piazza Municipio
È passato quasi un mese dall’incendio che ha distrutto la Venere degli stracci di Pistoletto, in Piazza Municipio. Ma le polemiche non sembrano destinate a scemare. C’è chi critica le dimensioni mastodontiche ed eccessive dell’opera, e chi invece s’interroga sulla sua ricezione, ipotizzando una ribellione popolare contro un progetto mal digerito. Sciocchezze, secondo Vincenzo Trione, consigliere del sindaco di Napoli per l’arte contemporanea (e curatore del progetto diffuso Napoli Contemporanea), che qui abbiamo intervistato: la scultura era già stata accolta e ampiamente fotografata. Quando il gesto di un balordo, in preda a una “sindrome di Stendhal al contrario”, ha distrutto tutto. O quasi, visto il crowdfunding avviato per ricostruirla.
Intervista a Vincenzo Trione
Hai fatto tanto per preparare questa stagione d’arte estiva e poi l’opera più rappresentativa del palinsesto è andata in fumo in un attimo. Come ti hanno avvisato dell’incidente?
Quel giorno mi trovavo a Napoli, ed ero in partenza per Roma. Verso le 7 del mattino un mio amico del Comune mi ha mandato i video dell’accaduto. Il caso ha voluto che mi siano arrivati mentre ero in taxi, all’angolo di via Medina (a 300 metri da piazza Municipio). Una piccola deviazione, e sono giunto subito sul luogo.
Cosa hai pensato lì per lì?
All’inizio ho esitato, quasi timoroso di vedere quel relitto abbandonato sulla piazza.
Poi, un misto di sentimenti diversi: incredulità, stupore, incapacità di pronunciare giudizi. C’è stato tutto un giro di telefonate col sindaco, con i vertici del Comune, con i giornalisti… Un tam tam enorme.
E Pistoletto che ti ha detto? Vi sarete sentiti…
Ho aspettato fino a metà mattina per parlare con Michelangelo. Poi l’ho chiamato. Mi ha sorpreso la sua reazione di straordinario equilibrio e misura. Aveva messo in conto che sarebbe potuto accadere “qualcosa”. È poi accaduto l’inimmaginabile, certo, ma già aveva ipotizzato qualche gesto di microvandalismo. Uno straccio portato via, un cuoricino disegnato sulla natica della Venere… Ma nessuno avrebbe potuto prevedere una cosa del genere.
Da parte mia, ero rimasto colpito, a opera inaugurata, di quante persone le si fermassero attorno. Molti erano i giovani in posa, per scattarsi una foto con lei. Era diventata una delle opere più postate su Instagram. Si stava pensando a un contest per raccogliere tutte le immagini dei social.
Napoli e la Venere degli stracci
Mi sembra di capire che la reazione del pubblico e dei cittadini fosse stata positiva. Hai detto che c’era molta gente interessata a fotografarla. Era per tutti così?
È un’opera talmente imponente e forte, che naturalmente doveva essere anche divisiva. C’è stato chi l’ha amata fin da subito. Soprattutto le persone che non conoscevano nulla di Pistoletto: persone umili, del popolo. Accanto a questi, ci sono stati altrettanti detrattori ostili. Ma fa parte del gioco: l’idea iniziale era che potesse scatenare pensieri e reazioni in parte anche conflittuali. L’arte raggiunge il suo obiettivo se non lascia indifferenti. Il fatto che abbia determinato giudizi continui, anche ora, dopo il rogo, la rende un unicum nella storia dell’arte di questi anni. Non c’è nulla di recente che io ricordi che abbia suscitato tali polemiche su tutti i giornali del mondo per più di venti giorni.
Un parallelismo passato con questo evento?
L’unica immagine che mi viene in mente è quella dei Buddha di Bamiyan, distrutti dai Talebani su sollecitazione di Osama Bin Laden. Analoga sì, ma nella circostanza della Venere non c’era nessuna componente politica o mistico-religiosa. Le intenzioni erano diverse.
Alcune voci critiche l’hanno definita “fuori scala e troppo monumentale”. Che cosa rispondi?
Per tutti coloro che hanno sollevato queste critiche, ho una risposta semplice: è un’opera che tiene conto delrapporto con le misure della piazza. Pistoletto l’ha pensata alla luce dell’architettura metafisica di Alvaro Siza, che riscopre il proprio senso quando accoglie qualcosa di straniante come la Venere.
Un’obiezione che ho sentito è quella sul rapporto tra gli stracci e la Venere. Interpretare gli stracci come elementi singoli è un errore ingenuo, sono un’unità: tante diversità confluite in una forma sola. L’opera accosta due elementi: la Venere e gli stracci. È un dialogo tra due forme che non hanno apparentemente un nesso: bellezza e anonimato, armonia e dissonanza, sublime e miseria.
Davvero dobbiamo considerare per forza totalmente negativo un esito come questo?
