Gae Aulenti ad memoriam
“Io avevo delle visioni artistiche, però in quel periodo c’era l’Italia distrutta, era allora nell’architettura che si poteva intervenire. Vedere le macerie ancora oggi mi è insopportabile”. Il ricordo dell’architetto scomparso lo scorso primo novembre.
Si è spenta nel primo giorno di novembre Gaetana “Gae” Aulenti. La sua opera nell’ambito del design è ampia e prestigiosa, dalle poltrone ai tavolini in vetro degli Anni Ottanta, dalle sedie alla celeberrima lampada pipistrello disegnata per Martinelli Luce nel 1965.
Ma proprio le righe qui in alto svelano la sua vera vocazione: quella per il restauro architettonico e l’allestimento museale, una sorta di canalizzazione del proprio estro verso la ricostruzione, la memoria.
Certo, per capire l’entità della sua fama basta nominare il Musée d’Orsay, di cui ha curato l’allestimento negli stessi anni in cui si è occupata della ristrutturazione della Gare d’Orsay. Mentre a due settimane dalla morte è stato inaugurato uno dei suoi ultimi lavori: l’aeroporto umbro di “San Francesco”.
Ma nonostante tutto è la donna Aulenti quella che colpisce di più chi si avvicina alla storia di questo personaggio protagonista del Novecento – e degli Anni Zero -, quella che trapela dalla lucidità di intellettuale delle ultime interviste video ma che si ritrova con grande coerenza anche nelle suo opere neoliberty e non.
*
Ed è forse l’intelletto la chiave di lettura di questo talento che iniziò la sua carriera nella redazione di Casabella, dove rimase per dieci anni. Che si allontanò dallo storico amore Carlo Ripa di Meana a causa di quello che lei definì “craxismo deleterio”. Che con un modernissimo candore afferma in un’intervista al Corriere della Sera: “Ciò che rende Milano bella è che ci sono pochi milanesi. La multiculturalità è un pregio, altrimenti si diventa subito provinciali”.
Ruolo importante nella vita di Aulenti ebbe inoltre il teatro: esperienza che iniziò con la collaborazione con Luca Ronconi per alcuni anni al Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato e che, indirettamente, è sempre continuata tramite la figlia Giovanna Buzzi, costumista.
Dal padre della Buzzi, Gae divorziò quando capì che avrebbe desiderato una moglie casalinga e “meno architetto”. La determinazione di Aulenti non era però quella dell’ambizione, ma quella della passione per il proprio lavoro, la stessa che le fece rifiutare il denaro che le offrì un magnate asiatico dell’editoria mondiale per cambiare la facciata rossa dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo che poco lo aggradava, la stessa che le valse la Legion d’Onore in Francia consegnatale da Mitterand in persona e il soprannome di “leonessa” che le diede Renzo Piano.
Solo nel 2005, prova di una creatività instancabile, fondò la Gae Aulenti Associati con Marco Buffoni, Francesca Fenaroli, Vittoria Massa, tutti collaboratori di Aulenti fin dagli Anni Ottanta. Lo studio di architettura oggi continuerà a portare il suo nome e ambisce, grazie ai tre soci ma anche ai numerosi collaboratori, a mantenere lo stesso approccio ai nuovi progetti e lo stesso modus operandi acquisito in tanti anni di lavoro accanto a Gae.
È scomparsa dunque una donna inarrestabile e capace, che a ottantacinque anni non aveva voglia di fermarsi, pioniera involontaria del women’s power quando, come racconta alle telecamere di Rai 5 ad Antonello Aglioti in una delle sue ultime interviste, si presentò per la prima volta in un cantiere, graziosa e neolaureata, e gli operai non credettero al suo “Sono l’architetto”. Ma anche un grande architetto che ha donato alla sua Milano, una delle città in cui ha lavorato meno, Piazzale Cadorna e Spazio Oberdan così come li conosciamo oggi, e al suo Paese tutto prestigio internazionale che ancora sa di quella manualità e genialità tutta italiana.
Simone Zeni
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati