Progettare nell’esistente. Parla l’architetta Elena Sacco di DAP studio
In tutti i nostri progetti vogliamo creare un legame tra l’edificio e il contesto urbano, affinché lo stesso diventi parte del sistema di relazioni che lo attraversano. Una delle direttrici di DAP Studio si racconta in questa intervista

Alla guida dal 1992 con Paolo Danelli di DAP studio, Elena Sacco in questa intervista descrive alcuni dei progetti in corso. Come il recente complesso M6 a Lambrate, in cui lo studio affronta un tema affine al proprio DNA: il riuso dell’esistente
Con la proclamazione di Pordenone Capitale italiana della Cultura 2027, lo scorso 12 marzo 2025 si è conclusa la corsa al titolo delle dieci città finaliste. Tra loro Savona, al centro di una serie di interventi di rigenerazione del patrimonio architettonico pubblico in cui sono coinvolti vari studi italiani. Come DAP studio, società fondata e guidata dagli architetti Paolo Danelli ed Elena Sacco incaricata di progettare l’allestimento degli spazi interni e l’immagine integrata del polo culturale e biblioteca che si insedierà a Palazzo della Rovere. Proprio da questo cantiere, finanziato anche con fondi PNRR e per questa ragione vincolato allo (spesso critico e limitante) orizzonte temporale del 2026, prende avvio la conversazione con l’architetta Sacco.
Intervista all’architetta Elena Sacco di DAP Studio
Siete coinvolti nella rigenerazione urbana di Palazzo della Rovere, tra i principali cantieri in corso a Savona. Come procede?
È il classico tipo di intervento che richiederebbe momenti di riflessione e più tempo; il nostro traguardo resta il 2026, che talvolta rende queste esigenze poco compatibili. L’incarico è stato preceduto da uno stretto dialogo con l’esperta di progettazione di biblioteche Antonella Agnoli, cui si deve la definizione dell’intero programma. Come DAP Studio ci occupiamo dell’allestimento interno degli spazi: una definizione ampia, che include le finiture, l’identità visiva del polo, le dotazioni tecniche, non solo gli arredi. Trattandosi di un edificio vincolato, oltre che articolato, con gli interni seguiamo aspetti che non hanno solo una funzione di completamento o decorativa, come l’adozione di soluzioni rispettose di un manufatto storico. Un lavoro da fare insieme a tutti gli attori coinvolti.

Parliamo un’opera destinata a generare profonde ricadute sul tessuto urbano savonese.
Sì, perché si renderà accessibile un cortile interno di passaggio e di ricucitura tra il centro storico e il mare: di fatto è un grande isolato che si apre alla comunità. E la città potrà entrarci dentro, al di là delle funzioni ospitate. Di conseguenza ogni segno che introduciamo possiede un valore e un carattere urbano: il sistema stesso degli arredi agirà da connessione visiva tra interni ed esterni, come se l’edificio proiettasse fuori dalle sue mura la sua identità. Diventerà quindi un elemento capace di orientare, creare un senso di appartenenza nei cittadini. Proprio questo voler cercare un legame con il contesto urbano, con la città, ovvero fare in modo che l’edificio sia parte di un sistema di relazioni che lo attraversano, è fondamentale in tutti i nostri progetti.
Ovvero?
Pensando a un utilizzo di successo di questi centri, che vengono concepiti per essere aperti alla comunità e non solo per contenere determinate funzioni, secondo noi è sempre essenziale che l’edificio segnali il suo essere luogo per la comunità. Un organismo aperto che arricchisce un pezzo di città.
DAP Studio e la rigenerazione urbana da Savona a Varese
Principi, dunque, che possono essere estesi anche a un altro progetto per certi versi analogo: il Polo Culturale di Varese, ricavato in una caserma dismessa. Come procede?
È un progetto in corso da anni, con una storia piuttosto articolata iniziata prima del nostro arrivo. Noi siamo stati incaricati di progettare il secondo lotto, che è il completamento dell’edificio storico: il nostro è un lavoro di restauro e rifunzionalizzazione. Inoltre, su richiesta dalla Soprintendenza, abbiamo disegnato un volume di ampliamento che chiude la corte del manufatto esistente. Il progetto è stato presentato nella sua fase preliminare e dovrà essere ulteriormente sviluppato per arrivare alla realizzazione.
Come si qualifica questo innesto contemporaneo?
È un nuovo volume, che si rapporta in modo non mimetico con la caserma, pur mantenendo con essa un legame sottile e astratto a livello di allineamenti e proporzioni. Definirà l’ingresso e sarà una sorta di “cuore contemporaneo”: il motore di un sistema di spazi aperti alla comunità, con grandi vetrate e una passeggiata architettonica interna per mettere in relazione diverse parti della biblioteca. Per la sua stessa natura, la caserma è un edificio chiuso, compatto, austero e rigoroso: non è mai facile inserire lì una funzione che invece incoraggia alla relazione con l’esterno, per di più in presenza di un vincolo. Anche qui, il cortile diventerà una piazza aperta.
Riuso e recupero secondo DAP Studio
Fin qui abbiamo citato progetti fuori Milano, che invece è la città dove il vostro studio è attivo da 33 anni. A Lambrate, in questi giorni, concludete il complesso M6. Di cosa si tratta?
È il riuso di un laboratorio: il classico, piccolo fabbricato incluso nel tessuto milanese, su tre livelli (dal piano seminterrato, si sale di due piani), strettamente connesso con tutto quanto è incluso nel suo perimetro. Il cambio d’uso non è mai semplice e in questo caso il volume è stato nel tempo completamente trasformato, mantenendo forti vincoli legati alla struttura originaria e al rapporto con l’intorno. Abbiamo compiuto un lavoro “di cesello”: è venuto bene e siamo contenti.
Il tema delle abitazioni temporanee è ricorrente nella vostra produzione; ugualmente rilevante è l’attività sul fronte delle biblioteche, con vari esempi di opere concluse.
Sicuramente l’ambito su cui stiamo più impegnati è proprio quello delle biblioteche e dei centri culturali. Cito la biblioteca di Mezzolombardo, tra le più recenti, che attualmente è tra i finalisti del Premio Rigenera, nell’ambito del festival Rigenera. Piano B a Reggio Emilia. A causa del Covid, il cantiere ha avuto alcune difficoltà, ma alla fine abbiamo ottenuto bel risultato, partendo da una cantina vinicola, comprata dal Comune. Oggi ai piani superiori ci sono gli uffici del Catasto, più in basso biblioteca e sala conferenze.

