Restaurare la vita sul Monte Athos
Phaidon Hadjiantoniou – “Fedone, in Italia è Fedone” – restaura monasteri sul Monte Athos da trent'anni. Lo incontriamo in una libreria sannita mentre cerca di scalfire la cappa di oscurità su un importante monastero di rito latino fondato oltre mille anni fa dal monaco Leone da Benevento sul terzo dito della Penisola Calcidica.
Il Monastero degli Amalfitani fu distrutto in circostanze misteriose e, all’incontro Da Benevento a Bisanzio, Fedone mostra ciò che è rimasto, tra resti archeologici e antichi documenti. Il quadro è complicato, “sembra greco” ma Fedone parla italiano, lo ha imparato studiando a Firenze. “Lettere Antiche, una facoltà molto conservativa dove si parlava solo di Grecia, da cui ero fuggito! Era un decennio rosso, una bella festa, e io mi trovavo in un convento”. Siamo negli anni Settanta. Abbandonata per la seconda volta la grecità, Fedone si iscrive ad Architettura e frequenta il gruppo del Manifesto. Specializzazione in restauro dei monumenti all’ICCROM e poi Agion Oros, la repubblica monastica della montagna sacra, cuore della spiritualità ortodossa.
“Non è stato un cambio di rotta, la vita monastica, rigorosa, ha un che di simile con quella militare e con l’organizzazione della sinistra extraparlamentare da cui provenivo. Sul Monte Athos ho trovato Trotsky, ho trovato i surrealisti. Come ha scritto in ‘Ortodossia e Surrealismo’ un monaco peruviano vicino a Luis Buñuel, nel Surrealismo non solo l’arte ma l’intero modo di vivere è capovolto. Questo succede anche ad Agion Oros”.
Cosa significa “fare un restauro” sul Monte Athos?
Il discorso è complesso, perché non si tratta di un restauro tipo Partenone, dove hai tutto il tempo di lavorare e puoi riflettere con calma. Sull’Athos ci sono certi bisogni umani di cui tenere conto. In un posto così non basta conservare solo le strutture, bisogna conservare anche la vita. Se finisce, se cambia, se questi monasteri diventano alberghi, avremo perso il monumento, che consiste, qui più che altrove, nel contenuto ancor più che nell’edificio. Sono piuttosto soddisfatto del nostro lavoro, anche se non sempre sono stato contento del risultato. Vi sono stati casi… incontrollabili.
Incontrollabili in che senso?
Troppa invasione della vita moderna. Questo si spiega facilmente, se si pensa che sull’Athos non ci sono donne. Nessuno nasce su questa penisola da secoli. Molte persone vi giungono per diventare monaci e molte vi riescono, sono inserite nei monasteri, ma questo non sempre basta. I monaci sono nati nelle nostre stesse città, nei luoghi che noi tutti conosciamo, quindi importano le loro abitudini, la loro – anzi la nostra – estetica, delle nostre città che fanno un po’ schifo, insomma. Così talvolta c’è una lotta da fare, per trovare una misura che renda soddisfatti sia noi restauratori sia loro, che abitano e animano quei monumenti.
Quali sono i monasteri più importanti di cui hai curato il restauro?
Ho lavorato tanti anni a Vatopedi, dove è stato fatto un ottimo lavoro, anche da parte degli altri colleghi. Il merito è dei monaci che vi risiedono, che hanno una mentalità aperta, sono più pronti ad ascoltare, a capire, a seguirti. Da dieci anni lavoro molto con il monastero di Pantokratoros, più piccolo. Quando vi sono giunto stava crollando, quindi abbiamo dovuto fare tanto, intervenendo prima di tutto sul catholicon, la chiesa principale, e sul refettorio. Anche qui mi sono trovato molto bene, ci sono anche due monaci italiani!
Molti monasteri del Monte Athos, pur conservando fascino e suggestione, sembrano con il restauro aver perso la propria antichità, il proprio vissuto. Persino a Vatopedi, l’impressione è spesso quella di trovarsi in una struttura completamente ricostruita, con pietre appena tagliate…
A Vatopedi non è tanto chiara questa impressione, eccetto in alcune parti. In altri monasteri sì, a Iviron per esempio, e la cosa non mi fa piacere, io sono per la patina. In Grecia, tuttavia, non esiste la “richiesta” di patina che c’è in Italia, primo Paese al mondo nel restauro. Da voi c’è un rispetto che in Grecia non c’è mai stato, se si escludono alcune categorie di monumenti, cioè quelli della Grecia classica. Il primo re di Grecia, Ottone, spostò la capitale da Nauplia ad Atene per costruire il suo potere sopra il mito dell’antica Atene, è facile capire perché viene data tanta importanza alle antichità classiche, anche per una questione politica e nazionalistica. Sorte diversa tocca ai monumenti relativamente più recenti.
Se l’Italia ha qualcosa da insegnare alla Grecia, il Monte Athos potrebbe secondo te insegnare qualcosa all’Italia in fatto di restauri? La profonda vitalità dei vostri recuperi, ad esempio.
Ricordo che negli Anni Settanta, quando ero in Italia, eravate all’avanguardia anche in questo. Penso a casi molto ben affrontati, a Firenze, Bologna, dove bisognava risanare il centro e restituirlo alle vecchie funzioni. Ci sono state delle perdite, come ce ne sono sul Monte Athos, ma a un livello accettabile, non facendo un restauro per i turisti o per la “nazione”, ma un restauro per poter aiutare un monumento a passare alla nuova generazione, come contenitore della memoria. Che è una cosa viva. Ultimamente, nel periodo Berlusconi, non so come sono andate le cose, manco da tanti anni in Italia…
Alessandro Paolo Lombardo
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