Laureata in architettura allo IUAV nel 1999, con una tesi sulla scoperta del calcestruzzo e il suo impiego come materiale innovativo in architettura, Martina Chiarato fonda insieme a Michela Stevanato lo studio Archetipo. Oggi Archetipo Architetti Associati, con sede in Marcon (Venezia), matura ampia esperienza nel campo della progettazione architettonica, dell’interior design e del restauro di complessi edilizi. Tra le realizzazioni spiccano proprio i progetti di allestimento e di recupero della Collezione Carive presso la Fondazione Querini Stampalia e del Palazzo Nervi-Scattolin. Sin dai primissimi studi l’architetta Chiarato comprende come quest’ultimo “sia il risultato di un meraviglioso puzzle, dove ciascun elemento architettonico e ingegneristico gioca un ruolo imprescindibile nei confronti dell’insieme”.
Intervista all’architetta Martina Chiarato
Per poterti misurare con Palazzo Nervi-Scattolin hai dovuto necessariamente scavare nella sua complessa storia progettuale e ricostruirla da capo. Com’è stato riprendere in mano le tavole originali?
Lo studio preparatorio all’approccio della filosofia da intraprendere nel restauro di Palazzo Nervi-Scattolin è stato per me una preziosa lezione di ingegneria e architettura. Le magistrali opere di Nervi, pur nella loro semplicità del risultato finale, sono un condensato di ciò che lui definiva “Scienza o Arte” del costruire: un grande sodalizio tra ingegneria e architettura in cui nessuna delle due discipline prevarica mai sull’altra. Piuttosto esiste un mutuo scambio tra gli apporti dell’una e dell’altra il cui esito finale è l’unico possibile, per il luogo in cui l’opera viene realizzata e per la funzione a cui deve rispondere. In virtù di questo, mai un progetto è uguale all’altro e anche Palazzo Nervi-Scattolin è un’opera unica in cui le costanti, ovvero l’utilizzo del cemento armato, il solaio a nervature isostatiche, i serramenti metallici e le scale elicoidali, adattandosi al luogo e alla funzione che devono assolvere, assumono sempre una connotazione originale, senza tempo.
Come hai lavorato?
Le innumerevoli tavole grafiche, a partire dalla definizione delle opere provvisionali sino ad arrivare allo studio del dettaglio del montante in acciaio del parapetto della scala, mi hanno fatto capire che l’approccio del restauro, in questa opera più di ogni altra, doveva necessariamente partire dal tentativo di portare alla luce il dettagliato percorso progettuale, in cui ogni più piccolo componente, se compreso, rivela la sua doppia natura: funzionale ed estetica. Togliere o modificare anche uno solo di questi elementi ne avrebbe unicamente evidenziato la mancanza, ma è pur vero che gli edifici devono continuare a vivere e a svolgere la loro funzione sociale rispondendo alle rinnovate esigenze della società stessa. Il risultato del mio intervento è dunque un compromesso tra innovazione e conservazione, dove la prima, sempre riconoscibile, è in subordine alla seconda.
In che stato versava l’edifico prima dei lavori? Come sei intervenuta?
L’edificio, che si presentava in ottime condizioni di conservazione, motivo per cui l’intervento di restauro è stato veramente limitato, aveva tuttavia la necessità di essere adattato alle mutate esigenze funzionali. Ancora una volta non è stato necessario stravolgerlo dal punto di vista compositivo: sono stati essenziali pochi accorgimenti affinché potesse rispondere pienamente alle richieste del committente; anche questo è uno degli aspetti che contribuisce a rendere l’opera di Pier Luigi Nervi di una contemporaneità disarmante.
Qual è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare in fase di restauro?
Si trattava di ricercare la causa di un sospetto cedimento del piano ammezzato che presentava una evidente lesione nell’attacco tra il solaio e la facciata con serramenti metallici a nastro. Siamo partiti dallo studio della modalità con la quale il piano ammezzato si sostiene – modalità non così esplicita ad una prima lettura – per riuscire a comprendere come alcuni elementi, solo apparentemente decorativi, quali la teoria dei montanti in acciaio che ripartiscono il ritmo della definizione degli uffici vetrati, nonché quelli esterni che decorano ed abbelliscono la facciata, in realtà svolgono la funzione statica principale.
E poi?
Solo percorrendo il vano tecnico necessario alla distribuzione degli impianti, con altezza di poco oltre i 2 metri, sono venute alla luce, perché elegantemente celate da un originale rivestimento in rame che svolge anche la funzione di proteggerle, le teste dei montanti che in realtà sono i tiranti di sostegno del piano soppalco. Il risultato è stato che il piano ammezzato era in una condizione statica ottimale e non aveva alcun bisogno di trovare un sostegno diverso o implementato rispetto quello progettato in origine, e il cedimento non era altro che il risultato di rispondere diversamente alle sollecitazioni da parte del piano soppalco (in acciaio e legno, quindi flessibile) e il cordolo tra i due piani (in calcestruzzo armato quindi molto rigido).
L’edificio porta la firma di Pier Luigi Nervi per le strutture, di Angelo Scattolin per l’architettura e di artisti di spicco per l’apparato decorativo; fra questi lo scultore Simon Benetton, autore della cancellata bronzea. Ha inoltre una facciata duplice che gli permette di dialogare in modo completamente diverso con due piazze distinte. Cosa ti affascina di più della sintesi di forme espressive e del ruolo urbano del palazzo nel tessuto storico?
Come detto prima, Palazzo Nervi-Scattolin, pur essendo un’opera moderna, non entra a gamba tesa nell’ambiente veneziano ma si integra perfettamente nel suo fragile tessuto attraverso una molteplicità di elementi: il rispetto del ritmo dei pieni e vuoti, la predilezione della verticalità delle finestre, e la proposta di elementi tradizionali, seppur rivisti in chiave moderna, come le tessere in vetro di Murano che disegnano la linea orizzontale dei piani, nonché quella del ferro battuto. Credo che l’ottima riuscita di quest’opera stia anche nella dimostrazione che l’architettura non dev’essere mai un’operazione fine a sé stessa, piuttosto deve essere concepita dai geni del luogo in cui sorge, ne deve portare l’eredità. Solo così i luoghi in cui viviamo ci appartengono e non temiamo di attraversarli anziché girarci intorno, proprio come succede con questo edificio quando i veneziani, per andare da una parte all’altra della città, entrano dall’ingresso su Campo San Luca ed attraversano il salone, per uscire da quello su Campo Manin e di qui proseguire la meta.Maria Chiara Virgili
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Fonti bibliografiche
Cassa di Risparmio di Venezia (a cura di), La nuova sede, Grafica moderna, Verona 1975
A. De Magistris, F. Deambrosis, Palazzo Nervi-Scattolin. Venezia, Skira, Milano 2020
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