Lina Bo Bardi, esperimenti di editoria
Una mostra al MAXXI celebra il centenario della nascita dell’architetto. Riavvolgendo il nastro della sua formazione italiana, fra Roma e Milano. Abbiamo visitato la rassegna insieme alla curatrice, Margherita Guccione.
Nasce a Roma nel 1914, Lina Bo, ma sarà il Brasile la terra in cui sperimenterà il suo singolare talento progettuale, capace di misurarsi con intensità e passione con architettura e design, scenografia e illustrazione, fino all’attività editoriale. E proprio su quest’ultima si concentra la mostra Lina Bo Bardi in Italia. Quello che volevo era avere storia, al Maxxi di Roma in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita dell’architetto. Qui, fino al 3 maggio, troverete disegni e schizzi originali, documenti d’archivio, fotografie e video – alcuni dei quali realizzati ad hoc da The Piranesi Experience – che raccontano le collaborazioni con le più note riviste di architettura italiane, prima della partenza per il Sudamerica con il marito Pietro Maria Bardi. Inoltre il 12 marzo alle 17.30 sarà possibile ascoltare il punto di vista di Zeiler Lima, uno dei massimi studiosi dell’opera dell’architetto.
Nell’intervista che segue, illustrata da immagini in esclusiva per Artribune, Margherita Guccione, direttore del Museo di Architettura e curatrice della mostra, ci ha accompagnato alla scoperta di questo luminoso personaggio.
Nel 2014 si è celebrato il centenario della nascita di Lina Bo Bardi. L’esposizione al Maxxi è un piccolo ma intenso omaggio a questa straordinaria protagonista dell’architettura internazionale. Qual è stato il vostro approccio?
Per prima cosa ci siamo chiesti come mostrare una figura così importante e affascinante, con una storia piena di incontri e di scelte estreme, da un punto di vista diverso. In collaborazione con Nicola Di Battista, il direttore di Domus, che è partner dell’iniziativa, abbiamo pensato di approfondire i pochi anni in cui Lina ha operato in Italia. Dal 1939, anno della sua laurea in architettura a Roma, al 1946, quando con il marito parte alla volta del Brasile. Ripercorrere questo periodo a ritroso ci ha permesso di evidenziare quanto sia stato fondante per l’attività brasiliana che l’ha resa nota in tutto il mondo.
Il percorso espositivo prende avvio da uno scatto che ritrae Lina su un piroscafo, in viaggio verso il Brasile…
All’arrivo in Brasile, Lina, che ha negli occhi le macerie, le immagini dell’Italia e dell’Europa distrutte dalla guerra, dice: “Incanto. Mi sono sentita in un Paese dove tutto era possibile“. È la premessa della scelta che la porterà con il marito Bardi a restare in questa terra piena di potenzialità. Siamo partiti da qui e abbiamo riavvolto il nastro, seguendo come filo conduttore il suo curriculum letterario, scritto in varie fasi nel corso della sua vita.
Che idea ti sei fatta studiando la figura della Bo Bardi nel periodo in cui muoveva i primi passi nel mondo dell’architettura?
La parola chiave è energia. Una grande energia intellettuale unita a uno straordinario talento artistico. È impressionante la quantità di disegni, pensieri, progetti che mette a fuoco in questi primi anni italiani che diventeranno il bagaglio alla base della concreta progettualità sperimentata in Brasile.
Lina dopo la laurea si trasferisce a Milano, dove svolgerà un’intensa attività editoriale, documentata dalla mostra che hai curato.
È importante fare una piccola premessa. Lina si forma tra i banchi del liceo artistico di via Ripetta, incoraggiata dal padre, un personaggio eclettico, pittore e illustratore, da cui eredita il talento creativo. Si laurea alla Sapienza con un progetto di casa per madri nubili, tema più che mai scabroso in quel periodo. Questo aspetto evidenzia subito la sua determinazione. A Roma sente il peso della cultura accademica e con Carlo Pagani, un collega con cui stringerà un sodalizio, decide di spostarsi a Milano, che per lei rappresenta la modernità. Qui svolge il suo apprendistato con Gio Ponti. Dopo sei mesi, Domus pubblica un suo progetto per una casa sul mare in Sicilia firmato con Carlo Pagani che la affiancherà anche nel suo successivo ruolo di vicedirettore della rivista (dal 1944 al 1945).
