Futuro Antico: intervista allo psichiatra Vittorio Lingiardi
Poetica e politica sono i pilastri su cui costruire il futuro, secondo lo psichiatra e saggista Vittorio Lingiardi. Eppure, visto il presente che viviamo, non è ottimista. L’abbiamo intervistato
Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario di Psicologia dinamica alla Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma e Senior Research Fellow della Scuola Superiore di Studi Avanzati Sapienza (SSAS). Dal 2020 è Presidente della Society for Psychotherapy Research-Italy Area Group (SPR-IAG). Ha pubblicato più di 200 articoli sulle più importanti riviste scientifiche internazionali. Tra i suoi ultimi libri: L’ombelico del sogno (Einaudi 2023); I meccanismi di difesa (Cortina 2023); Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo (Einaudi 2021); Diagnosi e destino (Einaudi 2018). Con Nancy McWilliams è coordinatore scientifico del progetto Psychodynamic Diagnostic Manual (Guilford Press, 2017; Cortina, 2018). Gli abbiamo chiesto di descriverci la sua idea di futuro.
Intervista a Vittorio Lingiardi
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Il primo riferimento, sempre dentro di me, è un verso di Robert Frost: “A poem is an arrest of disorder”. Pensare poeticamente mi sostiene e talvolta mi governa. È un modo per dare forma al dolore, per contenerlo e conoscerlo. Da anni, sul comodino, i versi di Emily Dickinson, che non è la lunatica reclusa e sempre vestita di bianco che ci hanno raccontato; semmai, le rubo un verso, “un arcobaleno – venuto dal bianco”. La parola poetica è una parola scelta ma spinta dall’inconscio. Un tentativo, forse l’ultimo, di dare un senso alle cose, ricomporle grazie a una disciplina creativa. Ma è anche una parola che ha conosciuto l’invasione del desiderio e il dolore della perdita. Wallace Stevens dice che la poesia è “una violenza interna che ci protegge da una violenza esterna”, “l’immaginazione che si oppone alla pressione del reale”. Non credo a un’ispirazione privilegiata, la mia esperienza è fatta di ispirazioni multiple, seminate nel tempo e nello spazio. Il primo incontro con la parola di René Char, la prima volta davanti a Giotto, a Caravaggio, a Bacon, il primo Fassbinder e la scoperta di Ozu.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Non c’è un progetto che mi rappresenta di più. Ci sono progetti che mi accompagnano e prima o poi diventano scrittura. Un “progetto”, se così si può chiamare, che mi rappresenta è senz’altro Mindscapes, cioè il mio modo di studiare, ascoltare e raccontare la psiche nel paesaggio, il suo sviluppo in un’area intermedia sé-mondo. Perché i luoghi sono al tempo stesso scoperta e invenzione, li possiamo trovare perché già in noi. I miei “progetti” sono sensibili al “richiamo visivo”: paesaggio, cinema, sogno. Tre luoghi, un unico discorso immaginale. Un altro mio progetto, qui tolgo le virgolette perché in questo caso il termine è più adeguato, riguarda il mio lavoro clinico sul rapporto tra psicopatologia e diagnosi. Una diagnosi clinica più vicina al “chi è” quel paziente piuttosto che al “che cosa ha”. È anche un modo di integrare la mia formazione psichiatrica con quella psicoanalitca. Nancy McWilliams ed io abbiamo costruito un manuale diagnostico, il PDM (Psychodynamic Diagnostic Manual) che propone un’idea di diagnosi come tensione tra l’unicità di un individuo (della sua storia psichica, sociale, biologica) e la sua contemporanea riconducibilità a un campo diagnostico con definizioni e caratteristiche comuni ad altre persone. Insomma la diagnosi clinica come tensione tra l’unicità irripetibile del caso e la sua generalizzabilità.
Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Genius loci, amor loci. Il contrario della nozione di “non luogo”. È il luogo della memoria, ma anche dell’enigma. Il mistero personale che fonda l’identità per poi disperderla nella sorpresa della creazione. Il mio Genius Loci è al tempo stesso la casa dove sono nato ma anche la spinta a separarmene per trovare altri luoghi. Mettiamola così: ci vogliono parecchi luoghi dentro di sé per avere qualche speranza di essere se stessi. O anche così: il mio Genius Loci è sempre abitato dall’Altro.
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Non ho il culto del passato e nemmeno una memoria-calendario. Ma non so vivere senza fedeltà alle mie relazioni. Il mio futuro è fatto di luoghi immaginati con altri. Il passato per me è un insieme di stati d’animo che cambiano accompagnandomi verso il futuro, che è spesso visitato dal tema della morte, conseguenza traumatica delle perdite precoci di mia madre e di mio padre. Quindi sì il futuro ha un cuore antico che ogni tanto dobbiamo dimenticare.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Eh, ma quale strada? La psicoanalisi? La carriera accademica? In ogni caso mi rivolgerei al vecchio adagio freudiano di amare e lavorare. Aggiungendo studiare, leggere, andare al cinema, ascoltare musica, viaggiare. Più che suggerimenti, ai miei allievi cerco di dare un buon esempio e di insegnare la capacità di giocare e mettersi in gioco senza sospendere la tensione etica. Vorrei non fossero arroganti o troppo convinti di sapere, per esempio di sapere che cosa è la psicoanalisi. Al tempo stesso segnalerei l’importanza della disciplina intesa come insieme di regole costruite per sé con altri. Le regole del setting, per esempio. Consiglierei di diffidare delle scorciatoie del potere istituzionale o delle ideologie psicoanalitiche e parrocchiali. Imparando però a rispettare chi è venuto prima. Vorrei che sapessero cogliere il momento per entrare e quello per uscire. E si lasciassero attraversare da due correnti, solo apparentemente alternative: la poetica e la politica.
In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro
Non penso al sacro come a un concetto, ma come a un sentimento. Che ciascuno prova e descrive, se riesce, come è capace. In me è ancora molto forte la dimensione pasoliniana del sacro, che è poi vicinissima a quella poetica. Pensando al tempo presente, che è un tempo in gran parte online, accosto l’idea del sacro all’idea di intimità e silenzio, di contatto con il proprio corpo, fisico e mentale. Già un secolo fa Matisse si lamentava che tutto ciò che vediamo è deformato dalle abitudini e dal “cumulo d’immagini già predisposte”. Ecco, questo cumulo di immagini, il loro affollarsi, mi sembra una delle cose più lontane dal tema del sacro. La mia esperienza di sacro richiede il sentimento di resa e di comunione con l’oggetto. Un oggetto che diventa un’altra cosa senza cessare di essere se stesso.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Se sarà figlio di questo presente lo vedo male. Negli ultimi decenni è come se la storia si fosse ripiegata su sé stessa e la politica avesse perso la sua funzione di pensiero, inseguendo il narcisismo personale e la semplificazione. Non saprei proprio trovare tre idee che guideranno i prossimi anni. Non credo di poterla chiamare un’idea, ma sicuramente protagonista dei prossimi anni sarà l’intelligenza artificiale, nel suo uso pro-umano ma sicuramente anche in quello dis-umano. I temi del futuro sono nel presente: migrazioni, clima, tecnologie, genere. Per il futuro temo il progressivo aumento della distanza tra il mondo dei ricchi e quello dei poveri. In tutto questo non vorrei perdessimo la speranza, che è poi la possibilità di sognare. Sogno è la parola più notturna e privata, ma anche la più luminosa e politica. Solo il dialogo io-tu-noi, la traversata dall’I-mode al We-mode, l’integrazione psichica che riduce il fanatismo delle polarizzazioni, possono aiutarci a sognare un futuro che ci aiuti a uscire da questa Psychocalypse now.
Marco Bassan
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