Il discorso sul femminile ha bisogno di molte voci. Intervista all’attrice Anna Foglietta
Dal teatro all’attivismo, in tanti ambiti, l’attrice si racconta ad Artribune in un colloquio uscito sul secondo numero del nostro Focus Moda. Qui l’intervista e le foto esclusive
Anna Foglietta è un’attrice impegnata non solo sul palcoscenico e sul grande schermo, ma anche come attivista. Nasce a Roma il 3 aprile del 1979 e inizia la sua carriera dalle serie televisive, per poi continuare con il teatro e il cinema. Tra i film più famosi per cui ha recitato, si ricordano Nessuno mi può giudicare e Perfetti sconosciuti. Inoltre, è la prima delle nostre Donne Manifesto, l’articolo presente sul secondo numero del Focus Moda di Artribune: si tratta di cinque incontri con cinque donne che, secondo la nostra prospettiva, rappresentano personalità eminenti nei settori della cultura, della moda e dello spettacolo, incarnando un ruolo di impegno sociale. Qui Anna Foglietta si è raccontata attraverso progetti presenti e futuri, e il suo impegno su più fronti.
L’intervista ad Anna Foglietta
Hai interpretato la poetessa Alda Merini in La pazza della porta accanto e la politica e partigiana Nilde Lotti in Storia di Nilde. Cosa hai imparato dall’essere “nei panni” di queste donne?
Interpretare grandi donne, sia al teatro che al cinema, significa in qualche modo misurarsi con chi è stato in grado di applicare sulla propria pelle un manifesto. Alda Merini ha fatto ciò attraverso la sua produzione poetica e Nilde Lotti attraverso la sua militanza politica. Entrambe hanno fatto in modo che il proprio agire quotidiano e le proprie esperienze di vita fossero messe al servizio di altre persone. Poter studiare dettagliatamente e intimamente la storia di questi grandi personaggi è un’opportunità incredibile, soprattutto in termini umani. Mi hanno fatto capire che se si crede davvero in un ideale, in un pensiero, questi devono essere perseguiti in maniera coerente.
Parliamo del recente spettacolo Donne vestite di sole, un percorso in musica e parole attraverso storie di figure femminili straordinarie. Qual è il messaggio che hai voluto trasmettere?
Donne vestite di sole è uno spettacolo in cui si alternano una moltitudine di figure femminili, che hanno però in comune un grande spirito battagliero. Si tratta di donne che sono al servizio di altre donne per fare della propria esperienza di vita un’opportunità per le altre sorelle e gli altri fratelli, che in qualche modo hanno attraversato le nostre esistenze. Questi spettacoli per me sono urgenti perché, laddove un artista non arriva con un film o con una serie tv, riesce ad arrivare quasi sempre con il teatro. È ancora lo spazio più libero che possiamo possedere e di cui il pubblico ha un grandissimo bisogno.
Che impressione hai del pubblico?
È attento e desideroso di ascoltare le parole giuste, che possono provenire da tutti gli artisti che hanno il desiderio di far arrivare la propria voce. Per me l’artista è colui che in maniera generosa dona allo spettatore la parola di cui ha bisogno. Ovviamente la scelta di questo spettacolo è direttamente proporzionale alla difficoltà di veicolare un messaggio che sia sfaccettato riguardo il femminile, considerati i tempi che stiamo percorrendo, in cui il discorso sulle donne, sulla violenza di genere e sulle discriminazioni di genere è così avanzato che è importante trovare parole utili nell’arricchirlo. Così ho deciso, insieme al maestro Davide Cavuti, di portare Donne vestite di sole in giro per l’Italia.
Perché?
Il discorso sul femminile ha bisogno di un’infinità di voci per potersi completare nel modo più specifico possibile.
Sei presidente di Every Child is My Child, raccontaci cos’è.