Per ovvie ragioni legate al conflitto mondiale, sono anni in cui non si costruisce, si progetta per le riviste (come evidenzia questa mostra), gli architetti sono concentrati sulla prossima ricostruzione. C’è una positività tipica del mestiere del progettista, progettare significa guardare avanti. Lei si alimenta di questa energia e anche di quell’idea di modernità che respira a Milano.
Analizzando la sua ricerca editoriale, possiamo riconoscere tratti che torneranno nel suo lavoro futuro?
Analizzare questo periodo è stato molto interessante per diverse ragioni. Il suo approccio è molto femminile, basti guardare anche alla grazia grafica dei suoi disegni che ci trasmettono anche il suo feeling intellettuale con Gio Ponti. Si concentra molto sul progettare mobili, l’arredo di stanze da letto e spazi per i bambini. Gli arredi sono ideati appositamente per illustrare i suoi articoli sull’evoluzione della casa per riviste di architettura come Domus e Stile, ma anche per rubriche che tiene su riviste femminili come Grazia, per la quale dà consigli ai lettori.
In questi anni milanesi, come dicevamo, progetta molto per Domus, come puro esercizio di ricerca. Prendiamo ad esempio la già citata Casa sul mare in Sicilia a cui la rivista dedica ben dieci pagine. In questa opera ci sono molti elementi che troveranno esplicitazione nell’architettura costruita in seguito in Brasile. Guarda il patio interno che mette in comunicazione spazi interni ed esterni e che ritorna nella sua Casa De Vidrio a San Paolo. Nelle prospettive in mostra c’è già un richiamo al paesaggio tropicale, quasi una premonizione della sua vita futura. Il paesaggio e la vegetazione entrano negli spazi dell’abitazione. Sembra pensare: viviamo tra le macerie ma dobbiamo essere ottimisti e guardare al futuro, partendo dalla casa, cercando un nuovo modo di abitare, di vivere.
Temi che vengono esposti anche attraverso riflessioni teoriche nei suoi editoriali. Lina ha un pensiero forte, non è soltanto una progettista di talento. In Brasile scriverà diversi testi di teoria e sul progetto che svilupperà con un approccio originale nei molti settori disciplinari con cui si confronterà, dagli allestimenti museali al restauro urbano, fino all’impegno sul valore sociale dell’architettura.
I progetti di Lina Bo Bardi hanno sempre dato la massima attenzione alla persona. Mi sembra che anche la collaborazione con le riviste testimoni questo suo interesse.
Sicuramente. Pensiamo alla rivista A, fondata con Pagani e Bruno Zevi e pubblicata dapprima come quindicinale poi come settimanale da Editoriale Domus. Si tratta del primo rotocalco di architettura, stampato in offset e distribuito in edicola. Una rivista molto moderna che contiene riflessioni sociali sull’attualità e affianca temi alti di teoria, affrontati da grandi critici come Sigfrid Giedion, e consigli pratici su come utilizzare al meglio le pentole o offrire un nuovo aspetto a vecchi mobili, notizie sui film e recensioni di mostre.
La concezione è molto innovativa e, come dicevi, dà grande spazio alla vita delle persone, e questo viene fuori chiaramente dai loro editoriali. Te ne cito uno particolarmente intenso con il quale concludo: “Noi dobbiamo ricominciare da capo, dalla lettera A per organizzare una vita felice per tutti. Noi ci proponiamo di creare in ogni uomo e in ogni donna la coscienza di ciò che è la casa, la città. Occorre far conoscere a tutti i problemi della ricostruzione, perché tutti, e non solo i tecnici collaborino alla ricostruzione“.
Emilia Giorgi
Roma // fino al 3 maggio 2015
Lina Bo Bardi in Italia
a cura di Margherita Guccione
MAXXI
Via Guido Reni 4a
06 39967350
[email protected]
www.fondazionemaxxi.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/40982/lina-bo-bardi-in-italia/
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