Un approccio diverso alla moda: Lucio Vanotti
Lui si chiama Lucio Vanotti ed è un giovane stilista milanese. Disegna abiti no gender e si ispira all’architettura radicale degli Anni Sessanta. Guardate un po’ con che risultati.
COME (NON) CAMBIA LA MODA ITALIANA
Il fashion system internazionale sembra essere sedotto da una poetica diversa nella moda italiana, che affonda le sue radici nel costume come quella proposta dal duo Mariagrazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli per Valentino, o dall’immagine da “beautiful looser” proposta da Alessandro Michele per Gucci, che ha riscosso così tanto successo in solo due stagioni. Un momento di ridefinizione stilistica, in cui si sente il bisogno di un nuovo romanticismo, di un prodotto che racconti una storia, un incanto senza tempo, che la moda commerciale, nel suo frenetico inseguire i trend, stava in qualche modo perdendo.
Queste due storie ci fanno interrogare e riflettere su quale sarà il futuro della moda italiana: pur essendo molto diverse tra loro, hanno in comune l’idea di Roma come radice delle loro ispirazioni e anche una certa libertà di approccio allo stile che la capitale si è sempre concessa.
FASHION RADICALE E ARCHITETTONICO
In questo panorama, dove si ripetono ritualità e gesti di un mondo che sta cambiando velocemente, a generare fermento e nuova linfa sono i giovani designer che, sia a Milano sia a Roma, riescono ad avere sempre più spazio. Tra le figure più interessanti che si vanno affermando, con il suo stile colto e minimale, è Lucio Vanotti.
Un approccio diverso al lavoro del designer che trova nelle architetture e nel design un sistema di piani, una griglia per ripensare l’idea dell’abito nelle varie dimensioni sia nella costruzione che nella stampa. “Condivido il pensiero dell’Architettura Radicale che tutto può essere architettura o che l’architettura faccia parte di un concetto più ampio di desiderio estetico della realtà”, racconta Vanotti. Quadrati, strisce, linee, ripresi da elementi dell’arredo e delle architetture tradizionali giapponesi diventano le guide per rileggere capi classici del guardaroba maschile e femminile. Una visione purista e allo stesso tempo poetica, che ammorbidisce i volumi e le ampiezze avendo nel suo Dna la costruzione dell’abito sartoriale.
SUPERSTUDIO NELL’ARMADIO
Lucio Vanotti ha sempre seguito un’idea “no gender”, evoluzione per lui naturale dell’abito, cioè di un guardaroba che fosse naturalmente giusto sia per la donna che per l’uomo.
Per la sua ultima collezione uomo, presentata a Milano lo scorso giugno, si è ispirato al mondo di Superstudio, movimento che negli Anni Sessanta ha messo in discussione i dogmi dell’architettura tradizionale e l’idea di mainstream culturale con un’ironia dissacrante.
Alessio de’ Navasques
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27
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