Il futuro della Pinacoteca di Brera. Intervista al direttore Angelo Crespi
Angelo Crespi, nuovo direttore della Pinacoteca di Brera, si racconta in questa lunga intervista. E ci racconta in questo ampio colloquio il progetto della Grande Brera, con la prossima apertura di Palazzo Citterio
Quando Angelo Crespi (Busto Arsizio, 1968) attraversa le gallerie della Pinacoteca di Brera — il grande museo milanese che dirige da gennaio — saluta cordialmente e stringe la mano ai vigilanti di sala che incontra. Un gesto spontaneo, che rivela l’attitudine di un manager della cultura che sembra considerare il “capitale umano” di un museo importante tanto quanto i capolavori che custodisce. Crespi, che subentra alla direzione del britannico James Bradburne (Toronto, 1955), non è uno storico dell’arte, ma uno scrittore con una laurea in giurisprudenza, un giornalista “prestato” alla cultura. Un profilo, del resto, simile a quello del Ministro Gennaro Sangiuliano che lo ha nominato e che in Crespi confida per l’inaugurazione della Grande Brera, con l’apertura di Palazzo Citterio prevista per il 7 dicembre prossimo.
Angelo Crespi direttore della Pinacoteca di Brera. Un giornalista prestato alla cultura
“Per molti anni mi sono dedicato quasi esclusivamente al giornalismo”, racconta Crespi, che ha iniziato negli anni Novanta collaborando con la redazione culturale de La Prealpina di Varese, storico giornale della sua provincia. “Tra il 2002 e il 2009 ho intrapreso l’avventura editoriale de ‘Il Domenicale’, settimanale culturale di centro destra. La mia fu una direzione improntata al cosiddetto ‘fusionismo’, un pensiero che mirava a mettere insieme tutte le varie anime intellettuali della destra, da quella cattolica a quella libertaria, da quella tradizionalista a quella liberale, passando per i conservatori e i radicali. Fu un esperimento straordinario, credo irripetibile’”. Nel 2008 è Sandro Bondi a volerlo al suo fianco al Ministero per i Beni e le attività culturali. “Come consigliere di Bondi, ho iniziato a occuparmi in modo specifico di patrimonio, conservazione e politica culturale. Nel 2009, ho inaugurato il Maga, museo d’arte di Gallarate (l’ex Galleria Civica) che conta, infatti, tra i soci fondatori — oltre alla Regione, la Provincia e il Comune di Gallarate — anche il Mibact. Ho ricoperto poi alcuni importanti incarichi che riguardavano la gestione e l’amministrazione di famosi luoghi della cultura: sono stato presidente di Palazzo Te, a Mantova, e consigliere d’amministrazione di Triennale, della Permanente e del Piccolo Teatro di Milano”.
Negli ultimi tempi, Crespi si è concentrato sulla formazione nel campo del restauro. Il suo ultimo, significativo impegno è stato, infatti, quello di direttore scientifico e poi di presidente di Valore Italia. “Valore Italia è una impresa sociale che ha acquisito la storica Scuola di restauro di Botticino e ne ha portato la sede a Milano, creando laboratori di 6mila metri quadrati. Si tratta di una delle quattro accademie di restauro che in Italia erogano la laurea specifica, insieme al Centro della Venaria Reale, a Torino, all’Opificio delle pietre dure di Firenze e all’Istituto Centrale per il restauro di Roma. Lavorare per Valore Italia è stata un’esperienza appassionante e formativa: il mondo della conservazione e del restauro è complesso, ma ricco di novità, soprattutto di carattere tecnologico; i restauratori e i ricercatori italiani sono considerati i migliori al mondo”.
Angelo Crespi e la critica al sistema dell’arte contemporanea
Curioso ed eclettico come ogni giornalista che si rispetti, Crespi è passato in breve anche alla critica d’arte e alla curatela, firmando un centinaio di mostre in Italia e all’estero, soprattutto di arte contemporanea. Curiosamente, però, alcuni dei libri che ha pubblicato negli ultimi anni – Ars Attack: il bluff del contemporaneo (Johan & Levi, 2013), Costruito da Dio. Perché le chiese contemporanee sono brutte e i musei sono diventati le nuove cattedrali (Johan & Levi, 2017) e il più recente Nostalgia della bellezza. Perché l’arte contemporanea ama il brutto e il mercato ci specula sopra (ed Giubilei Regnani, 2021) – contengono una dichiarata quanto aspra critica al sistema imperante dell’arte contemporanea, sistema al quale lo stesso Crespi appartiene. “I miei libri spesso sono dei veri e propri pamphlet, scritti polemici in antitesi al pensiero dominante, che si ispirano alle idee di personalità come Jean Clair, Robert Hughes, Tom Wolfe, Clement Greeenberg o Marc Fumaroli. La mia è un’opposizione radicale ai lati peggiori dell’art system, contro lo strapotere ideologico dei curatori e contro la provocazione a tutti i costi insita nell’arte concettuale, dove spesso domina il brutto e l’insensato, prediligendo invece la bellezza che promana dall’arte antica e dall’arte della tradizione, in cui ai concetti si preferisce il saper fare”.
Angelo Crespi sul profilo del gestore di un museo autonomo
A tre mesi scarsi dalla nomina, all’entusiasmo iniziale è subentrata la consapevolezza degli oneri e il peso inevitabile delle numerose responsabilità che comporta la direzione di un importante museo statale e autonomo come la Pinacoteca di Brera, con una collezione straordinaria tra le più importanti al mondo, a cui è annessa la Biblioteca Braidense, istituzione antica nonché la terza in Italia per valore dei volumi che custodisce. “In base alla riforma Franceschini del 2014, i cui effetti sono stati ulteriormente ampliati ora dal ministro Sangiuliano”, spiega Crespi, “il profilo del gestore di un museo autonomo richiede moltissime competenze, soprattutto giuridiche e amministrative, che vanno ben oltre la formazione dello storico dell’arte. Sul direttore, per esempio, ricadono tutte le responsabilità civili e penali tipiche del datore di lavoro in ordine alle gare d’appalto e alla gestione dei dipendenti, che nel caso di Brera sono 140. Oggi, del resto, anche nel settore pubblico della cultura si richiede una gestione economicamente sostenibile e il direttore di un museo autonomo è diventato una sorta di amministratore delegato”.
Nello stesso complesso storico di Brera — nome che deriva dalla parola braida, terreno incolto e fondo adiacente alla città — coesistono diverse realtà culturali: l’Istituto lombardo per le scienze e le lettere, la Società Storica Lombarda, l’Archivio Ricordi, oltre all’Orto Botanico, all’Osservatorio Astronomico e all’Accademia di Belle Arti. “Sono tutte istituzioni secolari, che in parte sorgono durante il dominio austriaco, in parte in epoca napoleonica. Anche se non dipendono direttamente dalla mia direzione (come la Pinacoteca e la Braidense), in realtà rappresentano un nucleo importante dell’eredità storica e culturale milanese. E ho scoperto, appena arrivato, che sono anche l’amministratore di questo complesso condominio”.
Angelo Crespi e la Grande Brera
La Grande Brera, con l’apertura al pubblico di Palazzo Citterio prevista per il 7 dicembre prossimo, è un’autentica sfida per il nuovo direttore. Palazzo Citterio è un edificio nobiliare del barocchetto settecentesco milanese, con una lunga facciata frontale su via Brera (ai civici 12 e 14), caratterizzata da eleganti balconcini in ferro arabescati; un ampio cortile interno, con due lati porticati, e un bel giardino al fondo, adiacente all’Orto Botanico e al quale verrà unito da un passaggio. Acquistato dallo Stato nel 1972, con l’intento di ospitare l’ampliamento della Pinacoteca di Brera, ha subíto diversi interventi di riqualificazione, il primo dei quali nel 1986 per mano dell’architetto britannico James Stirling (1926-2009), autore della sala ipogea in stile tardo brutalista, alla quale si accede dal cortile. Il progetto, però, è rimasto inspiegabilmente bloccato per decenni, fino al 2015-2018, quando sono state completate le opere di consolidamento e predisposti i servizi per il nuovo museo. “Il mio primo obiettivo, e devo ringraziare il ministro Sangiuliano di questa possibilità, è portare a compimento la Grande Brera e realizzare il sogno di Franco Russoli (1923-1977), il direttore che nel 1972 fece comprare Palazzo Citterio dallo Stato. Il secondo obiettivo è invece quello di costruire un patto per Brera, ossia coinvolgere una ventina o più di stakeholders, imprenditori che, attraverso l’Art Bonus, si impegnino a sostenere la Grande Brera durante gli anni del mio mandato. Fondamentale, poi, la collaborazione con Gli Amici di Brera, associazione di privati che nel 2026 compie cent’anni e che, tra le tante iniziative, ha acquistato nel 1939 per la pinacoteca ‘La cena in Emmaus’ di Caravaggio. Terzo e ultimo obiettivo, riportare Brera al centro delle dinamiche culturali di Milano, e soprattutto comunicare come fossimo una media company. Ossia, una comunicazione integrata con il prodotto che, nel caso di un museo, è un prodotto simbolico, carico di valori legati alla nostra civiltà”. La sfida di Crespi non è soltanto rendere piacevole la visita e conservare manufatti d’arte, ma anche raccontare cosa si fa in un museo, dimostrare come si impiegano i soldi pubblici e cercare di restituire alla comunità qualcosa anche in termini di responsabilità sociale.
