La Galleria Nazionale di Roma abbandona il Fondo Carla Lonzi. Ecco cosa dicono le parti
Il comodato d'uso è stato interrotto tre anni prima della scadenza. Rispondono ad Artribune la direttrice scientifica del Fondo, che ha lanciato l'allarme, e la neodirettrice del museo
La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma rinuncia, tre anni prima della scadenza, al comodato d’uso del Fondo Carla Lonzi. Nonostante il grande successo riportato in questi anni, provato dalla massa di ricercatrici e studiosi, laureandi e studentesse accorsi per analizzarlo e consultarlo, la neodirettrice Renata Cristina Mazzantini ha comunicato la volontà di interrompere l’accordo e procedere con la restituzione al proprietario. “Un’operazione illegittima, non solo perché termina senza motivazioni un comodato d’uso che doveva continuare fino al 2027, ma anche perché lo Stato ha investito tantissimo su quella catalogazione”, commenta ad Artribune la direttrice scientifica del Fondo, la professoressa, filosofa e femminista Annarosa Buttarelli. “Mi sono comportata con tutti i comodati allo stesso modo: sono costretta a mandare via tutto quello che non è di proprietà della galleria“, risponde alla testata la direttrice Mazzantini.
L’arrivo del Fondo Carla Lonzi alla Galleria Nazionale di Roma
Per capire come questo fondo sia arrivato alla GNAM, facciamo un passo indietro. “Collaboravo con Cristiana Collu da anni, quando, nel 2018, è arrivato alla Galleria Nazionale Battista Lena, figlio di Lonzi, per proporre il comodato d’uso su un’opera di Carla Accardi”, racconta Buttarelli, curatrice della recente riedizione delle opere di Lonzi. “Parlandoci, mi è venuto in mente che non esisteva al mondo un fondo o un archivio di Carla Lonzi che fosse davvero accessibile. C’erano scatoloni sparsi un po’ ovunque tra i privati, tra la Fondazione Consagra, Rivolta femminile, la Fondazione Badaracco e altre. Lui era contento della proposta, ci ha portato i suoi scatoloni per fare prima un comodato d’uso, e poi eventualmente una donazione. Voleva prima vedere come andava, se funzionava, che risposta c’era. E la risposta c’è stata”.
Il massiccio investimento del Ministero della Cultura e la digitalizzazione dell’archivio
Il fondo però non era in condizioni ottimali. “Il Ministero ha assunto una persona specializzata, e per molto tempo, per fare una marea di operazioni su quegli scatoloni disordinati. Per via della pioggia e altri danni, per esempio, c’erano delle fotografie inedite di casa Lonzi e di incontri, alcune fatte da Ugo Mulas, tutte appiccicate tra di loro. C’è voluto un grosso investimento di restauro”, continua Buttarelli. “Una volta fatto il restauro, io e il personale degli archivi della Galleria Nazionale abbiamo lavorato sulle catalogazioni e le schedature”. Poi c’è stato il passaggio alla digitalizzazione di tutto il materiale, fatta esclusione per le lettere rivolte a persone ancora vive. “A quel punto si interessò anche Google Arts – sappiamo che fa incetta di fondi e archivi –, che ha facilitato la digitalizzazione con una specie di sponsorizzazione, e questo vale per la parte poi entrata in Opac, quella che vediamo nel catalogo ministeriale con foto, documenti e tutto. Ma non solo: nel Cloud di Google Arts c’è anche tutto l’archivio digitalizzato, a memoria eterna, perché sappiamo che alle carte può succedere qualunque cosa”.
