Le avanguardie dell’Uzbekistan in mostra a Venezia e Firenze. Intervista ai curatori 

“Una doverosa restituzione”. Così i curatori Silvia Burini e Giuseppe Barbieri parlano delle due mostre che, all’Università Ca’ Foscari e a Palazzo Pitti, raccolgono capolavori dell’arte centroasiatica di inizio Novecento provenienti dai maggiori musei dell’Uzbekistan

La luce e il colore e La forma e il simbolo sono i sottotitoli delle mostre inaugurate il 17 aprile 2024 rispettivamente a Palazzo Pitti (Firenze) e Ca’ Foscari Esposizioni (Venezia), raccolte sotto il titolo comune di UZBEKISTAN: L’Avanguardia nel deserto. Abbiamo parlato con i curatori Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, docenti di Storia dell’Arte Contemporanea e Storia dell’Arte Moderna all’Università Ca’ Foscari e direttori del Centro Studi sull’Arte Russa (CSAR). 

Usto Mumin (Aleksandr Nikolaev), Gioventù, Museo statale delle arti del Karakalpakstan intitolato a I.V. Savickij, Nukus, Uzbekistan. In mostra a Firenze
Usto Mumin (Aleksandr Nikolaev), Gioventù, Museo statale delle arti del Karakalpakstan intitolato a I.V. Savickij, Nukus, Uzbekistan. In mostra a Firenze

Intervista a Silvia Burini e Giuseppe Barbieri 

Le mostre di Venezia e Firenze propongono una nuova lettura dell’arte dell’Asia Centrale e in particolare uzbeka. Perché gli artisti della cosiddetta Avanguardia Orientalis meritano attenzione? 
Per cominciare potremmo rispondere scientificamente: meritano la nostra attenzione perché, prima di tutto, sono quasi sconosciuti fuori dai confini dell’Uzbekistan o dell’ex URSS. Solo pochi addetti ai lavori hanno sentito parlare in Occidente di Volkov, Karachan, Kašina, Korovaj, Tansykbaev, Tatevosjan, Usto Mumin, Ufimcev: sono russi, russi d’Oriente, uzbeki, kazaki, armeni, sono uomini e donne che hanno lasciato un segno profondo nella prima autentica espressione artistica originale del Centro-Asia, all’inizio del Novecento. Rendere pubblico l’inedito, o il pressoché inedito, è uno dei compiti fondamentali dell’ambiente universitario. 
Nessuna moda, insomma, nessuna ricerca dell’insolito: piuttosto, una doverosa restituzione. È la seconda parte della nostra risposta: meritano la nostra attenzione perché le loro opere sono di alta e talvolta altissima qualità. Vi si riconoscono le matrici dell’Avanguardia russa di Kandinskij, Malevič, Ekster, Lentulov, Rodčenko, ma emerge anche, con grande evidenza, la secolare tradizione culturale di una regione impregnata di luci, colori, decorazioni, tessuti, incanti. Molti artisti sono rimasti affascinati da questa bellezza e hanno deciso per questa ragione di lavorare lì. Ma i loro esiti sono tutt’altro che marginali. 
Infine: questi artisti sono stati un network, la loro è stata un’esperienza di rete, anche politica, di trasformazione sociale, di artivismo, di dialogo internazionale, interculturale e interconfessionale. Si ritorna a parlare anche troppo spesso, talvolta a sproposito, dei rapporti tra Oriente e Occidente. Avanguardia Orientalis è un case study paradigmatico. 

Il tema della 60esima Biennale di Venezia è Stranieri Ovunque: anche le vostre mostre rispondono alla progressiva globalizzazione a cui stiamo assistendo e all’ampliamento dello sguardo che essa comporta? 
Il nostro approccio, e non solo in questa circostanza, è quello della semiotica della cultura di Jurij Lotman, che si è interrogato a fondo su ciò che rende “dinamico” un sistema culturale. Uno dei meccanismi da lui più frequentemente indicati è quello che mette in confronto l’identità e la differenza: il “proprio” e l’“altrui”, nel suo lessico. Significa percepire lo straniero come forza, non come pericolo. Funziona in tutte le congiunture in cui c’è stata un’autentica crescita culturale, attraverso un reciproco arricchimento. 
In questo caso ci troviamo di fronte a una scuola pittorica originale in cui tutti, chi in un modo chi in un altro, erano “stranieri”: per provenienza, formazione, sensibilità, linguaggi stilistici. L’Avanguardia nel deserto definisce quindi un’identità eclettica, che si congiunge e si radica in un territorio senza tradizione pittorica: questo ha determinato una creatività incredibile, quella che documentiamo, e una maggiore libertà espressiva, almeno fino al 1937, quando anche in Uzbekistan il Realismo socialista diviene legge, canone, senza più potersi appellare alle radici di un territorio da interpretare. Se guardiamo con attenzione ai loro segni il nostro sguardo si allarga e si precisa. 

Firenze e Venezia sono due dei maggiori centri di sviluppo artistico del Belpaese. Quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra la cultura italiana e quella uzbeka? 
Se dobbiamo parlare di punti di contatto culturali in senso lato, sono infiniti, ma questo vale anche per le pratiche artistiche: l’Uzbekistan è infatti una delle tappe essenziali tra l’Europa e l’Oriente, la Cina. Samarcanda e Bukhara evocano per esempio una millenaria tradizione tessile, a partire dai tappeti. Non solo furono posseduti da papi, sovrani, principi, signori, ma compaiono anche, almeno dalla fine del XIII sec., in affreschi e dipinti. E basterà ricordare inoltre Marco Polo (di cui quest’anno celebriamo il settimo centenario della morte), oppure Gentile Bellini a Istanbul tra 1479 e 1481, o le sete conservate a Firenze al Museo del Bargello, i codici e le miniature con immagini che ricordano quelle di Mazel’ o di Usto Mumin. Aleksej Isupov, che esponiamo, ha trascorso quasi trent’anni della sua vita in Italia; Aleksandr Volkov, forse il più autorevole protagonista dell’Avanguardia Orientalis, è stato studiato a Ca’ Foscari, più di vent’anni fa, e alcuni nostri colleghi hanno tradotto i suoi versi affascinanti, che gli erano valsi l’amicizia di Esenin. 

