Italo Calvino profeta dell’Antropocene. Intervista a Serenella Iovino

In occasione del centesimo anniversario della nascita di Calvino, Serenella Iovino ritorna alle opere dello scrittore italiano per parlare di animalità e antispecismo, Antropocene e ambientalismo

Nel 1946, un ventitreenne Italo Calvino scriveva sulle pagine dell’Unità: “Sì, noi dobbiamo una spiegazione agli animali, dobbiamo chieder loro scusa se mettiamo a soqquadro questo mondo che è anche il loro”. I conflitti e le affinità tra umani ed entità non-umane, siano esse appartenenti al regno animale, vegetale o geologico, sono centrali nelle opere calviniane. Si pensi alla Formica argentina, al coniglio da laboratorio in Marcovaldo o alle immagini ricorrenti della riviera sanremese stravolta dalla furia edilizia del boom economico. Per certi versi Calvino è stato profetico rispetto a questioni come l’antispecismo, l’ambientalismo, l’Antropocene, come si evince da Gli animali di Calvino. Storie dall’Antropocene(Treccani) di Serenella Iovino, docente di italianistica ed Enviromental studies alla University of North Carolina.


Calvino rappresenta un’occasione per parlare del presente, di ecologia, Antropocene e animali. Si può considerare uno scrittore ambientale?
Di ambiente Calvino scrive per tutta la vita sui giornali, a cominciare da quando, nel 1946 sul “Politecnico”, si lamenta del degrado atavico del centro storico di Sanremo. Trent’anni dopo sul “Corriere della Sera” commenta l’“estate di disastri” del 1976, l’anno di Seveso e del terremoto in Friuli. Ma Calvino non parla di ambiente solo negli articoli che pubblica sui quotidiani. Il suo ambientalismo è in tutte le sue opere, ed è una questione di luoghi e di radici, di paesaggi che scompaiono sotto il cemento e di industrie che inquinano l’aria, i pensieri e l’informazione. È una questione di uomini spersi nella grande città alla ricerca di un albero o di aria buona, di operai che ieri erano contadini e ora sono alla catena di montaggio, di lavoratori che muoiono nelle cave di amianto fuori Torino. 

Serenella Iovino, Gli animali di Calvino, Treccani, Roma, 2023
Serenella Iovino, Gli animali di Calvino, Treccani, Roma, 2023

Dove si colloca l’ambientalismo di Calvino?
È nelle città immaginate che rincorrono o anticipano l’immaginario dell’abitare, con i suoi problemi di sostenibilità, sovrappopolazione, globalizzazione, e la memoria che di tutto ciò si genera e si perde. Infine, ambiente in Calvino è l’avventura evolutiva dell’universo che guarda sé stesso crescere e giocare, e si racconta, un po’ dispettoso ma fedele alla sua natura di non avere mai un centro. Tutto questo ce lo dicono opere come Il barone rampanteLa speculazione ediliziaLa nuvola di smogMarcovaldoLa giornata d’uno scrutatoreLe città invisibiliLe Cosmicomiche. Ciò che colpisce davvero è che queste opere sono chiavi di lettura di un mondo che oggi, con urgenza ancora maggiore, ci presenta le stesse sfide. Oggi queste sfide le chiamiamo Antropocene. Lui non aveva questa parola, ma la questione la vedeva tutta.

Che tipo di approccio assume Calvino rispetto alle nature animali non-umane: una sorta di umanesimo non-antropocentrico?
Calvino è poliedrico, è arboreo e arborescente, è ironico, è cosmico, è intimo e planetario, e soprattutto è felicemente rivolto fuori. Infatti, alla fine delle Lezioni americane dice proprio questo: come sarebbe bella un’opera “fuori del self”, che faccia parlare l’uccello, l’albero, la pietra, il cemento, la plastica. L’umanesimo è un discorso di emancipazione e di libertà. Calvino lo sottoscrive, a patto che sia anche qualcosa di più, di distribuito

Ovvero?
Il suo umanesimo è la libertà di uno sguardo che si stacca dall’umano e si perde nel volo degli uccelli o negli amori estivi delle tartarughe. È l’attenzione all’altro chiuso nelle gabbie degli zoo e nei laboratori, ed è anche l’attenzione all’altro umano: per esempio, quello che abita nell’“ultima città dell’imperfezione” del Cottolengo, quasi un clandestino nel perimetro politico dell’umanità. Mi sembra dunque che “umanesimo non-antropocentrico” sia una buona definizione, perché ci permette di includere non solo il non umano ma anche umani marginali a cui devono essere restituiti un volto e una voce.

