“La Quadriennale è bloccata da mesi a causa delle scelte del governo”. Intervista a Gian Maria Tosatti

Il mandato dell’artista in qualità di direttore della Quadriennale si è concluso a fine settembre ma, come ci racconta, de facto le sue attività sono state congelate dal nuovo CdA diversi mesi prima. Ne abbiamo parlato in questa intervista

Non è una relazione terminata in buoni rapporti quella che intercorre tra Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) e la Quadriennale di Roma, istituzione di cui l’artista – protagonista nel 2022 del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, a cura di Eugenio Viola – ha ricoperto il ruolo di direttore artistico. Già ai tempi del suo insediamento si erano mosse non poche polemiche, per via della sua doppia nomina sia alla Quadriennale sia alla Biennale, là come curatore qua come artista. Adesso, dopo tre anni di direzione artistica presso l’istituzione romana, Tosatti fa il punto sul suo operato, basato su un programma incentrato sullo studio e la promozione dell’arte italiana del XXI Secolo, attraverso mostre, residenze e pubblicazioni. Un percorso interrotto – come ci rivela in questa lunga intervista – anzitempo, per divergenze di visione e comunicazione avute con il nuovo Consiglio di Amministrazione della Quadriennale presieduto da Luca Beatrice.

Gian Maria Tosatti alla Quadriennale di Roma

Ripercorriamo i tuoi anni di attività di direttore artistico della Quadriennale di Roma dagli inizi, ovvero dalla nomina nel 2021, arrivata a ridosso di un’altra importante notizia, la tua partecipazione al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2022. Doppia nomina che ai tempi generò polemiche, tra chi si diceva a favore e chi contrario a questa sovrapposizione. Con il senno del poi, credi che queste due attività si siano influenzate e/o abbiano giovato l’una all’altra? Gian Maria Tosatti come ha gestito – a livello pratico ma soprattutto concettuale – l’essere nello stesso momento sia artista sia direttore artistico?
Sicuramente dirigere Quadriennale mi è costato un grande sacrificio nell’attività del mio studio. Ho fatto tre mostre in tre anni. I numeri sanno parlar chiaro. Mi sarebbe piaciuto fare di più. Ma non ne sono pentito. È giusto così. La mia idea di Stato si traduce con l’impegno necessario di ogni cittadino nei confronti della Res Publica. È stato il mio turno. L’ho svolto con serietà e grande dedizione. Ora torno volentieri al mio lavoro poetico, come Cincinnato.

Partì anche una petizione contro la tua doppia nomina, firmata da numerosi artisti e curatori. Ti è capitato di confrontarti con qualcuno di loro?
Mi piacerebbe sentire i 540 colleghi che firmarono la petizione per far revocare la mia nomina (frutto di un concorso pubblico). Forse, dopo questi tre anni il loro giudizio è cambiato. Se così fosse ne sarei felice. E devo dire che, in parte, questa è una cosa che so. Uno dei più bei giudizi sulla mia direzione l’ho avuto proprio da una persona che firmò quella petizione. Ma in realtà diversi di loro si sono relazionati in modo assai costruttivo con la Quadriennale durante il mio mandato.

In che modo?
Alcuni sono diventati curatori del nostro team, altri hanno fatto con noi delle importanti pubblicazioni o delle mostre. Alla fine è sempre la qualità del lavoro l’unico strumento valido per confrontarsi. Comprendo però che in Italia ci sia, in generale, una certa diffidenza nei confronti del coinvolgimento attivo degli artisti nell’«industria». Ne ho avuto tante prove. È un Paese molto diverso dagli Stati Uniti, dove ho passato la parte più lunga della mia carriera. Qui gli artisti sono considerati un po’ dei figli minori (o minorenni) del sistema.

