Il MAXXI di Roma punta su una collezione di design. Intervista a Lorenza Baroncelli
L’istituzione ha da poco acquisito 13 pezzi di design degli anni Duemila, opere di designer più noti come di emergenti, che formeranno il primo nucleo di una nuova collezione. Ma da dove nasce questa operazione? E dove vuole arrivare? Lo abbiamo chiesto a Lorenza Baroncelli, alla guida del Dipartimento di Architettura e Design Contemporaneo del MAXXI
Chi frequenta con una certa regolarità il MAXXI avrà notato una novità. Da dicembre all’interno delle sale hanno fatto la loro comparsa alcuni oggetti di art-design o collectible design: opere d’arte che sono anche oggetti di uso comune, e viceversa, e che di solito è più facile incontrare nei luoghi frequentati dai collezionisti, nelle gallerie o in fiere di settore come Design Miami. Sono da poco stati acquisiti dal museo e fanno parte, insieme ad altri pezzi che spaziano dal design anonimo alla ricerca sui materiali e al digitale, di una nuova collezione incentrata sul contemporaneo e destinata a espandersi nel tempo. Questa linea di ricerca, del tutto inedita, è stata inaugurata alla fine di un’annata che ha visto l’arrivo di un nuovo presidente (Alessandro Giuli, insediatosi in realtà già a fine 2022) e diversi avvicendamenti tra i curatori, e ha fatto discutere gli addetti ai lavori proprio per la sua discontinuità rispetto al passato. Abbiamo cercato di fare il punto con Lorenza Baroncelli, alla testa del Dipartimento di Architettura e Design Contemporaneo dal febbraio 2023 e tra i principali fautori di questa operazione.
Intervista a Lorenza Baroncelli, direttrice del Dipartimento Architettura del MAXXI
Come è nata l’idea di questa nuova collezione? È un cambio di rotta piuttosto deciso per un museo che finora aveva lavorato soprattutto sugli archivi dei grandi maestri del Novecento.
Ci sono due considerazioni da fare. Una riguarda più in generale il mio arrivo alla direzione del Dipartimento di Architettura del MAXXI e la necessità di spostare la riflessione un po’ più sul contemporaneo. Credo che Margherita Guccione abbia fatto un lavoro incredibile perché è riuscita in una decina d’anni a posizionare il museo come uno dei più importanti in Europa e forse nel mondo per l’architettura. Oggi però la maggior parte degli archivi del Novecento è già stata acquisita e l’attenzione deve spostarsi in qualche modo sui viventi. Tra le ultime acquisizioni c’è, per esempio, l’archivio di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo con tutta una serie di documenti legati al digitale che pongono al museo delle questioni completamente nuove.
Qual è la seconda considerazione?
Il secondo tema è legato alla volontà di aprire maggiormente al design, e nasce da una riflessione condivisa con il presidente e dalla consapevolezza che oggi non c’è nessuna istituzione culturale pubblica italiana che colleziona design contemporaneo.
Con quale criterio è stata fatta la scelta dei tredici pezzi? A prima vista ci è sembrata una collezione piuttosto eterogenea, che tiene insieme collectible design e ricerche sui materiali, designer established come Jasper Morrison ed emergenti quasi assoluti…
Ci siamo dati due regole essenziali, raccolte in un dossier: i pezzi devono essere stai realizzati dopo il Duemila e devono avere in qualche modo un rapporto con l’Italia. Non volevamo raccontare il design italiano usando come discrimine il passaporto del designer oppure la presenza di uno studio in Italia, ma piuttosto cercare di definire l’italianità attraverso pezzi che hanno generato un impatto nel nostro Paese o si sono ispirati ad alcuni aspetti della nostra cultura. L’esempio di Jasper Morrison è abbastanza calzante: abbiamo scelto una sedia che si chiama Trattoria Chair e si riferisce esplicitamente allo stile di vita italiano. Tube Column, l’opera dello studio Objects of Common Interest, è legata invece a un’installazione luminosa prodotta per Bergamo Capitale della Cultura. Partiamo comunque dal principio che questa mostra, molto semplice nell’allestimento, presenta soltanto il primo giro di acquisizioni e non la collezione completa.
Ogni anno, quindi, acquisirete pezzi nuovi?
