I concorsi? Solo se truccati
Non è plausibile che uno Stato civile, per realizzare le sue opere pubbliche, eviti i concorsi di architettura. Per farli basta selezionare tre o cinque progettisti tra coloro che sono interessati, affidare loro il compito di elaborare una proposta, scegliere la migliore, affidare l’incarico.
I concorsi di architettura sono uno spreco di tempo? No, se l’attività diventa una prassi regolare e regolata, svolta da uffici preposti. Maggiori costi? No, perché pagare da tre a cinque progetti incide in modo trascurabile sul costo finale dell’opera, mentre invece avrebbe benefici sensibili sul piano della qualità.
In Francia, dove da tempo vige l’abitudine, i risultati ci sono e si vedono. Ma da noi fare concorsi è una condizione necessaria ma non sufficiente; mai a prova di bufale. Come ci insegnano le vicende universitarie, infatti, non è detto che da una gara esca il migliore. E non solo perché molte sono palesemente truccate, ma anche perché da noi vige un residuo di cultura vetero-sovietica che ha fatto teorizzare il concorso pilotato: consiste nel predisporre un certo tipo di risultato scegliendo tra i giurati persone, anche di specchiata buona fede, che appartengono alla stessa cerchia culturale del predestinato.
L’amministrazione, teorizzano gli assertori del concorso pilotato con la segreta speranza di esserne i beneficiari, ha pur il diritto di scegliere la propria linea culturale e di nominare i commissari che più gli aggradano. Certo, ma in questo modo è inutile fare il concorso. Anzi, sarebbe meno vergognoso l’affidamento diretto, perché l’amministrazione dovrebbe così almeno giustificare la propria scelta senza trincerarsi dietro la foglia di fico di una commissione di gara.
E allora? Dobbiamo avere il coraggio di sostenere che ogni concorso dev’essere imprevedibile: quindi giudicato da personaggi estranei alle beghe locali e di orientamenti culturali tra loro decisamente diversi. Certo, in questo modo correremo il rischio che a vincere qualche volta sia un gregottiano e qualche altra un portoghesiano (dico per dire, tanto per fare l’esempio di due tipi di approccio che culturalmente mi repellono). Pazienza. La volta successiva sarà la stessa imprevedibilità che ci garantirà un buon progetto. Invece per adesso, le poche volte che i concorsi si fanno, abbiamo solo risultati che possono essere previsti in anticipo in base al manuale Cencelli della politica amministrativo-culturale. Con un margine di errore trascurabile.
Luigi Prestinenza Puglisi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3
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