Oganes Tatevosjan, Lo scriba dei talismani, 1920. Museo Statale delle Arti dell’Uzbekistan, Tashkent
Oganes Tatevosjan, Lo scriba dei talismani, 1920. Museo Statale delle Arti dell’Uzbekistan, Tashkent

Le opere provengono dalle collezioni di due importanti istituzioni uzbeke, il Museo Statale delle Arti dell’Uzbekistan di Tashkent e il Museo Statale delle Arti del Karakalpakstan intitolato a Savickij di Nukus. Quali criteri hanno guidato la selezione? 
Un’attenta e paziente opera di ricognizione, svolta soprattutto nei depositi dei due musei. L’obiettivo, che è in fondo quello che caratterizza queste mostre, era quello di saldare le due raccolte per consentire una nuova prospettiva di interpretazione nei rapporti tra Avanguardia russa e artisti del e nel Centro-Asia: da questa originale prospettiva scaturisce la definizione di Avanguardia Orientalis. 
Non è stato un lavoro semplice: ci siamo misurati, soprattutto a Nukus, con i criteri di accumulazione museografica di Savickij. Igor’ era fermamente convinto che, per comprendere appieno un artista, fosse indispensabile raccoglierne decine se non centinaia di opere (tra disegni e dipinti). La nostra non può essere una selezione esaustiva, naturalmente. Abbiamo dovuto anche tener conto degli spazi disponibili e di più attuali dinamiche di allestimento. Ma riunire quelle due raccolte è risultata fornire, a nostro avviso, una nuova e convincente chiave di lettura. 

Non solo opere di artisti uzbeki, ma anche russi, kazaki, armeni, siberiani, eccetera. Possiamo dire che il dialogo tra le diverse culture confluite a Mosca e San Pietroburgo nei primi decenni del Novecento sia uno dei punti di forza delle due mostre? 
Il dialogo è il tratto connotativo saliente di questa esposizione. Ma anche in questo caso ci appare opportuno ricordare un’intuizione di Lotman. Nel suo saggio sulla Semiosfera (1984) sottolineava che “la conoscenza non è possibile senza comunicazione. In questo senso si può dire che il dialogo precede il linguaggio e lo genera”. Pensare al dialogo come alla radice di ogni forma di linguaggio e di comunicazione ci pare una considerazione molto attuale, e purtroppo altrettanto disattesa. 

Quali sono le differenze principali tra le mostre di Venezia e Firenze? 
Il titolo principale è lo stesso, gli artisti dell’Avanguardia Orientalis sono quasi tutti presenti in entrambe le sedi. Ci sono tuttavia delle sfumature, percepibili e complementari. A Firenze abbiamo voluto dare la precedenza all’influenza esercitata sugli artisti dal territorio, un tema ben indicato dal sottotitolo (La luce e il colore). A Venezia abbiamo voluto mostrare più esplicitamente da un lato i rapporti tra Avanguardia Orientalis e Avanguardia Russa, con un numero maggiore di opere provenienti da Tashkent: è il senso del primo termine del sottotitolo veneziano (La forma e il simbolo), evidenziare i processi di assimilazione e trasformazione di vorticose soluzioni formali. Per sottolinearne tuttavia anche il valore simbolico è stato necessario confrontare inoltre, in un dialogo ravvicinato, i dipinti con i manufatti tessili (che catturavano da secoli gli elementi essenziali della regione), su un piano di pari dignità espressiva. 

È la prima volta che in Italia e in Europa occidentale si crea un dialogo artistico con le avanguardie uzbeke di tale portata: credete possa essere il punto di partenza di uno sviluppo futuro dei legami culturali tra i Paesi coinvolti? 
Non è un primum assoluto. Alcune opere di Nukus erano già arrivate in Europa, altre da Tashkent: sono state esposte dopo l’indipendenza dall’URSS, in Germania nel 1994, in Francia quattro anni dopo, anche a Torre del Greco, nel 2000, e molto più recentemente, in una ridotta selezione, a Parigi, all’Institut du Monde Arab, nell’autunno del 2023. Ci sono state occorrenze più limitate anche in altre mostre tematiche. Ciò che differenzia sostanzialmente questa rassegna è il fatto che qui parliamo di circa 150 opere, presentate sulla base di una precisa prospettiva interpretativa. Lo si comprenderà bene leggendo il catalogo, a nostro avviso destinato a divenire un fondamentale spartiacque nella letteratura scientifica. 
Speriamo naturalmente che non sia un punto d’arrivo. L’Uzbekistan, da alcuni anni, sta investendo molto in infrastrutture, e culla progetti ambiziosi. Ca’ Foscari, il nostro centro studi in particolare, ha già espresso la disponibilità per contribuire ai necessari aggiornamenti degli allestimenti, per sviluppare anche su un registro filologico l’indispensabile sviluppo degli studi su un’esperienza affascinante. Ci auguriamo che anche il sistema Paese Italia sappia cogliere l’importanza della sfida. 

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di critica e curatela d'arte contemporanea. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers e attualmente frequenta…

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