Serenella Iovino. Photo © Dino Ignani
Serenella Iovino. Photo © Dino Ignani

Capitalocene, Piantagionocene, Chthulucene, Wasteocene: tra le tante declinazioni dell’Antropocene qual è la più efficace per catturare la serie di stravolgimenti che hanno portato all’attuale configurazione degli equilibri?
“Antropocene” indica un periodo recente della storia terrestre in cui l’impatto del genere umano (anthropos, in greco) ha alterato i cicli bio-geo-chimici del pianeta. Crosta terrestre, acque, atmosfera, biosfera e società: tutto porta la “nostra” impronta. Chi critica questa definizione mette però l’accento sulla sua neutralità. Si può parlare di “anthropos” quando il 20% degli umani consuma l’80% delle risorse? Anche all’interno di questo 20%, concentrato nei paesi sviluppati, le differenze sono sensibili. 

Per esempio?
Chi parla di Capitalocene denuncia la “responsabilità geologica” del capitalismo. Molto giusto, ma il capitalismo non è tutto: anche i sistemi comunisti hanno contribuito all’Antropocene. Le altre definizioni mettono in luce altri aspetti della questione. Piantagionocene, per esempio, fotografa la riduzione del pianeta a “piantagione globale”, con tutti gli aspetti di omologazione e di sfruttamento. Wasteocene insiste sulla natura dei rapporti socio-ecologici: la produzione di scarti materiali è anche produzione di un’umanità e di una natura di scarto. 

E Chthulucene?
Invita a formare le coalizioni multi-specie necessarie a uscire dall’Antropocene (lo ha inventato la filosofa americana Donna Haraway). Personalmente penso che bisogni tenere a mente queste dinamiche e guardare criticamente a quello che implicano, ma che un’etichetta vale appunto per quello che è: un marcatore concettuale che ci permette di vedere cose. E secondo me, Antropocene, letto ironicamente, ci permette anche di vedere gli aspetti critici che le altre definizioni esplicitano ma, a mio avviso, non risolvono del tutto.

Che cosa intende per “othering” o “alterizzazione” e in che senso si tratta di un fenomeno trasversale che abbraccia umano e altro-che-umano? E Calvino come ci aiuta a superare questa alterizzazione?
“Alterizzazione” è una parola del discorso post-coloniale. Significa costruire un’alterità, e circondarla da un abisso che non ci permette di riconoscere quest’altro come avente un mondo simile al nostro. In questo modo, si sancisce l’inferiorità di questo “altro” che viene “legittimamente” sfruttato e dominato. Lo si è fatto con le popolazioni colonizzate, di cui si è negata l’umanità per poterle sottomettere. Lo si fa con quegli animali che non sono i nostri “pet”, ma che mangiamo o vivisezioniamo. Eppure, non c’è tutta questa differenza, in termini sensoriali o etologici, tra un cane e un maiale o un vitello. 

Italo Calvino. Photo Johan Brun Creative Commons
Italo Calvino. Photo Johan Brun Creative Commons

Cosa c’entra Calvino in tutto ciò?
Calvino nelle sue storie ci fa sentire l’angoscia del gorilla albino come un’angoscia di solitudine o la sofferenza del coniglio “velenoso” di Marcovaldo come qualcosa che possiamo riconoscere. Non è solo una rappresentazione antropomorfica, ma è un modo di sfidare quegli stessi meccanismi di alterizzazione che ci separano da tutto ciò che è diverso da noi. Calvino sfida a trovare il simile nel diverso, a colmare gli abissi e a calare ponti. Il sociologo Franco Cassano diceva che il nostro noi è pieno di altri. Calvino sarebbe d’accordo, perché dire “noi” per lui è un altro modo per dire “mondo”.

Edoardo Pelligra

Serenella Iovino, Gli animali di Calvino,
Treccani, Roma 2023
Pag. 216, € 18
ISBN 9788812010707
Scopri il libro

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Edoardo Pelligra

Edoardo Pelligra

Nato a Catania, vive a Londra e Torino. Ha studiato filosofia in Italia e in Germania, laureandosi in Estetica all’Università di Torino. Si è specializzato in Critical Theory and Gender Studies alla Goldsmiths-University of London, con una tesi sul cinema…

Scopri di più