È una realtà ormai consolidata grazie all’impegno non solo mio ma anche di tante colleghe, colleghi, amici e compagni di viaggio. Nasce nel 2017 grazie alla volontà di far sentire la propria voce rispetto allo scenario che si era presentato rispetto all’infanzia e alla guerra in Siria nel 2017, quando la guerra era in uno stato avanzato. I progetti che portiamo avanti sono principalmente due: il primo si chiama Plaster school ed è sia una scuola al confine tra la Turchia e la Siria sia un campo profughi siriano. Inizialmente aveva circa 20 bambini, ora ne ha più di 80. Abbiamo creato una struttura ospitale e accogliente, con degli spazi adatti per permettere ai ragazzi di studiare essendo bambini del ciclo delle elementari e delle medie.
Cosa offrite a questi ragazzi?
Aldilà della formazione scolastica e anche dell’apprendimento della lingua turca, gli offriamo una serie di opportunità extrascolastiche. Di fatto è un presidio culturale. È aperta quasi tutto il giorno e dà ospitalità e opportunità anche ai genitori di questi ragazzi. Offriamo loro anche un servizio di assistenza psicologica, di cui hanno sempre meno bisogno perché, vivendo in questo campo profughi da più di 6 anni e avendo questa scuola come luogo fisico che li aiuta a superare le difficoltà, molti sono riusciti a percorrere il ciclo di studi e a terminarlo così da iniziare il successivo.
Invece, cosa ci dici delle loro famiglie?
Anche i genitori, che inizialmente erano abituati a frequentare gli spazi scolastici, ora hanno trovato dei lavori e di fatto non hanno più bisogno di essere supportati nell’apprendimento di un mestiere. Hanno trovato un loro equilibrio.
Qual è il secondo progetto?
La Fairplay school, che si trova a Latina, in provincia di Roma, e che offre opportunità di formazione sportiva a ragazzi con disabilità più o meno gravi e svantaggi socioeconomici. Per maggiori informazioni il sito è www.everychildismychild.it.
Vi occupate di altro?
La nostra associazione finanzia in maniera mirata progetti che servono ogniqualvolta si presentano delle emergenze. Lo abbiamo fatto quando c’è stata l’emergenza del Coronavirus, supportando il Banco Alimentare attraverso una campagna di sensibilizzazione. Abbiamo aiutato con il finanziamento di un progetto molto importante di Soleterre ONG, che si occupa di aiutare i bambini malati oncologici ucraini. Adesso che c’è la guerra a Gaza, stiamo cercando di aiutare e di supportare con un progetto che spero diventi realtà.
Hai dichiarato che ci vorranno ancora cento anni per costruire una società più equa e un’umanità libera di poter amare senza timore. In che modo Every Child is My Child cerca di promuovere valori di parità di genere fin dall’infanzia?
La discriminazione di genere è una pratica che si mette in atto sin dal grembo materno. Al momento della nascita, con la scelta di mettergli addosso dei colori precisi, con l’affidargli giochi precisi e letture precise, con il dirgli delle cose, lo limitiamo in quella che è la gamma infinita di possibilità alle quali potrebbero accedere. Il dato che ho riferito relativo ai tempi entro i quali ci sarà un’assoluta parità di genere lo hanno riportato delle ricerche. Every Child Is My Child attraverso le sue azioni rende visibile ciò che è teorico, tutelando l’infanzia in zone e situazioni complesse dove i problemi sono drammatici e complicati.
Credi che qualcosa sia cambiato?
I nostri figli sono più preparati di noi perché sono più liberi e aperti. Siamo tutti cresciuti all’interno di una narrativa fatta di discriminazioni, soprattutto a scapito delle donne, ma è importante che sia emerso anche a scapito degli uomini. Non c’è assoluta libertà nemmeno per loro se poi sono condannati ad un modello maschile unilaterale. Ora, avendo affrontato il problema, l’uomo, il ragazzo, il bambino sono liberi di manifestarsi per quello che intimamente sentono. Mi auguro che i miei figli già possano essere liberi da questi discorsi, ma i miei nipoti lo saranno quasi sicuramente.
Fai parte della rete Una Nessuna Centomila e hai partecipato al corteo di Roma il 25 novembre 2023, portando i tuoi figli maschi. Come li guidi nel sostenere il discorso del femminismo?