È un azzardo che entrerà nei libri di storia dell’arte. Quel che viene fuori da tutto il dibattito mediatico è che quest’opera aveva un senso profondo per Napoli.
“L’arte pubblica è un inciampo visivo in una passeggiata urbana. Invita a una sosta, a una riflessione. Apre uno squarcio che ci porta altrove. Deve alimentare domande e porre problemi.”
Napoli e l’arte pubblica
Trovo si sia fatta un po’ di facile retorica su Napoli e i napoletani, sulla mancanza di rispetto, sulla scarsa maturità. Napoli ha sempre dimostrato un rispetto assoluto per le sue opere di arte pubblica, pensiamo alla metropolitana. E infatti non è stata “Napoli” ad aver vandalizzato l’opera, ma un povero balordo…
Credo sia davvero stato l’atto di un singolo con seri problemi psicologici, come inpreda a una sindrome di Stendhal al contrario. È il commento che mi ha fatto Mimmo Paladino, e mi sembra esprima bene il caso.
Napoli ha un’enorme familiarità con l’arte pubblica dal Secondo Novecento, concretizzata in due eventi di rilievo. Piazza Plebiscito, innanzitutto, che a partire proprio da Paladino ha portato grandi artisti internazionali a realizzare opere site-specific. Anche in quel caso ci furono atti vandalici: ricordo La Spirale di Richard Serra, trasformata quasi in un vespasiano, e le Capuzzelle di Rebecca Horn, in parte portate via.
L’altro evento è la Metropolitana, le cui stazioni sono sempre state rispettate e salvaguardate. Napoli (con qualche eccezione come durante i festeggiamenti per lo Scudetto) non è una città aggressiva da questo punto di vista. Ha una grande attenzione nei confronti del proprio patrimonio. Credo che anche in questo caso l’avrebbe dimostrata… Finché non è accaduto l’impensabile.
Alla luce di ciò, che ruolo dai all’arte pubblica?
Un inciampo visivo in una passeggiata urbana. Invita a una sosta, a una riflessione. Apre uno squarcio che ci porta altrove, persino a prendere una posizione critica e negativa. L’arte pubblica deve alimentare domande, porre problemi. Se ci riesce, e se lo fa senza parlare esclusivamente a quella cerchia elitaria dell’art world, allora lo è davvero.
L’arte pubblica odierna è una declinazione dell’opera aperta di Umberto Eco. Continua a vivere anche attraverso i dispositivi tecnologici che la documentano e la condividono. Vista così, la Venere napoletana è un’opera aperta, tanto prima, quanto dopo la distruzione.
Ovvio che nessuno auspichi il vandalismo e il degrado, ma potremmo sforzarci anche di vedere la parte performativa di un rogo? A pensarci bene questa scultura scomparsa nelle fiamme non ce la dimenticheremo mai…
Ho scritto recentemente un pezzo sul sublime intenzionale, in cui ho citato il caso della Venere. Come disse il musicista Stockhausen davanti all’attentato alle Torri Gemelle: “Il fuoco è il la più grande opera d’arte contemporanea”. C’è sì una dimensione spettacolare, ma non bisogna cadere nell’estetizzazione. Questo gesto va stigmatizzato. Ho provato irritazione a leggere di chi inneggiava all’incendio come fosse una ribellione popolare per un’opera non riuscita. Sono affermazioni gravi e pericolose, che rischiano di legittimare ulteriori atti vandalici. La reazione corretta è sottolineare l’inaccettabilità dell’accaduto.
“L’idea iniziale era che l’opera potesse scatenare pensieri e reazioni in parte anche conflittuali. L’arte raggiunge il suo obiettivo se non lascia indifferenti.”
Napoli Contemporanea, il crowdfunding, la programmazione estiva
E ora si parte con un crowdfunding civico. Raccontaci come sarà.
Il punto più importante è che non è un crowdfunding promosso dal Comune di Napoli, ma solo patrocinato. È partito dal basso: da persone e imprenditori di ogni estrazione sociale, che si sono radunati per far risorgere l’opera. È una sorta di azionariato popolare promosso dall’associazione L’Altra Napoli. Se si raccoglierà tutta la cifra (circa 120 mila euro, ossia solo i costi vivi di produzione e installazione) l’opera verrà ricostruita, e poi donata alla città.
E il resto della programmazione estiva? Come sta andando?
Abbiamo inaugurato a giugno l’installazione di Antonio Marras, che ha trasformato duecento camice da notte in lanterne appese per due strade del centro storico. Penso che racconti a pieno la filosofia di Napoli Contemporanea: utilizzare l’arte per rigenerare frammenti di città e restituirli ai cittadini.
A fine settembre arriverà il terzo tassello: l’opera monumentale di Gaetano Pesce alla Rotonda Diaz. Sarà accompagnata da un’inattesa performance dell’artista, accompagnato dagli allievi del Conservatorio di Napoli.
Emma Sedini
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