Kit eliminacode e fichi d’India. La nuova opera di Luca Staccioli a miart 2024
È inedita la serie che l’artista classe 1988 presenterà allo stand della ArtNoble Gallery in occasione della fiera miart 2024. Una riflessione ecologica (e non solo) di cui ci parla lo stesso Staccioli
Tra paesaggio antropico e mondo animale (interrogato, de-costruito, distrutto e ri-costruito), l’opera di Luca Staccioli (Imperia, 1988) sarà presentata con la serie inedita Kit eliminacode multifunzione (fichi d’India) durante miart 2024 – in programma a Milano dal 12 al 14 aprile, con preview l’11 – allo stand di ArtNoble Gallery nella sezione Emergent. “Presentandoci in una fiera internazionale con un solo booth e una serie inedita vogliamo portare in mostra questa importante fase creativa di Staccioli e valorizzare il suo lavoro di ricerca sul contemporaneo”, raccontano dalla galleria. Dall’atteggiamento di denuncia a una pratica di ricostruzione, passando per i riferimenti che ne hanno accompagnato l’ispirazione, fino ai progetti futuri, ci siamo fatti raccontare in anteprima dall’artista il progetto espositivo di ArtNoble Gallery per la fiera milanese d’arte moderna e contemporanea.
Intervista a Luca Staccioli
Com’è nata la tua ricerca e come si è sviluppata in questi anni?
Da diverso tempo sentivo la necessità di indagare il paesaggio non urbano, osservare come si trasforma, come si relaziona alla realtà antropica e come se ne riappropria quando il mondo vegetale e il mondo animale (non umano) vengono lasciati liberi. Questa dimensione spontanea e incontrollabile propone paradigmi non omologati di convivenza tra specie, così differenti dall’ordine delle città capitalistiche e dalla rigida e ripetuta scansione temporale delle attività produttive. Ho cominciato a riflettere sul significato stesso di naturale e ho iniziato a unire, o fare scontrare, gli elementi urbani, legati al consumo e al lavoro presenti nelle mie opere con il paesaggio organico di alcune zone caratteristiche della macchia mediterranea, volendo osservare un paesaggio familiare e non esotico. Quello che nell’ultima mostra personale Wake-up call (presso ArtNoble Gallery nel 2023) era un paesaggio urbano, un playground conturbante con finestre, strade, piccoli scorci di cielo, carrelli della spesa e sedie da ufficio nel Castello (di sabbia?) ha iniziato a trasformarsi. Posso dire che ho seguito io in primis la via di fuga proposta dall’opera Way out (il cartello di uscita d’emergenza decostruito e ricomposto con materiali di scarto), che invitava tramite la scritta wake-up call a cercare un cambiamento attraverso nuovi paradigmi. Kit eliminacode multifunzione nasce a Stromboli, durante la residenza Tagli. Lì ho realizzato i primi disegni collage da cui poi si è sviluppata la dimensione scultorea.
Con la serie inedita Kit eliminacode multifunzione (fichi d’India) passi da un atteggiamento di denuncia verso il sistema contemporaneo a una pratica di ricostruzione della realtà ecologica. Cosa ti ha portato a questo ulteriore approccio?
Osservando a posteriori lo sviluppo della ricerca direi che il passaggio è avvenuto con naturalezza. L’ecologia non è solo naturale, in eguale misura deve essere anche mentale e sociale. Gregory Bateson lo ha detto prima di tutti, credo. L’atteggiamento di denuncia fa parte del primo passo verso la dimensione di trasformazione, è il momento interrogativo, de-costruttivo e distruttivo. Forse, proprio l’osservazione del mondo non umano mi ha dato l’ispirazione per immaginare qualcosa che dovesse rinascere. Nella mia pratica, trasformare la forma degli oggetti del quotidiano e, soprattutto, privarli della funzione con cui sono stati progettati e prodotti de-contestualizzandoli è un processo creativo per immaginare la nostra realtà diversamente e far si che il nostro corpo e il nostro sguardo si relazionino in maniera alternativa rispetto a ciò che ci circonda. Nel caso della serie Kit eliminacode multifunzione, quasi per magia, queste forme sembrano fiorire, come se si ricostruissero da sole. Con queste ho giocato cercando di dar loro una nuova vita e immaginando di ri-costruirle da scarti del presente.
Perché hai scelto di partire dalla chiocciola del kit eliminacode del banco gastronomia del supermercato? Che valore dai a questo oggetto? E ai fichi d’india?
Ho scelto la chiocciola del kit eliminacode del supermercato perché la sua forma mi gira continuamente in testa. È buffa, è antropica e animale allo stesso tempo. Mentre il supermercato è un luogo ricco di elementi quotidiani e oggetti culturali che non possono far altro che stimolare la mia ricerca. Il kit eliminacode è in quasi tutti i supermercati, lo si trova nelle sale d’attesa: è un oggetto che ordina, mette in fila, dà delle priorità, permette di consumare, fare parte di un sistema in maniera organizzata. Il fico d’india, invece, è parte del paesaggio mediterraneo, per me familiare e aliena allo stesso modo. Ha qualcosa di totemico e qualcosa di gioioso. Sono partito da questo frutto in maniera molto libera, senza volerlo necessariamente rappresentare. Mi interessava, soprattutto, lavorare su una forma organica e antropica allo stesso tempo, e il fico d’india era un ottimo pretesto. Ho fatto molte ricerche, mi sono confrontato con scienziati e botanici e mi ha appassionato la capacità del fico d’india di auto-generare se stesso, moltiplicandosi dalle proprie parti cadute e creare, nel tempo, gruppi naturali sempre più grandi, per proteggersi. Inoltre, il fico d’india è anche una forma colonizzata, abusata dall’uomo nel produrre gadget, portafortuna, rappresentazioni stereotipate del mediterraneo. Questo aspetto socioculturale era per me molto interessante.
Quali sono i tuoi riferimenti (libri, film, ricerche di altri artisti…)?
Molteplici. Mi piace osservare gli sconti del supermercato, il packaging dei prodotti, i giocattoli per bambini. Sono molto significativi i souvenir: riescono sempre a focalizzarsi su un aspetto forzatamente esotico del luogo che rappresentano. Artisti che sicuramente mi hanno formato sono Mike Kelley, Dieter Roth, Pino Pascali e Kurt Schwitters, ma anche Giorgio Morandi e Marino Marini. E poi adoro le espressioni artistiche popolari altomedievali, astratte e realistiche allo stesso tempo. A questo progetto sono legate letture varie, da libri sulla macchia mediterranea e il giardinaggio a quelli dello scrittore ligure Francesco Biamonti, e ancora Bateson, Deleuze e Guattari e ovviamente Morton e Haraway. Ultimamente sto leggendo e rileggendo Dissipation Humanis Generis di Morselli (che spesso accompagna i miei progetti) e Anna Maria Ortese.
Prospettive future, prossimi progetti…
Vorrei dare respiro a quest’ultima serie, sperimentando soprattutto le forme scultoree con spazi e display differenti. La dimensione allestitiva è sempre capace di rinarrare un’idea, conferendole nuova forza e significato. Per quanto riguarda nuovi progetti, posso dire che l’indagine sul paesaggio e lo scontro tra elementi non umani e scarti antropici mi sta particolarmente a cuore. In cantiere ho già una nuova serie che possiamo definire scultorea, volevo poi ritornare al disegno, al collage e al video: ho moltissimo materiale che sento di essere quasi pronto a portare avanti.
Caterina Angelucci
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