La manifestazione del 25 novembre 2023 è stata forse la più bella manifestazione a cui ho partecipato, perché c’era un sentire comune assolutamente trasversale, anagraficamente diverso e molto emozionante. I miei figli sono andati con mio marito, il loro papà, e anche questo credo sia una cosa bella e giusta. L’esempio che si vede all’interno della propria famiglia fa la differenza. Noi siamo abbastanza anticonvenzionali da questo punto di vista, anche per il lavoro che faccio, che mi spinge spesso lontana da casa con un padre più presente poiché ha più disponibilità di tempo rispetto a me.
Già questo è un messaggio forte.
Perché vedono che esistono madri che aderiscono all’essere tali senza essere necessariamente sotto scacco della famiglia. Non vuol dire che non ci siano complicanze e difficoltà familiari, è più un equilibrio che si cerca di raggiungere partendo dal presupposto che non c’è un’alternativa. Culturalmente questo non viene ancora accolto come “normale”, nel senso che io sono ancora la madre che, quando per un periodo di tempo non va a prendere i figli a scuola, si sente dire: “ah ma che fine hai fatto?”, “dove sei stata?” e questo fa sempre un po’ male. Non tanto per me o per la mia famiglia ma perché ancora oggi mi rendo conto che, se una donna è meno presente rispetto a un uomo, si nota.
Invece, tornando al discorso del femminismo?
All’interno della mia famiglia se ne parla tanto, anche di femminicidio. Di tutto. Attraverso l’esempio si mostra loro che esiste, pure all’interno di una famiglia tradizionale come la nostra, un modello di femminilità molto forte che riesce ad adempiere ai propri desideri.
Cosa fa in tal senso Una Nessuna Centomila?
Promuove la materia dell’educazione all’affettività. Riteniamo che sia fondamentale anche il ruolo della scuola e dei formatori all’interno di un discorso così complesso, perché se da una parte il discorso sul femminile, sulla violenza e sulla discriminazione è avviato, dall’altra stiamo vivendo una stranissima capacità di manifestare i propri sentimenti in maniera libera, come se i nostri ragazzi non avessero avuto un’educazione tale per cui sia consentito mostrarsi per quello che si è davvero. C’è una stranissima dicotomia tra l’apertura verso il discorso e il sentire intimo dei nostri figli, per questo riteniamo che sia necessario portare nelle scuole la materia dell’educazione all’affettività.
Quali sono i piani futuri di Every Child is My Child?
Il lavoro di Every Child Is My Child è un lavoro quotidiano e portato avanti da volontari. Il lavoro più grosso è quello di reperire fondi da destinare a tutti i nostri progetti. Quello che più ci stimola è trovare nuove realtà da supportare. Il lavoro è preciso perché queste realtà, queste associazioni a cui poi destinare i proventi che raccogliamo devono essere certificate e godere della nostra stima e fiducia. È un lavoro di scouting elettrizzante perché sappiamo che la finalità è gratificante per i bambini, le loro famiglie e anche per noi.
Ci vuole una propensione a fare questo?
Io sostengo sempre un po’ per natura umana ma anche per esperienza sul campo. Consiglio a tutti di dedicarsi agli altri e di potersi aprire al prossimo. Anche con un pensiero, economicamente, intellettualmente o culturalmente. In qualsiasi modo purché l’attenzione per gli esseri umani sia al centro delle nostre vite, altrimenti il senso sembra perdersi.
Alessia Caliendo
Lo sguardo scelto per raccontare LE DONNE MANIFESTO è di Angelo Guttadauro
Nato tra i colori vibranti della Sicilia nel 1992, Angelo Guttadauro ha coltivato la sua passione per catturare la bellezza del mondo attraverso l’obiettivo. Dopo essersi laureato in Fotografia e aver conseguito una specializzazione in Direzione della Fotografia a Roma, attualmente risiede a Firenze. Con lo pseudonimo di “Guttæ”, ha ottenuto una serie di successi e riconoscimenti. Le sue opere sono state pubblicate su riviste di settore e ha avuto l’onore di esporre presso festival internazionali. Il focus principale della sua ricerca artistica è la comunicazione tra la fotografia e diverse discipline analogiche e digitali, come la scan art, la CGI e il set design.
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