Sì, con l’obiettivo di arrivare a fine mandato, tra cinque anni, avendo un’immagine un po’ più completa del design contemporaneo. A quel punto cercheremo di fare una mostra più grande.
Jasper Morrison e gli Objects of Common Interest sono entrambi molto noti. Insieme a loro ci sono però altri designer decisamente più giovani, per lo meno da un punto di vista professionale, che non siamo abituati a vedere in un’istituzione pubblica italiana.
In questo primo giro di acquisizioni abbiamo cercato di includere almeno un pezzo per ogni categoria che ci sembrava utile per rappresentare quello che oggi è il design italiano. Ci sono il product design, ambito nel quale abbiamo cercato di selezionare oggetti che fossero rilevanti per il contesto italiano, il collectible design che oggi appare inevitabile, la ricerca sui materiali, il digitale e tutto il tema del design anonimo, che secondo me è il più particolare, rappresentato dalla mascherina chirurgica. Un oggetto simbolico sia per l’impatto che ha avuto sulle nostre vite negli ultimi anni sia perché quasi nessuno si è posto la domanda di chi fosse il progettista.
Guardare al design da collezione era quindi inevitabile?
Secondo me sì. Finora nessuno si era assunto il rischio di acquisirlo in una collezione di un museo pubblico italiano, con tutta una serie di designer emergenti che magari non ama neppure il termine collectible ma ha cambiato, e sta cambiando, il modo di produzione del design. Chi guarda al design contemporaneo oggi non può ignorarlo.
Avete aspettative in termini di circuitazione? Pensate che questi pezzi verranno poi richiesti da altri musei o istituzioni di design nel mondo?
Mi auguro di sì. La domanda che mi pongo, però, è più che altro quale impatto avrà questa operazione su Roma, una città che non è abituata a parlare di design. Abbiamo scelto di legare la mostra sulle acquisizioni a una mostra storica su Aino, Alvar e Elissa Aalto anche perché avevamo la consapevolezza che se si vuole iniziare a parlare di contemporaneo in una città di questo tipo, il pubblico deve essere in qualche modo accompagnato a comprendere come si è evoluto nel tempo il dibattito sul design. C’è un altro elemento che secondo me vale la pena esplicitare: il MAXXI nasce proprio con la vocazione di costruire una collezione pubblica dei linguaggi del 21esimo secolo, con una particolarità. A differenza delle collezioni di altre istituzioni pubbliche, la collezione è vincolata dal Ministero della Cultura.
Questo che cosa comporta?
Se anche il museo dovesse ‘fallire’ non potrebbe essere smembrata. Questo secondo me ci dà ancora di più la forza e l’urgenza di candidarci a essere l’istituzione di riferimento per il design contemporaneo. Quella che stiamo facendo non è un’operazione sui singoli pezzi ma è una fotografia del contemporaneo nel suo insieme, ed è interessante immaginare come verrà letta tra 50 o 100 anni.
Perché aver imbastito una partnership con un attore privato – e molto milanese – come Alcova, che in passato ha portato al Fuorisalone alcuni tra i designer selezionati?
La rete di designer di Alcova è al momento tra le più interessanti nel panorama del design contemporaneo e del collectible, perciò è naturale che alcune scelte si sovrappongano e che alcuni dei designer di questa rete – tre nello specifico – facciano parte anche della selezione fatta dal Museo. Abbiamo cercato però di non guardare soltanto a Milano ma di rivolgere la nostra attenzione a territori meno scontati come il Sud (Architetti Artigiani Anonimi, per esempio, ha sede ad Amalfi). Joseph Grima ci ha aiutati nella fase di stesura del dossier preliminare, poi la collaborazione con Alcova, che comunque non è una partnership strutturata, si è concretizzata in occasione di Design Miami per contribuire a lanciare la collezione su scala internazionale.
Giulia Marani
Tutti gli studi e i designer coinvolti: Architetti Artigiani Anonimi, Bloc Studios, Formafantasma, Stef Fusani, Kostas Lambridis, Maximilian Marchesani, Jasper Morrison, Object of Common Interest, Older studio, rehub, Martina Taranto, Studio Plastique-Snøhetta-Fornace Brioni.
La collezione di design è in mostra fino al 10 marzo 2024
www.maxxi.art
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati