Cultura e territorio: quando l’efficienza non basta
Nel momento in cui si costruisce un progetto culturale per uno specifico territorio, bisogna tentare di coinvolgere le realtà che lo abitano. Questo potrebbe apparire meno conveniente nel breve periodo, ma sulla lunga distanza rappresenterebbe il fulcro di una iniziativa pensata per il territorio e chi lo mantiene vivo
Rispetto a qualche decennio fa, oggi il sistema culturale, da molti riconosciuto come un cluster produttivo con propria dignità di fatturato e occupazionale, vive sicuramente una condizione di maggiore consapevolezza. Accanto ai tradizionali valori storicamente attribuiti alla cultura, sono emerse ulteriori proprietà formali legate alle azioni culturali. Tali proprietà formali vengono spesso identificate dal concetto di sostenibilità del progetto culturale, che è un elemento la cui centralità è indiscussa: è la sostenibilità di un progetto, vale a dire la sua capacità di autosostenersi nel tempo, a far sì che le azioni in esso previste possano vivere abbastanza da vedere realmente generare gli effetti sperati. Spesso, infatti, nel settore culturale, sussiste un divario temporale tra l’avvio delle attività e gli effetti che essa genera. Non tutta la cultura può essere erogata come fosse una start-up; ci sono cose che richiedono tempo prima di essere realmente assorbite dalla popolazione di riferimento. La sostenibilità, quindi, in ambito culturale, non può essere immaginata alla stregua di qualsiasi altro progetto: è necessario postulare delle ipotesi di base all’interno delle quali si assume il tempo minimo di efficacia del progetto, vale a dire il tempo minimo prima del quale è presumibile che gli effetti indiretti del progetto culturale non siano ancora evidentemente tangibili.
Un esempio può aiutare: quando un piccolo paesino costiero decide di diversificare la propria offerta, aggiungendo all’esperienza balneare anche un’offerta culturale diffusa, sta effettuando una scelta che è sia rivolta a turisti, sia rivolta ai cittadini. Con una corretta dotazione di capitali iniziali, quel paesino probabilmente potrà raggiungere i primi risultati turistici in un periodo piuttosto breve, conquistando in un triennio un posizionamento strategico differente rispetto alle destinazioni che puntano sulla sola balneazione. Ma affermare che nel medesimo lasso temporale il piccolo paesino costiero possa vedere l’emergere di una nuova cultura comunale risulta necessariamente un obiettivo poco credibile.
Ed è chiaro che spesso i flussi di ricavi derivanti dalla sola domanda turistica non risultino sufficienti a garantire la continuità del progetto e/o dell’infrastruttura culturale. È qui che entra in gioco la nozione di sistema. Vale a dire la consapevolezza che l’obiettivo generale cui tende il progetto culturale non è quello di incrementare le vendite di biglietti museali, ma è quello di incrementare tutti quegli effetti positivi che l’incremento di una presenza culturale nel territorio può generare.
CULTURA, TERRITORIO, COSTI E BENEFICI
Si badi bene, non tutti i progetti culturali rientrano in questa categoria, ci sono progetti culturali pronti al consumo: prodotti e servizi realizzati per un determinato target di persone, il cui modello di business può essere comparato a quello di prodotti e servizi di altra natura.
Ci sono però progetti che mirano a ottenere risultati più ampi, risultati che incidano profondamente all’interno del sistema territoriale: e per questi c’è bisogno di estendere il concetto di sostenibilità come abitualmente lo intendiamo oggi.
Prendiamo la gestione dei costi: è chiaro che una grande impresa può offrire prezzi più vantaggiosi e servizi migliori rispetto ad altre piccole imprese, ed è chiaro che la grande impresa possa risultare, per il progetto in sé, una scelta sia efficace che efficiente.
A questo punto resta però una domanda sul tavolo, ed è una domanda che, per quanto scomoda, è opportuno porsi: possiamo davvero assumere come sempre valida l’idea che ciò che è efficace ed efficiente per il progetto risulti efficace ed efficiente per il sistema territoriale in cui tale progetto deve essere realizzato?
Per comprendere bene l’entità del ragionamento, è forse opportuno sottolineare come la nostra cultura imprenditoriale si sia recentemente formata sulla base di processi emersi in territori molto differenti dal nostro, con un tessuto produttivo differente, e una differente apertura al mercato internazionale. È chiaro che, se voglio immettere sul mercato un prodotto, la soluzione più efficiente sia quella di individuare i fornitori dei componenti selezionandoli tra tutti i fornitori attivi a livello internazionale. Stabilito il livello qualitativo che il prodotto finito deve presentare, sarà dunque possibile rintracciare i fornitori che, per quella qualità e sulla base delle quantità di cui ho bisogno, presentino le migliori condizioni contrattuali, e questo comporta che, spesso, tali fornitori siano presenti in territori internazionali. Questo fenomeno è piuttosto frequente e, quando accade, ha come conseguenza che parte dei costi che sosterrò per poter realizzare il prodotto finito saranno trasferiti in altri territori rispetto al mio territorio di appartenenza.
“Possiamo davvero assumere come sempre valida l’idea che ciò che è efficace ed efficiente per il progetto risulti efficace ed efficiente per il sistema territoriale in cui tale progetto deve essere realizzato?”
Si tratta di una dinamica che è perfettamente coerente con lo sviluppo dei mercati, ed è pertanto una dinamica che ben si presta a tutti quei prodotti e servizi che presentano una curva temporale produzione-vendita-consumo-beneficio abbastanza ravvicinata e, soprattutto, che non ambiscono a concorrere a un generale sviluppo del territorio,
Quando si realizzano però progetti di natura culturale fortemente radicati nel territorio non dovrebbe essere impossibile ragionare in modo differente da quanto fatto per le azioni industriali. Detto in altri termini: da un lato abbiamo l’efficienza di progetto, che conduce inevitabilmente alla formazione di piccoli o ampi oligopoli di imprese che riescono a tenere i prezzi bassi anche a fronte di un buon prodotto qualitativo, dall’altro abbiamo una crescita endemica del territorio.
Semplifichiamo: l’Amministrazione, per acquistare un servizio, può scegliere se pagare 100 a una grande impresa o 130 a una piccola impresa territoriale. Sicuramente, se si ragiona in termini di efficienza del progetto singolo, la grande impresa rappresenta la scelta più desiderabile. Se però inseriamo all’interno della valutazione anche le potenziali ricadute economiche dirette e indirette di questa scelta, tale scelta potrebbe anche rivelarsi meno valida.
Si badi bene, questo non significa che sia sempre preferibile avvalersi dell’imprenditoria territoriale. Significa soltanto che, nelle valutazioni di economicità generale, potrebbe essere utile iniziare a costruire degli strumenti di previsione che contengano degli elementi di simulazione tali da comprendere se, nel medio periodo, la scelta di affidarsi a imprese territoriali possa effettivamente generare maggior valore per il territorio.
Si tratta, in altri termini, di cambiare la prospettiva di valutazione. Di sicuro non è un percorso semplice, ma sono sempre più numerosi i segnali che, nella nostra storia economica, evidenziano l’esigenza di una valutazione che tenda a essere quanto più estesa possibile.
Del resto, sono ormai anni che si continua a ripetere che il territorio è un sistema complesso. Forse è il caso di iniziare una riflessione sugli strumenti necessari a far sì che tale visione, oltre a una bellissima metafora, inizi a produrre dei risultati concreti.
Stefano Monti
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