Triennale di Lisbona. Parla il curatore dell’edizione 2016
In vista di “The Form of Form”, quarta edizione della Triennale di Architettura che aprirà a Lisbona nell’ottobre 2016, abbiamo incontrato André Tavares, curatore della manifestazione insieme a Diogo Seixas Lopes.
André Tavares, curatore della quarta edizione della Triennale di Architettura di Lisbona, ci ha raccontato di un evento che sta crescendo e acquisendo nuove configurazioni, in un momento storico in cui le biennali e triennali legate ad architettura e design si diffondono a livello internazionale. Numerosi i curatori coinvolti nelle tre sezioni tematiche, tra cui gli italiani Fabrizio Gallanti (co-fondatore con Francisca Insulza dello studio canadese FIG), Mariabruna Fabrizi e Fosco Lucarelli del parigino Socks Studio. E infine c’è tempo fino al 15 dicembre per partecipare a un’open call per proporre mostre, workshop e conferenze in grado di offrire una riflessione inedita intorno al leitmotiv The Form of Form.
Ma nel 2016 non sarà solo la Triennale a condurci a Lisbona: in autunno apre anche il MAAT – Museo de Arte, Arquitectura e Tecnologia, disegnato dall’inglese Amanda Levete e capitanato da Pedro Gadanho, di cui ci occuperemo molto presto.
Ci racconti il significato del titolo della prossima edizione della Triennale? Come nasce questo tema?
Non abbiamo sviluppato un “ombrello tematico” perché avrebbe lasciato molti sotto la pioggia: piuttosto il nostro obiettivo è portare a Lisbona una discussione sulla formazione delle nostre città e del nostro paesaggio in grado di interessare architetti e cittadini. Semplicemente questo.
Tutti, però, ci chiedevano un tema! Dunque, The Form of Form intende essere un leitmotiv, un espediente grazie al quale ogni mostra o ogni conferenza possano avere uno “sfondo sincopato” al quale ciascuna discussione ritorna. Dopo tutto, questo è ciò che fanno gli architetti: danno forma al nostro mondo fisico, è così che lo trasformano. Anche l’attività architettonica più informe implica un risultato – o la mancanza di risultati – così come avviene nella vita quotidiana, di tutti.
E funziona?
Eccome! Il titolo sembra innescare reazioni al di là del confine tematico; così, nella preparazione dell’evento, stiamo scoprendo numerosi approcci non formalistici all’idea di forma. The Form of Form ci aiuta a far sì che la Triennale sia capace di riunire molte idee e pratiche architettoniche che, in passato, sono finite in frantumi per effetto dei limiti imposti dai temi curatoriali e dalle strategie di marketing.
Come nasce la Triennale?
La Triennale ha origine da una proposta di José Mateus all’Ordine degli Architetti; la prima edizione, Urban Voids, si è tenuta nel 2007. Il suo intento, “l’impetus”, era portare a Lisbona il dibattito sull’architettura, intenso e appassionato, come accadeva a São Paulo o a Venezia. Con la sua spinta motivazionale, riuscì a dimostrare che sarebbe stato un evento necessario e utile. In questi dieci anni la Triennale è cresciuta fino a diventare probabilmente la più grande tra le istituzioni legate all’architettura in Portogallo.
Come funziona l’istituzione? A chi è affidata la sua policy e il programma delle iniziative? A chi spetta la scelta dei curatori e dell’orientamento dell’evento?
Nel 2010 la Triennale è divenuta un’associazione privata senza scopo di lucro che si sforza di trovare finanziamenti da partner privati e pubblici, fin qui con buoni risultati. Nel 2013 il Governo l’ha resa un “ente di interesse pubblico”. È formata da un “organo di controllo” con consiglieri che lavorano a stretto contatto per la Direzione. Oltre a occuparsi di scegliere i curatori per il grande evento – la Triennale appunto – l’ente promuove altre attività, come conferenze, convegni e, più di recente, anche il programma di visite Openhouse. Nel 2011 il Comune le ha assegnato una sede – uno splendido palazzo, con una terrazza affacciata sul fiume – con l’obbligo di ristrutturarlo perché in rovina e renderlo accessibile alla cittadinanza come “cluster creativo”. Sta diventando un posto incredibile!
