Intervista a Auriea Harvey, la artista pioniera della net art 

La carriera e le opere di Auriea Harvey, da pioniera della net art fino alla scultura digitale e alla criptoarte passando attraverso i videogiochi di Tale of Tales

“Per tutta la vita ho lavorato su internet e ho creato arte con i computer” ci dice Auriea Harvey (Indianapolis, 1971) durante una telefonata. Harvey è stata pioniera della net art e poi del videogioco sperimentale e oggi lavora con (tra le altre cose) sculture in realtà aumentata, sempre interessata alla sensuale tensione tra digitale e fisico. Nel 2024, il Museum of the Moving Image di New York le ha dedicato una meritata retrospettiva, My Veins Are the Wires, My Body Is Your Keyboard, curata da Regina Harsanyi.

Harvey e il web 1.0: la net art

Diplomata alla Parsons School of Design di New York in scultura, dopo una breve carriera nell’arte performativa Harvey si concentra sui computer. Negli Anni Novanta crea la sua piattaforma online entropy8.com (vincitrice degli Webby Awards nel 1997 e nel 1998) mescolando GIF, animazioni web e linguaggi di programmazione, forzando i limiti dell’internet dell’epoca alla ricerca di un’arte capace di raggiungere il pubblico senza mediazioni. “È stato il mio primo sito ed è cresciuto con me” ricorda Harvey. Internet, anche quello commerciale e delle grandi compagnie, è allora un luogo di sperimentazione ricco di opportunità per chi fa arte. Nel 1999 incontra sul portale e collettivo artistico hell.com l’artista belga Michaël Samyn (Poperinge, 1968), che diventerà suo marito, e crea con lui il duo Entropy8Zuper!, fusione di entropy8 con Zuper! di Samyn. In occasione di My Veins are the Wires, My Body is Your Keyboard, Rhizome ha restaurato e reso disponibili gratuitamente online quattro opere. C’è entropy.com (1995), con tutte le contraddizioni di avere, come nota Harvey, in una forma “congelata” qualcosa che era pensato per essere vivo e in continua evoluzione. E poi tre opere di Entropy8Zuper!: Whispering Windows (1999), Skinonskinonskin (1999), inviti a spiare i primi momenti della relazione online tra Harvey e Samyn, e The Godlove Museum (1999-2006), racconto interattivo che mescola il Pentateuco e la vita della coppia. 

Auriea Harvey, My Veins Are the Wires, My Body Is Your Keyboard. Photo from installation view of Thanassi Karageorgiou
Auriea Harvey, My Veins Are the Wires, My Body Is Your Keyboard. Photo from installation view of Thanassi Karageorgiou

Harvey e il web 2.0: il videogioco

Intanto, Harvey si trasferisce a vivere in Belgio, a Gent, con Samyn. Tra 2002 e 2003, con l’avvento del web 2.0 e delle sue piattaforme con pagine web precostruite, Harvey e Samyn si allontanano dalla net art. E iniziano a lavorare a videogiochi con il nome di Tale of Tales, anticipando il “rinascimento indie” (cioè del videogioco indipendente) permesso da strumenti di sviluppo sempre più semplici e dalla crescita della distribuzione dei videogiochi in formato digitale. “La grafica 3D calcolata in tempo reale è la più notevole nuova tecnologia creativa dai tempi dell’olio su tela”scrivono nel Realtime Art Manifesto del 2006. “È troppo importante perché rimanga nelle mani di fabbricanti di giocattoli e macchine per la propaganda. Dobbiamo sottrarla ai loro avidi artigli e svergognarli creando la più stupefacente arte che abbia mai impreziosito questo pianeta”. Con un altro manifesto (provocatoriamente chiamato Not a manifesto) e una comunità online, Tale of Tales è responsabile della nascita di uno dei pochi veri movimenti artistici della scena videoludica: quello dei “nongiochi”. Opere che sfruttano gli strumenti del videogioco abbandonando però concetti come “competizione, obiettivi, ricompense, vittoria o sconfitta”. Lavori come il loro The Graveyard (2008), in cui interpretiamo un’anziana donna in visita in un cimitero, danno un contributo fondamentale ad allargare ciò che consideriamo che possa essere un videogioco.

Harvey e il web 3.0: la scultura digitale

Harvey e Samyn lasciano lo sviluppo di videogiochi commerciali dopo l’insuccesso di Sunset (2015), tentativo di realizzare un’opera più convenzionale per arrivare a una più ampia platea di videogiocatori. E per trovare un vero sbocco commerciale ai loro videogiochi di fronte a cambiamenti nei finanziamenti pubblici per l’arte a cui si erano affidati fino a quel momento. Il rinascimento indie è però ormai concluso, e c’è meno spazio per opere anche solo vagamente sperimentali. Cambiano il nome in Song of Songs, continuano comunque a sviluppare insieme opere interattive digitali, come Cricoterie ispirata al teatro di Tadeusz Kantor, nel 2019 si trasferiscono a Roma, e negli ultimi anni Harvey inizia a dedicarsi a opere scultoree che mescolano fisico e digitale e che sono spesso basate su scansioni 3D spesso del suo stesso corpo. “Prima della pandemia e della diffusione delle mostre in 3D nessuna persona vedeva le sculture digitali come effettivamente sculture” ci spiega Harvey, che oggi vende le sue opere su blockchain, tecnologia che secondo l’artista ha contribuito a diffondere l’idea che un file possa avere valore. Non tanto (o non solo) monetariamente, ma soprattutto culturalmente. “Quando facevamo videogiochi volevamo capire cosa volesse dire essere artisti che lavorano con grafica 3D calcolata in tempo reale” conclude Harvey. “Oggi mi interessa di più l’infrastruttura: come il lavoro viene distribuito e venduto. Vorrei arrivare a poter discutere solo del contenuto, ma dobbiamo prima costruire un mondo dell’arte che ci permetta di creare e distribuire ciò che veramente vogliamo”.

Matteo Lupetti

New York // Fino al 1 dicembre 2024 
My Veins Are the Wires, My Body Is Your Keyboard 
MUSEUM OF THE MOVING IMAGE 
36-01 35th Ave, Queens 
SCOPRI QUI la mostra

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Matteo Lupetti

Matteo Lupetti

Diplomato in Fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze nel 2010, gestisce il collettivo di fumettisti indipendenti Gravure e scrive di videogiochi per varie testate italiane ed estere. È diplomato in sommelerie all’interno dell’associazione FISAR ed è direttore artistico…

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