La storia de iMorticelli a Salerno. Un polo sociale e culturale dentro una ex chiesa del ‘500
In una ex chiesa del Cinquecento è nato il primo centro di produzione culturale a vocazione sociale. Uno spazio di condivisione con hub culturale, portineria di quartiere e caffetteria sociale
Sono pronte a riaprirsi a settembre le porte della ex chiesa del Cinquecento San Sebastiano del Monte dei Morti, nel centro storico di Salerno, dove ha sede iMorticelli, il primo centro di produzione culturale a vocazione sociale della città. Un Punto di Comunità ideato e portato avanti dal collettivo Blam, che, in un processo di rigenerazione urbana in corso dal 2018 nel capoluogo campano, ha trasformato un ex spazio ecclesiastico in un luogo di creatività partecipata e di innovazione sociale. Ci siamo fatti raccontare tutto da Alessia Elefante e Ludovica La Rocca, fondatrici, insieme ad Andrea Mazza, di Blam.
La rigenerazione urbana de iMorticelli a Salerno: da chiesa a Punto di Comunità
Nota anche come Chiesa dei Morticelli, dove leggenda vuole siano state sepolte le vittime della peste del ‘600, San Sebastiano è rimasta abbandonata dagli Anni ’80, fino alla nuova vita immaginata dal collettivo di architette Blam.
Con un cambio di destinazione d’uso e in collaborazione con il Comune di Salerno che ne è proprietario, la chiesa cinquecentesca non più consacrata viene ora trasformata nel primo centro di produzione culturale a vocazione sociale della città: iMorticelli. In un processo attivo dal 2018 e che ora riparte con maggiore progettualità, dopo la vittoria dell’avviso pubblico Creative Living Lab promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e l’affido del bene con un nuovo comodato d’uso. A cui c’è da augurarsi segua una cornice temporale anche più ampia e solida nel futuro.
L’intervista al collettivo Blam su iMorticelli a Salerno
La vostra presenza nella ex Chiesa dei Morticelli si è avviata nel 2018, come è andato questo inizio lavori?
La prima fase di riuso dell’ex chiesa è avvenuta con il progetto SSMOLL (San Sebastiano del Monte dei Morti Living Lab) in collaborazione con il Comune di Salerno e il DiARC – Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli. A seguire, un nuovo step ha visto trasformare il bene in Punto di Comunità, grazie anche al supporto dell’architetto Vincenzo Tenore di +tstudio, che ha coordinato il laboratorio di co-progettazione e la realizzazione dei nuovi allestimenti della portineria, con un set dinamico dove poter degustare un caffè o una tisana, accogliere visitatori e nuovi cittadini.
Con il nuovo capitolo aperto dal bando vinto, cosa riportate ora ai Morticelli?
Qualcosa di quello che è stato sperimentato e che ha avuto particolarmente senso per le comunità, e qualche espediente nuovo. Anche grazie a una nuova governance e a un manifesto valoriale messo a punto collettivamente, stiamo testando quattro linee di azione, quattro “cantieri” in collaborazione con diversi professionisti: l’hub culturale con il cantiere Performance e meraviglia, il cantiere Futuro per infanzia e under 16; Laboratori e formazione; e infine quello dedicato più propriamente alla prossimità, con la portineria, l’info point di quartiere e la caffetteria sociale. Accanto alla programmazione quotidiana che terrà aperto lo spazio cinque giorni su sette ci siamo date anche una sfida annuale, che quest’anno riguarda la sostenibilità ambientale e quindi l’impegno a trovare soluzioni e strategie per ridurre l’impatto ambientale dei nostri eventi e delle nostre attività.
Nella vostra disponibilità c’è sia lo spazio della ex chiesa che della sagrestia adiacente. Qual è l’impatto della vostra presenza sullo spazio pubblico esterno invece?
Una buona notizia riguarda l’area di Largo Plebiscito, e il possibile avvio di una sperimentazione del Comune di Salerno per arretrare l’inizio della ZTL del centro storico e arrivare a un flusso di auto inferiore. Questo non significa togliere le auto, ma almeno ridurle e iniziare a liberare la piazza da alcuni dei parcheggi che circondano sia la chiesa che il Museo Diocesano affianco ai Morticelli.
In quella piazza avevate organizzato una delle attività de iMorticelli forse di maggior impatto: il cinema all’aperto. Con cui sembrava di vedere lo spazio pubblico per la prima volta.