Il Fondo Carla Lonzi e il successo sotto la direzione Collu
“La direttrice Collu, nei suoi mandati, si era impegnata a rendere vivo questo archivio. Ma faceva anche altre operazioni in pieno spirito femminista: ne è esempio la sua campagna di acquisizione di opere di artiste. Prima solo il 10% delle opere esposte alla GNAM era di donne, ora siamo sul 38%”. La risposta alle operazioni di apertura del Fondo alla cittadinanza è stata “clamorosa: l’uso dell’archivio è stato immediatamente condiviso tra studiose di tutto il mondo, che hanno ricominciato a fare ricerche, pubblicazioni, tesi di laurea, studi sull’apparato iconografico, insomma una risposta incredibile”. Da cui, tra l’altro, è scaturito l’assalto delle case editrici italiane ed estere per la ripubblicazione e la traduzione dei testi di Lonzi: tra queste, c’era anche Tartaruga, che si è rivelata essere la scelta finale. “Con l’uscita di ‘Sputiamo su Hegel‘, abbiamo avuto l’attenzione di tutto il mondo: Lonzi è stata vista per quello che è, cioè non solo una grande femminista ma anche una pensatrice del Novecento di altissimo livello per contenuti e valore”. Cosa che ha riportato, a mo’ di volano, l’attenzione sull’archivio, “che in realtà è solo uno scaffale e mezzo, molto modesto rispetto a ciò che di c’è di inaccessibile”, sottolinea Buttarelli, “ma sappiamo che probabilmente le cose resteranno così come sono, per gli altri archivi, perché servono moltissimi soldi per recuperare quei documenti. E intanto Carla Lonzi è lì, come sequestrata”.
L’appello al Ministero della Cultura per il salvataggio del Fondo Lonzi
Ora l’autrice e professoressa, che dice di non essere mai stata ricevuta ufficialmente dalla nuova direzione, ha cominciato a battersi perché il Fondo diventi un Bene Culturale, anche perché ottenere questo status impedirebbe a chiunque di portarlo fuori dall’Italia. “Il Ministero della Cultura dovrebbe rendersi conto che qui c’è un’operazione di grande rilievo culturale”, chiosa Buttarelli. Una richiesta riecheggiata in Parlamento: la deputata Luana Zanella di Alleanza Verdi e Sinistra ha infatti presentato al ministro della cultura Gennaro Sangiuliano un’interrogazione che lo spinga a promuovere questo riconoscimento in virtù del valore dei documenti ivi contenuti.
La risposta della direttrice della GNAM Mazzantini
“Il mio non è un attacco al femminismo, cosa di cui mi hanno accusata“, risponde ad Artribune Renata Cristina Mazzantini, che ha specificato come tutti i fondi in comodato d’uso siano stati restituiti ai proprietari, e non solo quello di Lonzi, che in una nota ha dichiarato essere stato acquisito dal museo nel settembre 2017. “Al mio arrivo mi sono ritrovata la galleria usata come un deposito di cose altrui, con l’assicurazione da pagare, tutto con i soldi dei contribuenti, e la responsabilità di seguire o trasportare altrove i materiali mentre ero impegnata a stilare la programmazione. I musei non devono essere depositi di archivi o quadri di terzi, specialmente se questi non sono esposti, e io preferisco destinare i finanziamenti ai beni dello Stato. Sono un funzionario pubblico“.
La necessità di sgomberare tutto è iniziata, dice la direttrice, “quando mi è stata richiesta la sottoscrizione della polizza assicurativa. Con tutta questa grande quantità di beni, a volte messi persino in corridoio, non potevamo far iniziare i lavori nell’interrato, che ci servono per il Certificato di Prevenzione Incendi, mancante il quale ci sarebbe da chiudere entro il 31/12. L’alternativa era quella di spostare il tutto a Castelnuovo di Porto dalla Protezione Civile, cosa che non aveva il minimo senso“. La questione, secondo Mazzantini, rischierebbe poi di andare nel penale: “Io sono architetto, e vedo che la situazione non va bene, anche a livello di responsabilità penale personale: va tutto messo a norma. Molte scelte sono state fatte senza tener conto della struttura dell’edificio“.
La possibile donazione del Fondo Lonzi e l’ipotesi del Bene Culturale
Per quanto riguarda la consultazione, continua Mazzantini, “non ci sono problemi perché è tutto online sul sito della galleria – un procedimento costato, insieme agli altri, ben 70mila euro – e noi in sede teniamo tutti i dischetti. Bisogna considerare anche che negli archivi quasi mai si fanno vedere gli originali, perché si trovano in ambienti protetti e i documenti si rovinano a essere presi in mano e rimessi a posto continuamente“.
“Per le donazioni, invece, saremmo felici di riceverle, ma lo Stato non può chiederle, sembrerebbe un ricatto: il proprietario ha il diritto di fare ciò che vuole“. In ogni caso, chiosa Mazzantini, “il museo non nasce per fare l’archivio: non ne ha le caratteristiche, come il controllo della temperatura, della luce ecc. Quello lo fa l’Archivio di Stato“.
Giulia Giaume
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