Quale sarà l’organizzazione della prossima edizione? Come state lavorando e quali saranno le connessioni tra ciascuna delle sezioni collaterali e la mostra principale?
Abbiamo iniziato definendo tre “ambiti”, il cosiddetto “tripod” – The Form of Form, Building Site e The World in Our Eyes – a cui abbiamo assegnato tre diverse sedi: il nuovo Museum of Art Architecture and Technology, il South Garage del Belém Cultural Centre e la raffinata Gulbenkian Foundation. In ciascuno di questi luoghi si affronteranno questioni legate ai concetti di authorship e visual construct dell’architettura, dato che la più recente sfida per la disciplina riguarda le modalità di costruzione degli edifici, le loro interazioni sociali e, di conseguenza, l’utilizzo della città e le modalità attraverso le quali gli architetti ne concepiscono la forma.
Questa triplicità tematica sarà resa anche attraverso mostre collaterali e laboratori che occuperanno più location in giro per la città, permettendo ai visitatori di scoprire itinerari insoliti e quel paesaggio urbano oltre il centro che è meno turistico, ma straordinario. Stiamo anche accettando alcuni interventi a cura di Associated Projects, ampliando così il campo d’azione anche alle produzioni indipendenti. Ci stiamo concentrando sulle conferenze e sui grandi eventi; tre saranno i periodi salienti: l’apertura (dal 6 al 9 ottobre); metà di novembre con la presenza di numerosi ospiti in occasione di Talk, Talk, Talk conferences (dal 17 al 19 novembre) e gli appuntamenti conclusivi (dal 9 all’11 dicembre).
Chi saranno gli architetti coinvolti e i curatori di ogni sezione?
Si tratta di un programma ambizioso, con architetti di tutto il mondo – come lo statunitense Mark Lee da Johnston Marklee, Kersteen Geers da Office, Rualab dal Brasile o Nuno Brandão Costa e Skrei dal Portogallo – e il coinvolgimento di molti curatori, tra cui voglio ricordare FIG Progetti, guidato da Francisca Insulza e Fabrizio Gallanti da Montréal, i cileni Pedro Alonso e Hugo Palmarola, la coppia italiana Mariabruna Fabrizi e Fosco Lucarelli, conosciuti anche come Socks Studio, e l’architetto portoghese Godofredo Pereira.
Inoltre, ci stiamo operando per avere molti partner istituzionali, dalla casa editrice Lars Müller al Canadian Centre for Architecture, dalla Cité de l’Architecture et du Patrimoine di Parigi alla Harvard School of Design. La cosa migliore sarà venire a Lisbona e vedere con i propri occhi!
Ciascuna edizione della Triennale è molto diversa dalla precedente. In quale modo questo “volersi differenziare” si è, a sua volta, evoluto contribuendo a rendere l’istituzione più forte nel corso degli anni? Cosa ha imparato la Triennale dalla sua stessa storia e in quale modo sta crescendo come istituzione?
Non è questo lo scopo delle Triennali? Rendere possibile che il dibattito acquisisca una propria forma fisica da qualche parte? Fortunatamente questi confronti non sono sempre gli stessi. Dal punto di vista istituzionale, ogni edizione genera un sapere destinato a manifestarsi anche nelle decisioni che incideranno sulle edizioni successive. Ed è questa diversità che ha trasformato il cosiddetto “impetus naïf”, lo slancio originario di José Mateus, in un’istituzione di rilievo, oggi tutt’altro che naïf.
Tuttavia credo che il maggiore vantaggio si rifletta sul paesaggio culturale portoghese, sia dal punto di vista architettonico che sul fronte intellettuale. Ciascuna Triennale infatti ha generato reazioni e promosso una consapevolezza, pubblica e professionale, su molte questioni, direttamente connesse con l’architettura. L’architettura è una forma instabile di conoscenza, il cui campo negli ultimi decenni si sta espandendo molto. Dunque, modelli e approcci alternativi per organizzare questo tipo di eventi sono cruciali per garantire l’unità e la diversità di architettura.
