Progetto Zoia. Social housing a Milano
Una “nuova architettura delle relazioni” in un quartiere periferico milanese prende vita grazie all’housing sociale, in cui trovano posto spazi abitativi e di lavoro, luoghi di incontro e laboratori per giovani creativi. Abbiamo incontrato Federica Verona, che coordina il progetto Zoia.
MILANO E LA PERIFERIA
Zoia è un quartiere di periferia. Siamo in via Fratelli Zoia a Quarto Cagnino, che nella notte dei tempi fu un borgo rurale e da qualche decennio è un pezzo di Milano. Lo collegano al centro un capolinea metropolitano storico, Bisceglie, e uno nuovissimo, San Siro; il Parco di Trenno e quello delle Cave segnano il confine con la campagna irrigua del Parco Sud, che qui estende le sue propaggini più settentrionali.
A Quarto Cagnino, la città è composta soprattutto di vuoti. Fatto salvo il piccolo e accogliente budello che un tratto della stessa via Zoia disegna attraverso una manciata di vecchie case, il quartiere si è costruito come una somma di frammenti isolati di città tardo-modernista (si vedano a tal proposito le impressionanti barre del quartiere GESCAL di via Karl-Marx) trasformatisi, manco a dirlo, in incubatori di disagio e precarietà sociale. Così, a Quarto Cagnino, il vuoto, spesso imponente quanto i pieni che lo delimitano, può anche fare paura.
UN PROGETTO CONDIVISO
Nel 2008, le cooperative Edificatrice Ferruccio Degradi e Solidarnosc del Consorzio Cooperative Lavoratori rispondono al bando comunale per le “8 Aree per l’housing sociale” e danno avvio all’esperienza di Zoia, che vuole mettere radicalmente in discussione questa percezione condivisa. Gli architetti Vincenzo Gaglio, Luca Mangoni, Luigi Pilastro e Coprat progettano tre edifici residenziali (con novanta alloggi in totale, suddivisi tra proprietà, affitto a canone convenzionato e a canone sociale) che delimitano una corte privata a uso pubblico e soprattutto la nuova piazza della Cooperazione. Una scelta indubbiamente rischiosa, dato che le periferie italiane sono ricche di metafisici spiazzi colonizzati dalle erbacce, eredità di qualche promessa tradita della rigenerazione urbana. Il team di Zoia, coordinato da Federica Verona per la cooperativa Solidarnosc (capofila dell’intervento), vuole scongiurare il pericolo del deserto urbano costruendo al tempo stesso gli elementi materiali del progetto e il suo “racconto”, o meglio i suoi tanti racconti, che confluiscono online su Zoiablog. Durante l’intero iter progettuale, il blog non solo segue e documenta l’attività delle cooperative, degli architetti, dell’impresa costruttrice e il coinvolgimento dei soci, ma si incarica anche di mappare le ricchezze sociali e culturali già esistenti nel quartiere, facendole reagire con il piano di accompagnamento sociale di ZOC – Zoia Officine Creative.
BLOG E PARTECIPAZIONE
Zoiablog lavora per anni alla creazione di un immaginario condiviso tra i futuri inquilini di Zoia e gli abitanti di Quarto Cagnino, anticipando le forme di scambio e condivisione che si spera avverranno effettivamente nella piazza della Cooperazione. Lontano dagli atri di marmo e dalle hall trasparenti (ma sorvegliatissime) del centro città, è questo spazio aperto il luogo in cui privato, collettivo e pubblico mettono alla prova la loro capacità di convivenza.
Il vuoto esistente è riqualificato per alternare la presenza del mercato rionale (che già si svolgeva qui) a quella di manifestazioni, esposizioni open-air, temporary shop, eventi culturali, in stretta connessione con i laboratori al piano terra dell’edificio in affitto e con gli altri spazi in comune, di pertinenza esclusiva dei residenti.
LE PRIME RISPOSTE
Federica Verona ci racconta che, malgrado qualche lungaggine burocratica, e grazie al sostegno degli efficienti uffici pubblici del Settore Valorizzazione Aree Comunali, “Zoia oggi inizia a funzionare! Non tutti gli abitanti partecipano alle iniziative, ma i più giovani proprietari sono molto propositivi. Un gruppo di mamme ha promosso un corso di educazione musicale per i bambini e frequenta regolarmente i corsi di yoga e pilates”, tenuti nei locali di Zoc e di Noicoop, la cooperativa sociale di condominio, mentre “il liutaio, le scenografe, la galleria e lo studio di architettura si stanno facendo conoscere ben al di là dei confini del quartiere”.
Come sempre, sarà solo la prova del tempo a dirci se l’energia Zoia riuscirà a sopravvivere e a radicarsi effettivamente nel suo contesto, in questa periferia milanese di cui Giovanni Testori raccontava con affetto: “Ho sempre vissuto qui, e spero di poterci vivere fino alla fine!”.
Alessandro Benetti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati