Intervista a Enrico Pinto, il fumettista rivelazione del 2023 

Con il suo fumetto d’esordio, “Lo schermo bianco” uscito per Coconino Press, ha conquistato critica e pubblico. Stiamo parlando di Enrico Pinto, ospite di Artribune Magazine 77

Lo scorso anno il suo fumetto d’esordio, Lo schermo bianco ci ha stregati, al punto da inserirlo della lista dei migliori comics usciti nel 2023. Potevamo farci sfuggire l’occasione di intervistarlo? Ecco il sunto della nostra chiacchierata con Enrico Pinto, e un suo fumetto inedito disegnato per Artribune

Enrico Pinto. Photo Fulvio Risuleo
Enrico Pinto. Photo Fulvio Risuleo

Intervista a Enrico Pinto 

Cosa vuol dire per te essere fumettista? 
È difficile resistere alla tentazione di cercare una risposta brillante. In realtà sto ancora cercando di capire cosa significa fare il fumettista. Forse banalmente, direi che per me vuol dire fabbricare immagini, anzi pensare per immagini e poi lasciare che raccontino qualcosa. Immagini cariche di senso e a volte di testo, che poi si legano tra loro grazie alle magie del ritmo, della composizione e dello spazio bianco tra le vignette. Insomma, è un bellissimo modo per raccontare delle storie. Lo facevo fin da bambino ma non avrei mai pensato che potesse diventare un lavoro. Per smorzare l’entusiasmo però, spesso fare fumetti per me significa passare ore su Photoshop a ritoccare le lettere storte e le imprecisioni delle tavole.   

Sei un nome nuovo del fumetto italiano: il tuo primo libro è stato da poco pubblicato per Coconino Press. Aiutami a presentarti a chi non ti conosce. 
Sono nato nel 1993 a Salerno e ho studiato architettura a Milano. Dopo aver lavorato come architetto in giro per l’Europa, mi sono ritrovato a Parigi, dove ho scoperto il mondo del fumetto francese – in particolare grazie a Blast di Manu Larcenet. Mi sono iscritto a qualche corso serale di disegno e ho iniziato a fare fumetti in ogni ritaglio di tempo libero. Poi nel 2021 ho partecipato alla prima call per esordienti di Coconino, e sono stato selezionato con il progetto de Lo schermo bianco. Oggi lavoro come freelance su progetti abbastanza eterogenei, come fumetti per giornali, immagini di concorso per studi di architettura, animazioni per una compagnia di circo, etc. 

Il fumetto di Enrico Pinto per Artribune
Il fumetto di Enrico Pinto per Artribune

Il fumetto “Lo schermo bianco” di Enrico Pinto 

Lo schermo bianco è il tuo libro d’esordio. E che esordio! In molti – inclusi noi di Artribune – lo abbiamo inserito tra i migliori fumetti del 2023, al fianco di produzioni ben più blasonate e di nomi assai più noti. Ti aspettavi questo riscontro? Quanto credevi nel progetto? 
Innanzitutto, grazie per averlo inserito tra i migliori fumetti! Pur temendo di risultare antipatico, non nascondo che credevo molto in questo progetto. In realtà sono una persona abbastanza ambiziosa, quindi qualsiasi vignetta faccia, anche su Instagram, immagino subito che venga eletta vignetta dell’anno. Poi per fortuna ricevo regolarmente delle batoste che mi aiutano a ridimensionarmi. Ma Lo schermo bianco è un progetto a cui tengo molto, senza il quale probabilmente non mi sarei tuffato di testa nel mondo del fumetto. Quindi sì, speravo con tutto il cuore in un buon riscontro. Ovviamente, a tutta questa spavalderia corrispondeva una smisurata paura di fare una grande figura di merda.  

Il libro prende il titolo da un gruppo di manifestanti che alzano lo schermo dei cellulari in segno di rivolta contro le politiche reazionarie della Francia. A questo espediente narrativo si intreccia la vicenda affettiva tra il protagonista Salvo e Sistine. È un fumetto d’azione, una storia d’amore, o una riflessione su tematiche complesse del nostro tempo? 
Se devo trovare una definizione per il fumetto, è un thriller che ruota intorno a una storia d’amore. Forse però – anche perché si tratta del mio primo libro – ho cercato di metterci dentro di tutto: un fumetto intimista, progetti di architettura distopica e un pizzico di graphic journalism. Il movimento politico dello schermo bianco è nato effettivamente come un semplice espediente narrativo, ma poi ha preso importanza nella storia fino a concretizzarsi in un’immagine trainante e diventare addirittura il titolo del libro. La dimensione politica del thriller però resta sullo sfondo: a volte vuole esprimere una visione personale del mondo, a volte serve solo a esasperare le relazioni tra i personaggi. In generale, credo che sia impossibile non parlare del nostro tempo, anche quando si fanno opere meno connesse con la realtà.  