Negli ultimi anni assistiamo a un’esplosione di biennali e triennali di architettura. Cosa ne pensi di questo processo e qual è la peculiarità della Triennale di Lisbona?
Ancora ci sono meno biennali e triennali che città del mondo! Penso che questo scenario rifletta il crescente interesse intorno all’architettura, ovvero l’espansione della disciplina verso un pubblico più ampio e interessato. Un’altra possibile spiegazione è che le riviste stanno perdendo terreno: in un mondo sempre più veloce, digitale, forse non sono più in grado di promuovere il trasferimento delle conoscenze e innescare il dibattito sulla disciplina. Quindi, ciò che precedentemente accadeva in un unico luogo – le riviste – oggi sta avvenendo in altri posti, nei musei o in eventi e manifestazioni come le biennali.
Tuttavia, qualunque siano le ragioni, questa proliferazione è stata fautrice di importanti scambi internazionali: Lisbona è disposta a impegnarsi in questo vivace scenario. Il 2016 sarà un anno davvero emozionante per l’Europa, con Rotterdam, Venezia, Istanbul, Oslo o Lisbona, tutti contesti degni della nostra attenzione. Credo che avere diversi approcci, ma anche contesti, storie e declinazioni locali, genererà echi tra i vari eventi. Essendo collocata alla fine dell’anno, la Triennale di Lisbona sarà una sorta di chiusura, il posto migliore per valutare i risultati di un intero anno di attività.
Pensi che si stia iniziando ad avvertire una certa stanchezza per questo tipo di eventi?
Non si sente la stanchezza, fatta eccezione eventualmente per i giornalisti che devono correre in tutto il mondo per cercare di afferrare tutto ciò che accade. Tuttavia, anche questa mi sembra una cosa positiva, dal momento che un impegno più ampio alla fine si tradurrà in un processo di comunicazione più ricco. Per l’abitante di Lisbona non c’è bisogno di correre verso Oslo, anche se questa opzione potrebbe comunque essere una buona idea.
Ma questi eventi non sono in competizione tra loro, in quanto forniscono una più capillare distribuzione geografica delle conoscenze e anche perché le risorse finanziarie in gioco non hanno la stessa origine. Venezia potrebbe preoccuparsi per la presenza di altre città che danno vita a un’agenda fitta di appuntamenti di architettura? La grandezza di Venezia non sarà mai messa in discussione, dal momento che ha una storia a se stante e un rilievo unico.
Come possiamo cambiare l’idea della “mostra di architettura”?
Credo che il vero problema stia nel modo in cui si deve esporre l’architettura: a quale scopo? Per chi? In quest’ottica possiamo cambiare solo agendo, facendo: “The more we try, the better we can fail”.
Uno degli aspetti interessanti della Triennale è l’apertura attraverso una “call for proposals”. Di cosa si tratta e come si può partecipare?
Siamo disposti a creare una discussione aperta. E sappiamo che così facendo avremo maggiori capacità di promuovere e comunicare l’evento di Lisbona – e portare pubblico nella capitale portoghese, come ci garantiscono le edizioni precedenti – piuttosto che mezzi per finanziare gli ospiti. Così abbiamo aperto una call per tutti coloro che sono disposti a portare a Lisbona mostre, laboratori e lezioni in grado di offrire una riflessione intorno al leitmotiv The Form of Form.
Nel frattempo, ci siamo uniti alla Future Architecture Platform, che ha lanciato una call rivolta agli architetti: insieme stiamo selezionando alcune proposte per coinvolgere l’ampia e promettente rete dei musei e delle istituzioni che saranno presenti nelle mostre satellite.
Qual è lo spirito di questa iniziativa? Come si pone in relazione con l’idea curatoriale?
Questi contributi permetteranno di favorire la connessione tra i tre ambiti espositivi principali – il “tripod” – sia in termini spaziali, vista la distribuzione in tutta la città, sia dal punto di vista intellettuale, mettendo in relazione i contenuti tra loro e incoraggiando l’avvio di un dibattito stimolante.
Roberto Zancan
Lisbona // dal 6 ottobre all’11 dicembre 2016
4. Trienal de Arquitectura – The Form of Form
a cura di André Tavares e Diogo Seixas Lopes
www.trienaldelisboa.com
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