Intervista a Wang Yuxiang, giovane artista che mescola cultura occidentale e orientale
Le opere del giovane artista parlano di tematiche attuali quali: la globalizzazione, i confini estetici, quelli sociali e la decostruzione del contesto, come chiave per leggere il mondo contemporaneo. Volevamo saperne di più e gli abbiamo fatto qualche domanda
Wang Yuxiang (Cina, 1997) è un artista emergente che dopo essersi diplomato in pittura alla RUFA – Rome University of Fine Arts, ha lavorato in diversi progetti espositivi in Italia e in Cina. Già nel 2019 vince un premio che gli consente di portare l’opera Scatola dei ricordi oltreoceano, dove viene inserita nella collezione permanente dell’Ambasciata Italiana di Città del Messico. Nel 2021 è protagonista di una personale negli spazi di Label201 a Roma, a cui seguono nel 2022 Ricchiamo presso l’artist run space capitolino, Spazio Y, e Parallelo Oriente/Occidente da Mimmo Scognamiglio, a Milano. Nel 2023 realizza un’installazione site specific dal titolo Il conformista, ospitata allo Shanxi Contemporary Art Museum di Taiyuan, in Cina. Wang ha una modalità espressiva forte ma allo stesso molto elegante. I suoi lavori sono organici, scarni ma densi di significato.
Intervista all’artista Wang Yuxiang
Quando nasce Wang come artista?
Sono nato in Cina e, fin da quando ero bambino, i miei genitori mi hanno permesso di frequentare corsi d’arte, visto che non volevo giocare a ping pong o ballare hip-hop. Allo stesso tempo però ho avuto difficoltà di concentrazione e proprio con lo studio e la pittura ho imparato l’arte della concentrazione.
Che esperienza di studi hai avuto?
Quando ero al liceo in Cina sono stato educato all’arte realistica. Al terzo anno ho dipinto nature morte e ritratti dalle 8:00 alle 23:30, ogni giorno. In Cina c’è molta attenzione a quello che è il dettaglio e all’arte dello screening. Ricordo che per la mia professoressa, quando avevo 10 anni, ero un visionario. In quegli anni, mi ha raccontato di Cézanne e mi ha chiesto di ridisegnare le opere di Matisse. Allo stesso tempo ho studiato l’estetica tradizionale della pittura cinese, unendo Tao e prospettiva. Queste riflessioni mi accompagnano ancora oggi.
E come ti senti sentito una volta arrivato a Roma?
Sono venuto a Roma per studiare. La prima cosa che ho pensato è che il concetto di bottega nell’accademia italiana di belle arti sia ancora molto presente. Quando l’apprendimento artistico diventa direzionato, come lo è in Cina o negli Stati Uniti, non sono sicuro che un artista possa “uscire dal quadro” e trovare il suo io. Non posso negare che è in Italia che sono diventato un professionista. Mi sono trovato.
E l’esperienza all’università?
L’università che ho frequentato è la RUFA, al Pastificio, nel quartiere di San Lorenzo, a Roma. È un luogo vivace e anche molto leggendario. Si sente forte la presenza degli artisti che ti vogliono raccontare qualcosa e aiutarti nel tuo percorso di crescita. Questo concetto di eredità dell’artigianato è importante, non in senso manuale, ma nel concetto composto. È da qui che ho potuto essere amico ed entrare nella bottega di artisti, come: José Angelino, Micol Assël, Andrea Aquilanti e Davide Dormino.
Come descriveresti la tua pratica artistica? Lavori velocemente o il tuo processo creativo è più lento e riflessivo?
Il mio lavoro è legato ai luoghi e alla memoria collettiva, il processo è come la fermentazione, richiede ideali e sensibilità. È lento e astratto.
Dove lavori? Hai uno spazio-atelier?
Casualmente mi trovo nella Chinatown di Roma. Su via Conte Verde, zona Piazza Vittorio, dentro un condominio molto particolare. Gino De Dominicis passava qui nel palazzo a cenare con il suo gallerista ogni sera, Vittor Pisani veniva qui a trovare il suo amico per lavorare. Si tratta di uno studio realizzato da zero, proprio su un lavatoio in disuso del condominio, dagli artisti Gianfranco Grosso e Sauro Radicchi. Io ed altri due artisti lavoriamo sul lavatoio. Lo studio ha due piani e sembra una nave.
Raccontaci la tua prima mostra. Come ti sei sentito?
La mia prima mostra è stata al Nuovo Cinema Palazzo nel 2019. Fu più come un raduno in cui avviene la catarsi di giovani artisti. Era un luogo occupato e controverso, allora non riuscivo a capirne bene le questioni politiche.
Gli oggetti con cui lavori hanno sempre un alone di mistero. Sembrano struggenti ma allo stesso tempo vitali…
La decostruzione laterale degli oggetti offre nuove prospettive. Considero questi oggetti come organismi che cambiano il loro stato come i soggetti: accade in un uomo al mattino, al pomeriggio e alla notte di cambiare a seconda della legge di gravità e della luce.
Da dove prendi l’ispirazione? La vita, le esperienze o forse i lavori sono i tuoi pensieri più nascosti?
In particolare dai film, sono interessato molto al cinema neorealista. C’è un’analisi della realtà e della loro epoca, intervengo come accade nelle scene dei film tramite un’idea site specific. Allo stesso tempo, l’umanesimo e la critica si preoccupano della vita e dello stato psicologico delle persone nel loro spazio. Il finale è spesso aperto e sospeso. Come in Roma Città Aperta di Rossellini, 1945, i protagonisti dei miei lavori sono le vere strade sconnesse. O ancora, in Deserto rosso di Michelangelo Antonioni, quando la protagonista è estremamente sola e il regista decide di usare anche soggettivamente la monocromia per cambiare il colore originale dell’oggetto.
Raccontaci meglio quando e come decidi che qualcosa debba essere trasformato in opera d’arte. Cosa cattura la tua attenzione?
I soggetti catturati da me sono spesso sapientemente nascosti e mi interessa ricreare il processo che invia al nuovo, che corrisponderebbe al presente. Un processo di dialettica e discussione. Ma non vorrei mai fare un lavoro nostalgico.
Cosa pensi mentre lavori?
Quando lavoro ho bisogno di fermarmi costantemente e immaginare l’equilibrio estetico tra concetti e materiali da un’altra prospettiva.
Collabori in maniera “fissa” con una galleria?
Ad oggi no. Penso che un artista di ricerca debba trovare una galleria con cui condurre sempre nuovi esperimenti.
Com’è stato lavorare in alcune importanti fiere?
Una sorta di sfida, che richiede di adattare in modo flessibile il concetto e l’estetica senza perderne il significato.
Sei giovanissimo: cosa pensi del mercato dell’arte e come ti posizioni oggi?
Penso (e spero) che troverò il mio canale.
Domanda di rito: Il tuo sogno nel cassetto…
Essere un uomo felice. Se possibile alla Biennale di Venezia.
Gloria Vergani
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