La triste sequenza di attentati in Europa, le primavere arabe, le rivolte popolari organizzate grazie ai social network: sono alcuni dei temi che entrano ed escono dalla storia d’amore tra i due ragazzi. Quali aspetti sociali ti interessava approfondire maggiormente? 
Di sicuro i temi sociali più evidenti nel libro sono quelli legati alla militarizzazione della città e alla violenza della polizia, che sono estremamente critici in Francia. Me ne sono reso conto anche semplicemente partecipando alla prima delle tante manifestazioni che ogni tanto si riversano nelle strade di Parigi. Purtroppo, i recenti pestaggi degli studenti a Pisa riaccendono la luce sul problema anche in Italia.  
Inoltre, mi interessava parlare dell’importanza dello spazio digitale nel nostro modo di partecipare alla vita sociale e politica. Ormai non è più importante ciò che avviene, ma come viene raccontato. E spesso il nostro modo di usare gli schermi può essere superficiale e poco critico. È per questo che lo schermo bianco non è un movimento del tutto positivo. Volevo parlare anche delle ombre insite nelle rivoluzioni digitali.  

Il fumetto di Enrico Pinto per Artribune
Il fumetto di Enrico Pinto per Artribune

Enrico Pinto tra fumetto e architettura 

Protagonista silenziosa del fumetto è l’architettura. Gli edifici subiscono e indirizzano allo stesso tempo le scelte delle persone, partecipano in maniera attiva alla storia. Il tuo sguardo da architetto ha giocato un ruolo determinante nelle scelte visive e narrative. 
Quando ho partecipato ai primi festival di fumetto, ho scoperto che almeno un fumettista su due è architetto – o almeno ha studiato architettura! Penso che siano due discipline molto legate, anche se destinate a prodotti culturali completamente diversi. Di sicuro molti degli strumenti appresi all’università mi sono stati utili nell’elaborazione del fumetto, dalla composizione geometrica alla progettazione vera e propria. L’architettura poi è più tecnica di quello che si vuole raccontare. Nel fumetto c’è molta più libertà artistica. Anche se cerco con tutte le mie forze di allontanarmi dal mestiere di architetto, spesso i miei fumetti e le mie illustrazioni parlano di architettura. È un tema molto grafico e accessibile: spesso attraverso l’architettura si possono esprimere concetti molto complessi.  

Nel libro Parigi sembra un enorme laboratorio di cambiamento, urbano e sociale. Da quanti anni vivi lì e che rapporto hai con questa città? 
Oggi festeggio (metaforicamente) sei anni esatti che vivo a Parigi. Quando sono arrivato pensavo di essere solo di passaggio. Poi ho iniziato ad accumulare nel mio minuscolo appartamento troppi fumetti, mobili e amicizie, e l’idea di andarmene ha iniziato a farmi sempre più paura. Nel mio dossier di presentazione per Coconino avevo scritto che i veri personaggi del fumetto erano i luoghi. E in effetti la trama è costruita intorno al quartiere delle Halles e alla Biblioteca nazionale, che è uno dei miei edifici preferiti. In realtà, parlare di Parigi è come parlare di qualsiasi città europea, perché fin dal 1800 è stata un vero e proprio modello per le trasformazioni urbane di moltissime città, se non dell’idea stessa che abbiamo della metropoli. 

Il fumetto che hai disegno per Artribune si intitola: “Volver a Barcelona”. Di cosa parla? 
È un fumetto autobiografico e autoironico sul mio ritorno a Barcellona, città dove ho fatto un lungo Erasmus e dove ho passato forse il periodo più bello della mia vita. A metà strada tra una lunga striscia umoristica e il breve diario di bordo di un viaggio introspettivo, ho cercato di dissezionare le sensazioni che ho provato nel tornare indietro, o meglio di descrivere l’inaspettata assenza di sensazioni. Forse legata a un’eccessiva anticipazione o un’apatia generalizzata, ho analizzato questa bizzarra esperienza urbana attraverso i cambiamenti più evidenti della città e i dettagli più intimi dei miei ricordi.  

Alex Urso 

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Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

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