Lo spazio pubblico dà forma alla società. Intervista alle architette di TSPOON
Nina Artioli, Alessandra Glorialanza ed Eliana Saracino, fondatrici e direttrici di TSPOON environment architecture, dialogano con Marialuisa Palumbo sul peculiare approccio di questo studio romano. Dai sistemi urbani complessi alla piccola scala dei borghi in spopolamento
Considerano i piccoli comuni “una grandissima risorsa capillare del nostro territorio” e sono convinte che dalla loro riattivazione possano prendere avvio “modelli urbani più sostenibili”. Sono Nina Artioli, Alessandra Glorialanza e Eliana Saracino, le tre architette alla guida di TSPOON environment architecture, con sede a Roma. Il loro è un piccolo studio di progettazione, che definiscono uno “strumento che produce processi”. A prescindere dalla scala d’intervento, infatti, l’obiettivo di TSPOON è soprattutto quello di lavorare nel costruito per catalizzarne le trasformazioni, agendo come tramiti tra lo spazio e i suoi abitanti. Le abbiamo intervistate.
Celano, Merano, Putignano, Cassino sono alcuni dei piccoli centri in cui avete fin qui lavorato. Che cosa avete imparato da questi progetti?
I piccoli centri urbani sono un’ottima occasione per sperimentare il nostro approccio metodologico che finora abbiamo applicato prevalentemente a sistemi urbani di grande dimensione: la strutturazione di sistemi aperti di cui si definiscono le regole e la struttura generale, ma in cui si lasciano le maglie sufficientemente ampie per accogliere la possibilità di trasformazione nel tempo. Negli ultimi anni, probabilmente grazie anche ai numerosi incentivi nazionali ed europei, finalizzati alla promozione dei concorsi di architettura e alla rigenerazione urbana, è evidente un gran fermento da parte delle piccole amministrazioni, che con grande impegno riescono a trovare finanziamenti per fare concorsi di progettazione (anche se non sempre per realizzare i progetti). Sono, in ogni caso, occasioni di riflessione per ragionare su una grandissima risorsa capillare del nostro territorio: i piccoli comuni che, se riattivati e resi nuovamente produttivi, possono rappresentare un’importante chiave di volta nello sviluppo di modelli urbani più sostenibili.
Dal Nord al Sud, quali problematiche (e, forse, quali potenzialità) accomunano questi luoghi?
Indipendentemente dalla loro posizione geografica, i piccoli borghi condividono delle caratteristiche comuni. Una questione rilevante riguarda senz’altro lo spopolamento, seguita dalla difficoltà di consolidare e attirare una popolazione stabile e giovane a causa dell’offerta limitata di opportunità lavorative o di servizi pubblici. Ciò porta un generale invecchiamento della popolazione, che ha poi delle sue esigenze specifiche, e a una diminuzione della produttività economica. Dall’altro lato però i piccoli centri, ognuno di essi nella sua peculiarità, possiedono un patrimonio culturale, storico e sociale ricchissimo che deve essere valorizzato, sia per radicare una forte identità locale e il senso di appartenenza, sia per costruire nuove narrazioni in grado di sviluppare strategie per stimolare l’economia locale e per promuovere il turismo e nuove forme produttive.
Parlando di identità locale, come avete declinato questo tema per esempio nel caso del progetto per la rigenerazione del centro storico di Celano (L’Aquila), recentemente vincitore di un concorso?
Il tema della costruzione dell’identità è sempre un aspetto rilevante nel nostro percorso di ricerca progettuale: definire luoghi da riconoscere e, soprattutto, in cui riconoscersi è fondamentale – in modi diversi – sia nella grande città che nel piccolo centro. Nell’affrontare il caso specifico della rigenerazione urbana di Celano ci siamo chieste su cosa avesse senso puntare per proporre uno sviluppo sostenibile, compatibile con le vocazioni e con le risorse del territorio. Cosa distingue Celano dagli altri comuni della Marsica? Quali sono le sue caratteristiche peculiari? Come ricostruire una narrativa che permetta di riposizionare il paese in un sistema turistico globale?
E come avete risposto?
La risposta ce l’ha data, come spesso accade, la lettura del territorio, del contesto, della forma della città. Una forma urbana fortemente caratterizzata dalla morfologia e dal sistema difensivo, tale da poter essere ancora, secondo noi, il luogo in cui ricomporre l’identità territoriale e l’aspetto su cui puntare per uno sviluppo durevole. Quindi gli interventi proposti tendono, da un lato, a valorizzare queste caratteristiche, rendendole maggiormente visibili attraverso gli interventi spaziali, preservando e enunciando le sfumature diverse all’interno di un disegno coerente nel suo insieme, dal punto di vista estetico-formale e semantico. Allo stesso tempo, l’obiettivo è di gettare le basi per una visione sul lungo periodo basata sulla mobilità alternativa, sul rispetto per l’ambiente, sull’uso di nuove tecnologie, quindi su quegli aspetti che possono diventare motore per nuovi sviluppi, sociali, economici ed ambientali e elemento fondativo di un piano di sviluppo contemporaneo. Dunque, definire una nuova immagine della città fondata sul suo passato, organizzata sul suo presente e proiettata verso il futuro.
Un altro dei temi ricorrenti nel vostro lavoro, certamente essenziale anche nei grandi centri, è quello della mobilità e della riorganizzazione delle gerarchie dei percorsi. Dal vostro punto di vista, si sta diffondendo una nuova cultura dello spazio pubblico, legata alla necessità di “ricostruirlo” per così dire, liberandolo dalle auto, e cercando di ridare qualità alle superfici, ai percorsi, ai vari elementi che lo compongono?
