Biennale di Architettura. L’opinione di Alessio Battistella
Alessio Battistella è architetto, co-fondatore e presidente dello studio Arcò – Architettura e cooperazione, specializzato nell’affrontare e risolvere problemi in situazione di emergenza e territori di guerra. Qui ci racconta il suo punto di vista sui temi lanciati da Alejandro Aravena per la Biennale di Architettura che si aprirà a Venezia nel 2016.
PREGI E DIFETTI DI ALEJANDRO ARAVENA
Alejandro Aravena, classe 1967, ha insegnato a Harvard, è membro della giuria del Pritzker, ha vinto il Leone d’Argento alla Biennale del 2008 per il lavoro fatto con Elemental, organizzazione a scopo di lucro e fini sociali nella quale ricopre la carica di direttore esecutivo, ha affrontato incarichi pubblici di grande importanza, in Cile è un riferimento indiscusso per l’architettura e il progetto urbano.
I suoi maggiori detrattori lo accusano di: un’eccessiva vicinanza al potere politico; rimpiazzare il modello delle archistar proponendo un modello buonista attento ai temi sociali, ma che di fatto usa le stesse strategie del modello precedente per fare di sé un’icona; infine, rivendere come propri, attraverso un processo di “brandizzazione”, processi urbani che in Latino America avvengono da sempre.
L’ARCHITETTURA TORNA A SPORCARSI LE MANI?
Ora veniamo al tema e a quello che ci si aspetta da Aravena per la Biennale 2016.
L’architetto cileno inizia il suo TED del 2014 con dei dati oggettivi: “Su tre miliardi di persone che vivono attualmente nelle città un miliardo è al di sotto della soglia di povertà. Nel 2030, su cinque miliardi di persone che vivranno nelle città, due miliardi vivranno in povertà”, senza contare le emergenze dovute a disastri naturali o causati dall’uomo. Lo scenario che si prefigura impone una presa di posizione da parte degli architetti che, attraverso la disciplina, devono porsi le giuste domande per poter condividere le risposte.
Finalmente un luogo istituzionale come la Biennale di Venezia decide di occuparsi di chi è in prima linea. Lo avevamo intuito con il Leone d’Oro alla Torre David, padiglione ambiguo e discutibile, ma che lasciava presagire l’interesse per come l’architettura si relazioni a temi sociali. E questo per me è già un dato importante, una Biennale che “si propone di mostrare a un pubblico più vasto cosa significa migliorare la qualità della vita mentre si lavora al limite, in circostanze difficili, affrontando sfide impellenti. O cosa occorre per essere in prima linea e cercare di conquistare nuovi territori”, può diventare una Biennale in grado di dare un contributo fondamentale alla ridefinizione del tanto vituperato ruolo dell’architetto, una sorta di Fundamentals del fare architettura attraverso un Reporting from the front, almeno così mi piacerebbe che fosse.
IN DIFESA DI ARAVENA
Ma torniamo alla persona che dovrà farsi carico di tutto ciò e ai tre punti sollevati dai suoi detrattori.
Per quanto riguarda l’eccessiva vicinanza al potere politico, chiunque abbia esercitato la professione dell’architetto sa che le trasformazioni urbane, a qualsiasi scala, non si realizzano senza una forte capacità di mediazione e di relazione con chi detiene il potere di scegliere; il secondo punto dimostra che ci troviamo di fronte a una persona che sa comunicare e comunicarsi: se userà la sua abilità per diffondere l’importanza dei temi che ha dichiarato di voler trattare, a me sta bene; per quanto riguarda il terzo punto, trovo faccia parte della normale pratica dell’architetto: sistematizzare, sintetizzare e realizzare processi presenti nella tradizione locale.
Ora non resta che aspettare che Aravena mantenga le promesse.
Alessio Battistella
www.labiennale.org/it/architettura/
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