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Gian Maria Tosatti alla Quadriennale di Roma. Gli obiettivi raggiunti

Cosa ha comportato il coinvolgimento dell’artista Tosatti “nell’industria” della Quadriennale?
La direzione di Quadriennale da parte di un artista ha prodotto un incremento dei progetti del 1000% (leggi mille-per-cento!) rispetto alla media degli ultimi vent’anni. Sugli output di ogni progetto, poi, abbiamo numeri da fantascienza che non stiamo nemmeno a dire. Abbiamo sostenuto centinaia di artisti l’anno con diversi tipi di attività di ricerca e promozione. Abbiamo posizionato Quadriennale fra le istituzioni pubbliche internazionali che possono realmente convincere un museo straniero a puntare l’attenzione sugli artisti del proprio Paese. E non penso tanto alle cose fatte – Roberto Cuoghi che riempie il Friedricianum a Kassel, Biscotti a Barcellona, Stampone a Bogotà – ma ai tanti progetti che ci sono stati proposti e che abbiamo dovuto far cadere a causa del brusco epilogo di questa storia. Non davamo un contributo agli artisti per cercare di trovare attenzione all’estero (come fa il pur meritevole Italian Council o il progetto Q-International della direttrice che mi ha preceduto), convincevamo i direttori dei grandi musei a venire da noi a cercare. È un bel cambio di passo. Non era mai successo. E gli esiti si sono visti. 

Quando ti sei insediato e presentato il programma, hai subito palesato il tuo obiettivo: dare centralità e soprattutto raccontare l’arte italiana del XXI Secolo. Perché in Italia a questo “racconto” non viene dato il dovuto spazio? Quali sono le motivazioni?
Semplicemente perché non c’è stata, in questo quarto di secolo, una ricerca condivisa di carattere critico-analitico che potesse realmente tracciare un racconto coerente e attendibile su quanto è accaduto. Venticinque anni sono tanti. Pensiamo al secolo scorso. Dal 1900 al 1925 è successo praticamente di tutto, anche solo restando nel recinto ristretto dell’arte italiana: la seconda fase del Divisionismo, la Metafisica, il Futurismo, il Realismo magico… E dentro queste correnti c’erano solo parti minime delle traiettorie di artisti eccezionali come Morbelli, Carrà, Balla, Russolo, Sironi, Previati, de Chirico, Casorati. In quegli anni, però, la riflessione era strabordante. Le pubblicazioni non si contano.

Oggi invece?
Oggi non è così. Eppure l’arte italiana del XXI Secolo è altissima. Il problema è che non ha una storia. Ecco, volevo semplicemente mettere in campo gli strumenti che le permettessero di averla. E l’ho fatto. Mettendo 26 curatori a lavorare per tre anni, giorno dopo giorno, fianco a fianco, in una interazione regolata da un metodo scientifico.

Gian Maria Tosatti alla Quadriennale di Roma. I progetti

Per questo scopo, hai dato vita a numerose iniziative (QuotidianaPanorama, Quaderni, Annuario…): non solo raccontare quindi, ma anche raccogliere e rendere consultabile tutto ciò che è stato prodotto in due anni di ricerche, dando vita a un composito archivio sull’arte italiana del XXI Secolo. Di queste iniziative, quali sono stati i risultati ottenuti nel breve termine e quali quelli che si protrarranno nel lungo termine, anche dopo la fine del tuo mandato?
Questa è una domanda molto importante. Ma dovrebbe essere posta agli artisti, ai curatori e alle tante forze del sistema che hanno lavorato con Quadriennale o avrebbero potuto farlo se l’architettura di quanto da me impostato fosse rimasta in piedi. A un singolo giovane artista italiano, la mia gestione di Quadriennale poteva mettere a disposizione in un solo anno una combinazione di strumenti enorme, anche tutti assieme.

