La ricostruzione degli Anni Dieci
In questi ultimi anni sembrano particolarmente apprezzati dalla critica di architettura gli edifici che mostrano attaccamento alla terra, utilizzano materiali comuni, ricorrono a un immaginario di forme semplici e rilassanti. L’esempio dell’India.
Da qui l’interesse per la produzione edilizia che viene da quelle realtà geografiche dove si vede poca tecnologia, non si fa ricorso alla progettazione digitale o parametrica e dove gli edifici sembrano, anche se appena realizzati, già un po’ vintage. Ciò sta avvenendo in India, come abbiamo visto con la produzione di collettivi di progettazione quali Studio Mumbai, e in America Latina, dove sta emergendo una generazione di ottimi architetti ben preparati dalle buone facoltà di architettura che vi sono nelle principali città del Cile, del Brasile, del Messico, dell’Argentina. Progettisti a cui non mancano buone occasioni per mettersi alla prova, grazie a un’economia in crescita costante e a un fabbisogno di edilizia che non ha niente a che vedere con le sempre minori occasioni offerte ai nostri progettisti dalla sempre più satura realtà edilizia europea.
Come sempre succede con le mode, vi è in questa passione per l’America Latina qualcosa che non convince. È il desiderio a volte malcelato di tornare indietro, di porre le lancette della storia agli Anni Cinquanta e Sessanta, quando opere edilizie analoghe venivano realizzate nell’Italia del boom economico. Non voglio dire che fossero esattamente tali e quali. Ma un occhio attento non fa difficoltà a trovare diverse similitudini tra gli anni della loro e della nostra ricostruzione. Analogie rese più appetibili dalla capacità di questi architetti di saperle servire rinnovate con alcuni riferimenti più contemporanei.
Ma vi sono anche aspetti decisamente convincenti. Il più importante di tutti è la rivendicazione del bisogno di integrazione tra edificio, natura e contesto, che fa pensare al profilarsi di una architettura di ampio respiro spaziale. Si intravede soprattutto nei progetti di residenze, molte bellissime e che non hanno niente da invidiare a quelle degli anni felici quando anche in Italia si realizzavano capolavori per mano di architetti del calibro di Carlo Scarpa, Luigi Pellegrin, Leonardo Ricci, Leonardo Savioli. Non è poco in questi tempi di ripensamenti in cui stanno profilandosi modi di vedere l’architettura molto più tristi e intellettualistici, che ci fanno temere un ritorno alle architetture di Aldo Rossi, Giorgio Grassi, Antonio Monestiroli e, più in generale, al rigorismo degli Anni Ottanta. Contro il razionalismo intellettualistico di queste scuole, un po’ di sana architettura neo-organica, sia pure con qualche rigidità neo-lecorbusiana, non potrà che fare bene.
Luigi Prestinenza Puglisi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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