La Siria in un pozzo. Alla Biennale di Architettura
Il disegno di un pozzo rappresentato come se fosse la locandina di un film di Dziga Vertov. Installato nell’ambito della mostra Monditalia alle Corderie dell’Arsenale rappresenta il progetto proposto dal Padiglione Siriano, fortemente influenzato dalle traumatiche vicende che coinvolgono il Paese. Come ci spiega il curatore del padiglione stesso, Khaled Malas
“Il pozzo è una necessità politica” sottolinea l’architetto Khaled Malas, curatore del padiglione siriano alla Biennale. E aggiunge “se si vuole creare un’identità territoriale all’interno di un paesaggio devastato da anni di guerra e abbandono, non basta piazzare un edificio sul terreno, ma pensare alla responsabilità a cui è chiamata l’architettura in questo preciso momento storico”. Ad accompagnare la presentazione del progetto l’incontro Excavating the sky, tenutosi dal 12 al 15 agosto alle Corderie dell’Arsenale, e al quale sono seguite proiezioni di film e documentari.
“Era essenziale che diverse discipline e posizioni teoriche fossero rappresentate nel panel per poter meglio comprendere la difficoltà ad intervenire con progetti propositivi in Siria in questo momento storico” afferma Malas. “I relatori da me invitati sono estremamente diversi tra loro: architetti, registi e attivisti. La posizione dell’attivista Zaidoun Al-Zoabi, co-fondatore of Higher Commission for Civil Defence, l’associazione che ha costruito il pozzo, è quella di un individuo che agisce sul campo in modo operativo; Josh Lyons, attivo nella NGO Human Rights Watch ha parlato invece del suo lavoro, ossia dell’analisi dei conflitti attraverso immagini satellitari. Fawaz Traboulsi, scrittore e storico, ha fatto invece una ricognizione storica e politica non solo della situazione siriana ma anche di quella di altri paesi come il Libano e la Palestina. Quest’ultimo intervento ha sottolineato quanto, nonostante la situazione siriana abbia delle specificità, vi siano delle caratteristiche universali che riguardano tutti i teatri di guerra. Ha ricordato inoltre quanto sia difficile operare in tali contesti e di come, anche se in modo diverso, siamo tutti responsabili per la continuazione della violenza”.
Lyons ha mostrato quanto le immagini riprese dai satelliti permettano di tracciare una mappatura degli edifici e delle infrastrutture distrutti. Nei vuoti lasciati da quelle distruzioni Lyons inserisce interventi grafici e testuali per poterli meglio analizzare. Le immagini satellitari sono sempre più presenti nel mediascape, non solo in ambito artistico e architettonico, ma anche giuridico. Del ruolo svolto da queste dispositivi tecnologici in ambito legislativo si era discusso, in modo più articolato, in The Architecture of Public Truth, conferenza organizzata lo scorso marzo all’interno della mostra Forensis, all’Haus der Kulturen der Welt di Berlino.
A Venezia Malas ha ricordato quanto i cieli siriani siano connotati dal ricordo di eventi mancati e luttuosi. Nel 1914 due monoplani ottomani atterrano a Damasco ma si schiantano durante il decollo; nel 1925 in seguito alla grande rivolta siriana l’esercito francese bombarda il Paese, causando centinaia di morti, tanto che a Damasco vi è un quartiere che ancora oggi è chiamato Hariqah, ovvero “l’incendio”. Il piano urbanistico della città testimonia chein quell’area vi è infatti una moderna griglia architettonica, riprova della continuità tra le pratiche della progettazione urbanistica e le tecnologie di guerra. In quell’evento drammatico un poeta egiziano riconosce l’inizio della resistenza araba al colonialismo.
Nel 1987 il cosmonauta Muhammad Fares è il primo siriano a partecipare alla missione sovietica verso la stazione spaziale MIR. In orbita racconta il territorio siriano visto dallo spazio con una conversazione trasmessa in diretta dalla televisione. Un evento molto celebrato, che ha sancito l’allenza tra l’URSS e la Syrian Air Force. Di Fares si era perduto il ricordo fino a quando non ha dichiarato la sua ritirata dall’esercito nell’agosto del 2012, in seguito al primo bombardamento dell’esercito sulla popolazione siriana. Cui segue nel 2014 il lancio della “barrel bomb”, ordigno particolarmente distruttivo sviluppato dalla Syrian Air Force, di cui si ha una ricca documentazione su YouTube.
Un ultima domanda riguarda i film presentati prima e dopo il panel. “Ho voluto proiettare film che riflettessero il tema della Biennale. Film vicini alla posizione di Saadallah Wannous quando scrive che noi siriani siamo “condannati alla speranza”. Il primo film mostrato è A Flood in Baath Country, importante non solo per l’ovvio riferimento al tema dell’acqua, ma anche profetico sulle trasformazioni avvenute in Siria nel decennio successivo alla realizzazione del film. The Night di Mohammad Malas, girato in una città distrutta dall’esercito israeliano, si occupa invece di eventi ricorrenti in una lunga storia di violenze e usurpazioni contro la popolazione siriana. Step by Step e The Immortal Sergeant mostrano invece le violenze perpetuate ogni giorno e mettono in relazione la quotidianità urbana e rurale come spazio del conflitto, in grado di determinare nuovi scenari e nuovi equilibri”.
Lorenza Pignatti
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