Favoloso Calvino e il suo legame con le arti visive. La mostra alle Scuderie del Quirinale
Nel centenario della nascita dell’autore ligure, a Roma una grande mostra ne racconta l’immaginario, filtrato dal costante e insistito rapporto con le immagini, come fonte primaria della scrittura e dell’interpretazione del mondo
Non tradisce lo spirito di Italo Calvino (Santiago de las Vegas, 1923 – Siena, 1985) la mostra che le Scuderie del Quirinale di Roma propongono per celebrarne il centenario della nascita. Perché è nell’esortazione a guardare – “il cervello comincia dall’occhio”, scriveva l’autore ligure – che si definisce il progetto curato dal professor Mario Barenghi (per la prima volta curatore di una mostra), esercizio di avvicinamento all’immaginario calviniano, non a caso filtrato attraverso il suo rapporto con le arti visive.
Italo Calvino e l’arte di saper guardare
Nel 1960, Calvino scriveva in una lettera all’editore francese François Wahl: “L’unica cosa che vorrei poter insegnare è un modo di guardare, cioè di essere in mezzo al mondo”. Per comprendere quelle “forme possibili che non esistono nel mondo reale, ma esistono in quanto possibili”, avrebbe detto Tullio Pericoli nel sottolineare la vicinanza del suo amico e sodale Calvino al modo di concepire il processo creativo e l’elaborazione dell’immagine di Paul Klee (lucida riflessione contenuta nel dialogo Furti ad arte, pubblicato in occasione della mostra dell’artista marchigiano alla Galleria Il Milione di Milano, nel 1980). Pericoli ha ritratto a più riprese lo scrittore ligure: e diversi sono i disegni in arrivo dal suo Archivio, esposti in mostra. Come pure c’è spazio per opere di Klee, e di Picasso, tra gli artisti più amati dallo scrittore, scelti più volte per illustrare le copertine dei suoi libri.
Rappresentare visivamente uno scrittore non è operazione banale, ma la scrittura visiva di Calvino, il suo ragionare per immagini – sin dalla consuetudine adolescenziale con le strisce dei fumetti – ha reso la sfida particolarmente densa di significati. E il percorso tra le sezioni introdotte da un generoso apparato di didascalie, citazioni, collegamenti visivi richiede a chi guarda (per essere in mezzo al mondo, come piacerebbe a Calvino) di concedersi tempo. Pur nello sviluppo cronologico che attraversa diverse fasi della vita e della scrittura di Calvino, infatti, non siamo davanti a una mostra biografica. L’allestimento modulare dei temi – anch’esso pensato per omaggiare lo scrittore e la sua dedizione all’architettura del libro, nel suo avere un inizio, uno sviluppo e una fine – suggerisce letture molteplici dei contenuti proposti, perché sia lo spettatore a mettersi in gioco, imbeccato certo dai materiali in mostra, però libero di interpretarli. Così l’adesione al pensiero di Calvino, secondo cui la letteratura vive solo quando i libri vengono letti, si fa stringente.
La mostra di Italo Calvino a Roma
Favoloso Calvino – dal titolo dell’articolo di Gore Vidal pubblicato sulla New York Review of Books del 1974, in merito a Città invisibili – si avvale di oltre 400 prestiti per mettere in scena la complessità del Calvino affabulatore, militante, ecologista, interprete, traduttore, appassionato di cinema e fumetti, debitore al mondo delle fiabe e lucido lettore della realtà. Per aiutare la comprensione si forniscono coordinate biografiche e geografiche – il rapporto con la natura filtrato dall’impegno in campo agronomico e botanico dei genitori Mario Calvino ed Eva Mameli; il legame con il paesaggio ligure subito esplicitato dai versi tratti Dall’opaco; l’esperienza partigiana e la scelta di aderire al PCI; il periodo torinese ed Einaudi; Parigi; le relazioni e gli avvenimenti immortalati nelle foto d’archivio – ma tutt’intorno si affastella l’immaginario generato dall’autore. Dai suoi libri più fortunati, innanzitutto, e dagli scritti sull’arte, raccolti in gran parte nel volume Collezione di sabbia, del 1984. Come pure dai rapporti diretti e prolungati con illustratori e artisti: Emanuele Luzzati, Toti Scialoja, Giulio Paolini ed Emilio Isgrò (gli ultimi due presenti in mostra con due lavori inediti, dedicati a Calvino; e domenica 15 ottobre, nel giorno di nascita dello scrittore, via XXIV maggio sarà illuminata dall’installazione Palomar, realizzata da Paolini nel 1998 per Luci d’Artista, a Torino).
L’immaginario calviniano, dai tarocchi alle fiabe
Non mancano i tarocchi, da cui scaturiscono le storie de La taverna dei destini incrociati (1973); e un’ampia sezione dedicata all’oscillazione dell’autore tra il mondo reale e le fiabe. Le stesse pagine manoscritte diventano testimonianza del rapporto tra scrittura a visione.
Ci sono poi, evidentemente, le opere degli artisti che ispirano o si fanno ispirare da Calvino: i ritratti di Carlo Levi, il codice di Luigi Serafini, la scacchiera di Enrico Baj, la Dinamica circolare di Marina Apollonio, l’illustrazione per il Barone rampante di Domenico Gnoli (presente anche con due dipinti: all’opera di Gnoli, Calvino dedicò quattro testi, pubblicati su FMR nel 1983, nel solco dell’acribia descrittiva comune all’artista e allo scrittore), solo per citarne alcuni; ma anche il pastello a olio che Richard Serra dedica a Calvino nel 2009, e la serie di acquerelli di Pedro Cano, che interpretano le Città invisibili (ispirate a propria volta dall’opera di Fausto Melotti). A proposito di suggestioni, il progetto curatoriale sceglie di instillarne di inedite: con la Forêt Palatine (2019)di Eva Jospin, per esempio, o lo Spazio di luce (2008) di Giuseppe Penone; e il grande arazzo millefiori di Pistoia, capolavoro dell’arte rinascimentale in cui lo sguardo s’immerge e si smarrisce, proprio come i personaggi dei romanzi cavallereschi di Calvino, sempre in cerca di avventure.
Livia Montagnoli
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