Moon Hoon. La terrazza sulla Luna
Da giugno a Goyang, in Corea del Sud, una fase lunare è abitabile. È l’ultima creazione di Hoon Moon. Uno sguardo all’eccentrico universo dell’architetto sudcoreano, tra case lecca-lecca, chalet cornuti e abitazioni con la testa di drago.
LA DIETA DI UN VISIONARIO
Coreano, fumettistico, appariscente, cinefilo: le opere dell’architetto Moon Hoon (Sangdong Gangwon-do, 1968) concretizzano le fantasie più apocalittiche dei suoi disegni “per mondi (im)possibili”. Dal “terrorismo creativo” praticato in vent’anni di taccuini derivano edifici ingombranti nella loro eccentricità, che non ne vogliono sapere di adattarsi all’ambiente circostante: giochi solitari per strutture stravaganti, come i loro committenti.
Hoon ha stilato personalmente gli ingredienti delle sue opere in uno sgrammaticato “Pranzo architettonico”: nel calderone ribollono a fuoco lento un “sugo di architetti visionari” con “salsa Meier”, “spezia Piano + Rogers”, una spolverata di Jean Nouvel, Lebbeus Woods e Tadao Ando, Le Corbusier, Barragán e moda contemporanea. Un pizzico d’induismo, qualche suggestione tra sacro e profano da Varanasi, e il pasto è servito: solo per stomaci forti.
L’ARCHITETTURA DEL MANGA: UNA LETTURA CONTROCORRENTE
Ostentato e impudico, “the happy destroyer” si prende gioco delle tradizioni razionali più impolverate per imporre un’architettura dell’io senza inibizioni. Tra le sue celebri “follie” non si può prescindere dalla Lollipop House, le cui gommose volute circolari in acciaio rosso contrastano con la banalità abitativa circostante; le sue distorsioni rendono la Roll House quasi tradizionale se accostata alla mefistofelica Go.mir Guest House: un ruggente drago dagli occhi di fuoco, con piattaforma panoramica e finestre a diamante.
Agli chalet montani di Hoon spuntano corna di toro e coda, come nella “teatrale esagerazione” del complesso coreano Rock it Suda, omaggio alla band del cliente: per questa robotica armata le ispirazioni sono caleidoscopiche, dalla Barbie alla Spagna alla Ferrari.
Se il Sangsang Museum è la rivisitazione del castello di Dracula, Hoon arriva anche a depredare l’immaginario dei film di fantascienza: la Starwars House è atterrata su suolo coreano e strizza l’occhiolino a McQuarrie; un meteorite di cemento destinato a inquilini con il sogno di diventare astronauti.
Hoon appallottola il luogo comune e lancia un inno alla demolizione della seriosità monolitica: un’ode alla leggerezza e all’improvvisazione nel concedersi delle alternative alla noia urbana contemporanea.
HOON E LE LUNE CHE NON SI ALLINEANO
Il centro culturale Two Moon è l’ultima creazione dello studio Moonbalsso: non lontano da Seoul, Hoon tratta due solidi gemelli come complementari ma “separati alla nascita” da uno stretto passaggio centrale, con rampe d’accesso. Le due strutture condividono il vuoto sferico di una nicchia centrale, un tao astrale che li scompagina.
Ispirati a Two Moon Junction, thriller erotico di fine Anni Ottanta accolto senza scroscio d’applausi, i due fratelli committenti hanno richiesto uno spazio per eventi “dallo spirito libero” e “dalla forte carica erotica”: i volumi ospitano al piano terra una galleria d’arte e una caffetteria, gli altri due livelli sono destinati a uso privato.
Il trattamento del cemento grezzo, legato al budget ridotto, ricrea la grana di una superficie lunare senza crateri. Le irregolarità del contatto dei volumi con la sfera lunare in facciata si ripercuotono all’interno, sulle cui pareti si creano rigonfiamenti: i richiami al Pantheon della cupola ellittica nella fantasia di Hoon diventano orbite di kepleriana memoria, il vortice magnetico di un logico universo blu.
L’impatto della luna artificiale manda l’edificio in cortocircuito, evidente nel cablaggio elettrico lasciato volutamente scoperto: ne deriva l’aspetto industriale degli interni, completato da balaustre in metallo nero come le cornici delle finestre.
I tetti-terrazza celano giardini entro alte mura di cemento, perforate dalle costellazioni luminose degli oroscopi dei clienti. Hoon sceglie il lato oscuro, lo yin del cambiamento costante: due edifici come satelliti solitari, destinati a non allinearsi all’infinito.
Serena Tacchini
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