Fascismo e Grande Guerra. La propaganda dei sacrari
Durante l’epoca fascista i sacrari hanno assunto un ruolo vitale: non solo per ricordare i militari caduti in guerra, ma come mezzo per educare il popolo alla fede del Littorio. Dal Monte Grappa a Redipuglia, la strumentalizzazione passa attraverso la parola “presente”, che diventa simbolo della retorica fascista
Nel 1930 il generale Giovanni Fracovi presenta a Benito Mussolini un piano nazionale per la tumulazione delle salme dei caduti della Prima Guerra Mondiale, proponendo la soluzione del “grande concentramento di salme” in aree extra urbane e isolate. L’anno successivo la proposta viene portata alla Camera dei Deputati e approvata.
LE RAGIONI DEI SACRARI
Qual è il motivo dietro un decreto del genere? La ragione più pratica è stata quella di trovare una degna sepoltura ai caduti durante le Grande Guerra. Fino al 1932 – anno di inizio costruzione dei più famosi sacrari – i corpi dei soldati difficilmente venivano tumulati nelle loro zone d’origine: a causa dell’enorme spesa economica per ricostruire un Paese distrutto, rimandare i caduti nella loro terra d’origine sarebbe stata una spesa ingente che le casse dello Stato in quel momento non potevano permettersi. Di conseguenza i militari venivano seppelliti in cimiteri di fortuna nei pressi dei luoghi delle battaglie. Ovviamente, per il Littorio, un atto simile non era per nulla decoroso.
In secondo luogo, dobbiamo analizzare la rilevanza che il caduto per la propria patria ha per Mussolini e per la fede fascista. Non aveva importanza in quali circostanze il milite fosse stato ucciso: per il Littorio, la morte in difesa della patria deve essere onorata e ricordata dalle generazioni future come prova di amore per la nazione e di esempio da seguire. È con queste premesse che nascono i primi sacrari militari.
IL RUOLO DEI MONUMENTI DURANTE IL VENTENNIO FASCISTA
Per comprendere fino in fondo il ruolo che i monumenti ai caduti hanno avuto nel Ventennio, è importante capire quale fosse l’idea di monumento alla base delle loro costruzioni. “Monumentalità è simbolo chiuso alle indeterminazioni e concentrazione opposta alle dispersioni. È la voce del capo al di sopra della voce della moltitudine. È l’espressione delle Fede […] e intende dare un volto, una sensazione chiara di quella Fede, della sua forza, della sua misura, della sua potenza”. Ciò che scrive Mario Sironi nel 1934 suggerisce un ordine gerarchico con cui sono costruiti tutti i monumenti sotto il regime fascista. Al primo posto si trova il Duce, il vertice della nazione, al secondo posto la moltitudine non sottomessa ma attiva e dinamica, al terzo posto la gerarchia stessa imposta dal monumento che diventa voce sopra le altre. Il monumento fascista si trasforma in uno strumento attraverso il quale viene ribadito un ordine ed espressa materialmente la fede.
Con queste premesse è possibile capire come i sacrari militari siano diventi oggetto centrale della propaganda fascista. Attraverso questi meccanismi e riscrittura della storia, il fascismo ha trasformato il caduto in guerra, per qualsiasi motivo, in eroe fascista, proprio perché alla base dell’idea di azione fascista c’è l’esaltazione della guerra, usata come mezzo per ribaltare l’immagine di un Paese uscito umiliato durante la Prima Guerra Mondiale.
“Pochissime opere, ma tutte monumentali!”, era lo slogan. Si prenda in considerazione l’architettura dei tre sacrari principali sul Monte Grappa, a Caporetto e a Redipuglia. Il messaggio con cui questi luoghi sono stati costruiti doveva essere fondativo come espressione suprema di italianità e farsi elemento di culto della nazione. Non è un caso che tutti e tre questi monumenti siano collocati in luoghi isolati e visibili a distanza. L’obiettivo era quello di creare un legame con il territorio. Tutti i sacrari sono stati edificati, infatti, in luoghi di grande suggestione storica e paesaggistica, al punto tale da essere considerati dei monumenti naturali.
IL SACRARIO SUL MONTE GRAPPA
Il Sacrario sul Monte Grappa è forse il primo esempio di architettura monumentale fascista realizzata dagli architetti Geppi e Castiglioni tra il 1932 e il 1935. Viene definito come un monumento di “archiscultura percorribile” che enfatizza l’importanza del percorso che il visitatore compie al suo interno, portandolo così ad avere un ruolo attivo, vivo, che si distacca dalla dimensione contemplativa. Dal piazzale di accesso si sviluppa una grande scalinata, la quale attraversa cinque colombari in bugnato decorati da nicchie semicircolari in bronzo. In cima alla scalinata sorge un tempietto circolare coperto da una cupola in bronzo, sormontata da una croce. Da qui per raggiungere il luogo di sepoltura si percorre una via crucis segnata dai nomi delle battaglie, che si trasforma in una via eroica, ripercorrendo la storia dei soldati. Una volta percorso questo lastricato di pietra bianca, si arriva all’ossario contenente i loculi.
Per risolvere la questione dell’individualità dei caduti, le tombe sono indicate dalle nicchie che percorrono orizzontalmente e su più ordini i gironi del sacrario. Il monumento termina con un mausoleo in cui sono tumulati i caduti austroungarici – in questo caso “l’ostentata separazione dei cadaveri fu un tipico atto esecutivo dell’autoidentificazione con il quale il nemico veniva escluso”, scrive Kosellec.
IL MONUMENTO AI CADUTI A CAPORETTO
La disfatta di Caporetto è stato uno dei momenti più bassi dell’esercito italiano durante la Grande Guerra e per questo motivo Greppi e Castiglioni si sono impegnati a progettare e a realizzare un monumento, mastodontico, che domina il paesaggio con l’obiettivo di ribaltare la visione storica della sconfitta. In questo caso spariscono i loculi singoli, ma compare ben leggibile in mezzo alla scalinata monumentale la scritta PRESENTE.
L’individualità viene ridefinita sull’idea di gruppo che insieme si rialza con orgoglio dopo la sconfitta subita. La voce del singolo così si trasforma in coro. È evidente il richiamo agli acquedotti romani che segue la linea ottagonale della struttura, viene ripresa anche dalle scalinate che portano in cima. Anche in questo caso la via crucis per raggiungere la sommità diventa una via eroica, con le stazioni che collegano l’ossario alla città di Caporetto.
REDIPUGLIA, IL CULMINE DELLA MONUMENTALITÀ FACISTA
Inaugurato nel 1938 durante un sopralluogo di Mussolini nel Triveneto, il Sacrario di Redipuglia – detto anche Sacrario dei Centomila – è il più grande d’Italia e uno tra i più grandi al mondo. Il monumento è diviso in tre ipotetiche sezioni: la prima corrisponde a un grande piazzale, al centro del quale sono imbullonate due file di ventiquattro targhe in bronzo. La seconda sezione è caratterizzata dalla tomba di Emanuele Filiberto duca d’Aosta e poco oltre le tombe dei generali della Terza Armata. L’ultima parte del sacrario è definita dalla scalinata composta da ventidue livelli sottolineati della parola PRESENTE, portata quasi all’esasperazione, che capeggia sui loculi dei soldati caduti.
La ripetizione della singola parola è l’estremo compimento della semplificazione retorica del monumento. Così la sovrapposizione del rito fascista diventa definitiva. Quel “presente” omologa tutto e tutti e ciò che non è fascista diviene antipatria, nemico. In questo tempio il regime ha modo di manifestare la violenza della sua dottrina.
– Silvia Rossetti
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