Infatti stiamo pensando di replicare quell’esperienza la prossima estate! In quel caso l’obiettivo era proprio di evidenziare come si possa vivere lo spazio della città in modalità diverse, con lo scopo principale di re-imparare a stare insieme in uno spazio pubblico spesso negato.
E veniamo proprio alle persone. Come si costruisce un Punto di Comunità? Che domande vi arrivano dalle persone e come provate a rispondere?
Le persone chiedono quello che sanno, ma non quello che desiderano e che ancora non riescono a esprimere. L’idea è di costruire un punto di ascolto per far emergere i desideri. E poi interpretarli anche, strutturando un luogo di immaginazione, sperimentazione, visione. Così da andare oltre le auto-limitazioni delle persone, ampliare l’immaginario di ciò che si può desiderare, andando oltre il bisogno, la necessità fine a sé stessa, che è spesso limitante. E finisce col ridursi ai temi, rispetto alla città, di sicurezza e controllo. Ecco, più che sui bisogni preferiamo lavorare sui sogni delle persone.
La solitudine è un tema che emerge in quello che le comunità vi restituiscono?
In modo indiretto sì, moltissimo. Nell’esigenza di incontrare altre persone, di avere il tempo e lo spazio per stare insieme, anche se nessuno dice mai apertamente di sentirsi solo o sola. E stimolando il superamento delle individualità questi progetti hanno proprio la funzione di provare a dare vita al mondo che le persone vorrebbero vivere.
Le persone esprimono allora ai Morticelli le esigenze che rarissimamente, anche in città di scala non così vasta come può essere Salerno, entrano nella progettazione urbanistica. Quale il rapporto della comunità con le evoluzioni della città secondo voi?
Le persone non sono insensibili alla questione della progettazione dello spazio urbano, anzi. C’è però poca abitudine ad esprimere la propria voce, un po’ perché il contesto ascolta poco, un po’ perché non si è allenati a farlo.
Chi sono le persone che arrivano al Punto di Comunità? Vi siete interrogate prima di partire sul target a cui volevate rivolgervi?
Sì, lo abbiamo analizzato nelle diverse fasi del lavoro. Nel primo anno si trattava di un target medio-alto, sia in termini di età che di fascia sociale. Si è creato un pubblico di nicchia, che ci ha molto aiutato nel consolidamento di una comunità di intenti, ma rischiava di essere disfunzionale rispetto ai processi che volevamo avviare. E così la nostra scommessa è stata di abbassare l’età dei nostri pubblici e di aprirci a proposte più trasversali, per intercettare la fascia d’età under 35, che in città è praticamente scomparsa per esigenze di lavoro. Stiamo poi lavorando e lavoreremo sempre di più sull’intergenerazionalità, cosa semplice ma preziosissima per noi.
I frutti del lavoro, i risultati. Come li valutate, come vi accorgete se il vostro progetto funziona?
A parte le analisi che abbiamo condotto e conduciamo, direi che l’efficacia è stata dimostrata dalla solidarietà delle persone quando l’anno scorso sembrava avremmo chiuso iMorticelli. E dalle relazioni umane che si sono create, nello spazio e grazie alle attività. Relazioni personali, ma anche opportunità di collaborazioni professionali.
Che è per voi un passo successivo, in questa seconda fase.
Sì, ora superata la prima fase di sperimentazione vorremmo concretizzare delle condizioni anche più solide sul versante del lavoro che si può costruire e delle risorse che possono polarizzarsi intorno a questo progetto, per generare valore e per radicare anche le persone, per dare loro una scelta alternativa alla strada obbligata che porta tutti via da Salerno.
Nella speranza di radicare il processo, ma anche le persone.
Esatto, con le radici qui e la mente sempre altrove. La parte di gestione quotidiana è tra le più complesse, la messa a punto di protocolli che tengano in piedi i processi di rigenerazione, che resta una grande sfida, anche per le Amministrazioni cittadine. Lo stiamo sperimentando anche nel progetto Habitat che insiste sull’area di Montevergine Park nel centro storico alto di Salerno: un processo di rigenerazione di un’area di verde pubblico abbandonata e diventata un orto condiviso.
Un progetto che mi pare abbia un valore anche simbolico, che sia una cellula, oltre che un esperimento scalabile.
L’idea è quella, sì. Sulla trasformazione delle aree verdi stiamo lavorando sia nel centro storico, lungo la salita Montevergine, che nella zona orientale di Salerno, dove potrebbero trovare spazio degli orti sociali in un ex campo di calcio dismesso.
La cosa più bella che vi è stata detta a iMorticelli?
“Avete aperto la porta della possibilità”.
Cristina Masturzo
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