Di nuovo, una preesistenza vincolata quindi.
Sì, per la quale era prevista la funzione culturale. All’esterno si trova un piccolo spazio scandito da antiche colonne, che erano già lì, e segnano l’ingresso alla biblioteca. Abbiamo inserito dei volumi bronzei, che escono fuori dalla facciata, e segnalano i punti d’ingresso, diventando anche lampade; ci siamo inoltre occupati dell’intero allestimento interno, oltre che del progetto edilizio.
DAP Studio tra biblioteche e prossimi obiettivi
Esiste un aspetto ricorrente nelle vostre biblioteche, indipendentemente dal fatto che si parta da una dimessa caserma o da un’ex cantina?
Cerchiamo sempre di prevedere una certa complessità nell’organizzazione degli spazi; in parallelo proviamo a far conciliare le esigenze classiche della biblioteca (intesa come luogo di studio, consultazione e privacy) con l’idea contemporanea che sia uno spazio aperto alla città. Antonella Agnoli giustamente definisce le biblioteche come delle piazze: in questo modo si comprende il senso di un luogo che accoglie, attira le persone, dove non c’è la paura della soglia e si creano relazioni. E questo, soprattutto nei piccoli e medi centri, è essenziale: la biblioteca deve avere sempre di più questo tipo di connotazione. È un luogo di tutti, per il tempo libero oltre che per lo studio. Infine, direi che nel progetto architettonico delle nostre biblioteche, che quasi sempre sono realizzate in preesistenze storiche, scegliamo segni contemporanei per evidenziare il cambio di funzione e registro.

Quali considera come i prossimi traguardi?
Non siamo uno studio specializzato in un ambito specifico: a noi la progettazione piace e interessa in tutte le sue declinazioni. Crediamo che l’eccessiva specializzazione, per quanto utile in certi contesti, possa alla lunga rappresentare un limite. Al contrario, riteniamo che la contaminazione tra ambiti e funzioni diverse sia uno dei valori più forti della contemporaneità: ci permette di ampliare lo sguardo, mettere in discussione abitudini consolidate, generare soluzioni più aperte e creative. Abbiamo lavorato – e stiamo lavorando – su diversi progetti di rigenerazione urbana, che ci auguriamo possano arrivare al loro compimento. A Pero, ad esempio, abbiamo redatto un progetto di strategia urbana, commissionato dal Comune, che individua scenari possibili per lo sviluppo futuro della città. È un lavoro a cui teniamo molto, un punto di partenza che speriamo possa trovare concretezza: sarebbe bello poter proseguire questo percorso, al quale abbiamo dedicato tempo, idee e passione. Un altro progetto che ci coinvolge attualmente è a Parabiago, dove stiamo lavorando alla trasformazione dell’edificio Rede e alla valorizzazione dell’ex comparto industriale. Mentre nella zona di Bergamo siamo impegnati nella progettazione di un nuovo edificio per uffici, un’esperienza che speriamo possa aprire la strada ad altre opportunità simili.
Come immagina il futuro di DAP studio?
Nel futuro ci immaginiamo impegnati in progetti capaci di leggere con consapevolezza la complessità del nostro tempo, accogliendone i cambiamenti e trasformandoli in architettura. Progetti flessibili, in grado di evolversi insieme alle dinamiche sociali e ai bisogni che cambiano, capaci di generare nuove possibilità, connessioni e significati. Gli architetti sognano sempre, e il nostro sogno è continuare a metterci alla prova, in contesti diversi, con progetti che ci permettano di crescere, confrontarci e contribuire a costruire città più aperte, vivibili e ricche di senso.
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Valentina Silvestrini
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