Quali?
Una mostra personale a Palazzo Braschi, una pubblicazione monografica (purtroppo solo online perché ci è stato tolto un intero anno di lavoro), una residenza in una prestigiosa università straniera, un inquadramento critico attraverso diverse pubblicazioni scientifiche, un lavoro di promozione costante verso curatori stranieri – alcuni dei quali ospitati in residenza da noi, appositamente –, la presenza nei padiglioni italiani di importanti biennali internazionali, l’invito a progetti di confronto tra artisti durante il nostro festival, eccetera. È un grande investimento per una singola carriera, ma necessario se vogliamo veramente che incida. Ai lavoratori del settore culturale, noi, coi soldi dei contribuenti offrivamo questo. In alternativa, si può offrire un paio di metri quadrati di spazio in una mostra che si svolge una volta ogni quattro anni. Se tu fossi un’artista di questo Paese, cosa preferiresti?

Roma, Palazzo delle Esposizioni Quadriennale 2020 ©Musacchio, Ianniello, Pasqualini
Roma, Palazzo delle Esposizioni Quadriennale 2020 ©Musacchio, Ianniello, Pasqualini

La conclusione del mandato di Gian Maria Tosatti alla Quadriennale di Roma

Di recente in una lettera hai scritto che, da quando si è insediato il nuovo CdA, i tuoi progetti siano stati interrotti, nonostante alla fine del tuo mandato mancassero ancora diversi mesi. Nel frattempo ci sono stati sviluppi nella comunicazione tra te e il CdA della Quadriennale? Nella lettera fai un chiaro riferimento a divergenze di visione sulle scelte…
Col CdA di Quadriennale ho avuto, negli ultimi sei mesi del mio mandato, uno scambio epistolare piuttosto fitto, visto che non hanno neppure voluto incontrarmi di persona. Provavo a ricordargli che il direttore artistico in carica è una risorsa e non un disturbo. Ma, come ho dato conto nella lettera, citando un passaggio chiave della nostra corrispondenza, loro hanno rivendicato di avere altri piani. Per cui tra i tempi che il ministro Sangiuliano si prese per fare la nomina dei suoi consiglieri (tra cui il presidente) e le conseguenze di quella nomina, un intero anno del mio contratto è stato vanificato.

Cosa è successo in questo lasso di tempo?
Il punto è che dicono di avere un nuovo corso ma non è stata realizzata nessuna attività di questo fantomatico nuovo corso durante gli ultimi sei mesi, mentre quelle di cui ho dato conto fin qui venivano interrotte e cancellate. A questo punto ho creduto che, assieme ai grandi traguardi raggiunti durante la mia direzione artistica, fosse doveroso raccontare ai contribuenti quale sia lo stato di una istituzione che, di colpo, si è paralizzata e dà segni di vita solo attraverso le code editoriali dei miei progetti fatti nel 2023. 

Cosa resterà alla Quadriennale dell’“era Tosatti”?
Resteranno le cose serie realizzate. I Quaderni d’arte italiana sono, a tutti gli effetti, la prima stesura di una storia dell’arte del primo quarto di XXI Secolo. E sono il distillato di un lavoro capillare fatto entrando negli studi di 500 artisti, facendo decine di mostre non per esibire, ma per capire, commissionando testi a curatori italiani e internazionali o libri a ottimi studiosi, andando nelle università a cercare i migliori ricercatori, e ordinando tutto questo come un grande ingranaggio coerente regolato da un metodo scientifico. Non c’è stata un’altra esperienza critica di questa ampiezza e complessità, e quindi di questa credibilità. Sarà su tali documenti che si baserà la storia dell’arte di questi anni, quando gli storici di domani cercheranno fonti attendibili. Credo sia anche questo che resterà della mia gestione di Quadriennale: l’esempio di come una istituzione può essere realmente produttiva. A questo punto, gli altri possono anche fare le loro mostre “a sentimento”. Quel che doveva essere scritto è stato scritto.

Cosa auguri e che consigli daresti al prossimo direttore artistico?
Pare che in diverse interviste il neo-presidente, nominato dall’ex ministro Sangiuliano, abbia dichiarato che intende eliminare la figura del direttore artistico in Quadriennale. E d’altra parte lo abbiamo appena dimostrato: non si tratta mica di una figura utile. Se ne può sicuramente fare a meno. Auguri!

Desirée Maida

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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