Speriamo che finalmente sia arrivato il momento in cui il lavoro sullo spazio pubblico sia una necessità! Crediamo fortemente che lo spazio pubblico sia uno spazio necessario per dare una forma costitutiva e costituente della società, uno spazio da conquistare e negoziare costantemente. Pertanto, uno spazio politico, inteso come spazio di autorappresentazione della polis, spazio per la ricostruzione del senso di comunità e del senso di appartenenza. E nei nostri progetti cerchiamo di predisporre lo scenario adatto, definito e mutevole allo stesso tempo, in cui questo possa avvenire. Praticamente si concretizza nel lavoro su alcuni aspetti ricorrenti. Sicuramente è determinante lavorare sui sistemi della mobilità.
In modo concreto, come si potrebbe agire?
È necessario predisporsi ad uno scenario in cui l’uso dell’automobile per come lo conosciamo oggi sia diverso. Nei grandi centri spesso si parla della città da 15 minuti, in cui esiste una possibilità di mobilità sostenibile insieme ad un mix di funzioni e di abitanti, diversi per tipi, etnie, età… Molto difficile introdurre questa modalità a posteriori, soprattutto in una metropoli in cui si vive, per necessità, in maniera schizofrenica. Nei piccoli centri questo lavoro dovrebbe essere più semplice: la mixité e la sovrapposizione dei tempi e dei modi d’uso della città esiste già. Serve innescare però un cambiamento di prospettiva nell’abitante, per il quale il mezzo privato deve essere usato solo se necessario e che, in ogni caso, si senta l’ospite indesiderato.
E poi?
Dopo aver ridefinito le gerarchie, si crea lo spazio. Nell’ottica della mutevolezza, l’obiettivo è quello di ridefinire sistema continuo e protetto di spazi pubblici, lavorando sull’annullamento fisico delle soglie: scompaiono i limiti, si mettono in rete tutta una serie di piccoli spazi ad oggi sottoutilizzati che possono essere i piccoli luoghi in cui riarticolare la quotidianità della comunità, si definisce un nuovo paesaggio orizzontale, capace di mettere in contatto luoghi pubblici e di favorire la costruzione di nuove relazioni, fisiche e mentali. Le differenze fra le parti si enunciano attraverso le cromie contrastanti, le tessiture e le grane delle pavimentazioni, attraverso gli elementi di arredo e le alberature, piccole variazioni all’interno di un sistema unitario e coerente.
Spiegateci meglio
Si lasciano degli spazi liberi, dei luoghi caratterizzati ma sufficientemente aperti per accogliere l’imprevedibile urbano. Ovviamente questi obiettivi non possono essere raggiunti in un batter di ciglia: non è un gesto, ma è un processo, molto spesso lungo, da costruire per fasi. Un processo che può adattarsi e correggersi nel corso del suo farsi, conservando però la struttura di base. Come dicevamo prima: regole strategiche alla grande scala e flessibilità alla piccola scala per accogliere le necessità di un organismo vivente come la città.
Parliamo dell’esperienza della Pentana, un allestimento degli spazi esterni di Rocca Janula, la fortificazione medievale che, assieme alla abbazia di Montecassino, domina Cassino. Dal mio punto di vista è un piccolo capolavoro: un dispositivo effimero, immaginato per potenziare l’uso degli spazi della rocca che viene trasformata in un palcoscenico urbano. La Pentana è al tempo stesso palco, pedana, seduta, luogo di gioco e di appropriazione. Il suo segreto è l’essere strumento, dispositivo di relazione e trasformazione, ma anche un’icona formale…
La Pentana è di per sé un gioco. È il dispositivo urbano che ha la sua chiara immagine formale, allineata al contesto e dissonante allo stesso tempo, che per straniamento permette di mostrare i luoghi in modo diverso. Soprattutto la Pentana è una chiamata all’azione: nel suo essere gioco, fa diventare l’utente protagonista, lo pone davanti a delle scelte, o – quantomeno – davanti a delle possibilità, e gli permette di essere pars construens nella definizione del suo spazio, suo anche se solo se per un breve lasso di tempo. Il lavoro con il tempo, infatti, è un altro tema a noi molto caro. L’introduzione della variabile temporale è sempre presente nei nostri progetti, in maniera diversa; diversa se parliamo di sistemi ambientali, se parliamo di visioni di crescita urbana, se parliamo di costruzione di processi per fasi necessariamente variabili nel tempo. In lavori semplici come questo, che contengono già nelle loro premesse la possibilità di cancellazione senza lasciare tracce, imprimono invece negli attori coinvolti memorie, azioni e riti collettivi che permangono nella mente e diventano tasselli importanti nella costruzione di un nuovo immaginario urbano, condiviso e ricco di tracce invisibili, ma non per questo meno durature. (La Pentana è il progetto vincitore dell’avviso pubblico Creative Living Lab – III edizione, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e realizzato da Borghi Artistici Impresa Sociale, ndr).
E, a proposito di tempo, il progetto era nato un anno fa come installazione temporanea, ma è ancora lì, giusto? Questo ci racconta di un incontro felice tra uno spazio con un’identità storica molto forte e un nuovo dispositivo capace di aggiungere, proporre o costruire nuove dinamiche con i visitatori…
La Pentana è stata ideata come dispositivo di supporto agli eventi estivi che si sarebbero svolti nella Rocca. È stata pensata con materiali, economici ma durevoli, con bassa necessità di manutenzione, e per poter essere disassemblata facilmente, poi stoccata e magari riusata. Abbiamo saputo che è stata utilizzata per varie manifestazioni fuori programma, come ad esempio per matrimoni o altri eventi che si sono svolti nel periodo natalizio. Ci informeremo sul seguito, ma sai come si dice, no? Non c’è niente di più definitivo del provvisorio!
Marialuisa Palumbo
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