La museografia di Palazzo Citterio
In compagnia di Angelo Crespi abbiamo varcato in anteprima il portone di Palazzo Citterio, dove tutto sembra ormai pronto, o quasi, per l’apertura al pubblico. Abbiamo visitato il piano nobile apprezzando le decorazioni dei soffitti e gli stucchi ottocenteschi, le porte con volute e pannelli decorati in velluto o a specchi stile art déco; gli armadi a muro in legno dipinto e un bagno d’epoca quasi intatto; l’affaccio incantevole sul lato di via Brera e quello, molto più luminoso, sul cortile interno, con vista al giardino. “Il progetto museografico è semplice; il percorso di visita è obbligato dalla distribuzione originaria delle sale al piano nobile e da quelle nuove al piano superiore. Sembrerà, per certi versi, un’antica casa milanese e l’allestimento avrà la dimensione di una collezione privata”, come quelle di Emilio e Maria Jesi e di Lamberto Vitali, le famiglie che hanno donato a Brera le opere che verranno esposte. “Gli eredi hanno preteso che i due lasciti, straordinari, restino separati, condizione che, se da un lato potrà creare qualche piccola incongruenza nel percorso di visita, dall’altro permetterà di restituire l’idea originaria delle collezioni. Nel complesso, a Palazzo Citterio potremmo ammirare alcune meravigliose opere di Boccioni, di Modigliani, di Morandi, ma anche di Picasso, Braque, Carrà, De Pisis… ossia il meglio della pittura italiana e non solo, fino agli anni Cinquanta del Novecento”. L’opera iconica del nuovo museo potrebbe essere Rissa in galleria di Boccioni (presente anche con il suo unico autoritratto divisionista), mentre la Fiumana di Pellizza da Volpedo, un quadro enorme oggi non esposto, fungerà da trait d’union ideale tra la collezione storica della Pinacoteca, il cui percorso si conclude nel 1860, e le prime sale di Palazzo Citterio, con opere di Boldini, Previati e di altri pittori di fine Ottocento.
Brera e gli architetti, prima mostra temporanea
“Per le mostre temporanee, invece”, conclude il direttore Angelo Crespi, “avremo a disposizione due spazi diversi. La sala ipogea progettata da Stirling è uno spazio spettacolare di 300 metri quadrati in stile brutalista, praticamente openspace (a parte la colonna al centro), con un’altezza di nove metri e doppio ingresso, perfetto per ospitare installazioni site specific di arte contemporanea. La prima esposizione sarà ospitata, invece, negli ampi spazi ricavati all’ultimo piano del palazzo. Sarà una mostra di architettura, dedicata alla storia dell’edificio storico di Brera, dalle origini ai giorni nostri, raccontato attraverso i progetti di Richini, Piermarini fino agli interventi più contemporanei di Gregotti, Portaluppi, Albini, e di tutti quelli che hanno lasciato una traccia nelle sale della pinacoteca. Una bellissima storia che merita di essere raccontata, a cura di Luca Molinari, storico dell’architettura e docente alla Facoltà di Architettura Vanvitelli di Napoli”.
Federica Lonati
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