Pippo Ciorra ricorda Francesco Garofalo
A poche settimane dalla scomparsa del celebre progettista, l’amico e collega Pippo Ciorra ne evoca la memoria con un ricordo sentito. Per non dimenticare che l’architettura è, prima di tutto, una disciplina concreta, da salvaguardare in maniera consapevole e critica.
UNA GRAVE PERDITA
Non ci vuole molto a comprendere come la scomparsa molto prematura di Francesco Garofalo lasci un vuoto angosciante e molto difficile da colmare sia nella comunità dei suoi familiari e amici che in quella globale dell’architettura. Per le persone che lo frequentavano in privato Garofalo era una presenza sempre positiva e stimolante, un amico al quale avresti affidato senza timore tuo figlio, un groviglio di curiosità e desiderio impaziente di partecipazione civile che appunto teneva insieme il suo essere cittadino attivo, architetto, intellettuale, docente impegnato e virtuoso.
Per l’architettura è una perdita grave. Per quella romana e italiana poi gravissima, per almeno tre ragioni. La prima è che Garofalo si è sempre battuto con tutte le sue forze contro l’isolamento e l’arretratezza di certi aspetti del nostro mondo architettonico, allargando il più possibile i suoi interessi alla scena internazionale, soprattutto inglese, nordamericana, svizzera, giapponese, ma stando bene attento a non fare di questo essere “nel mondo” una manifestazione di provincialismo e disprezzo nei confronti del proprio paese. Ha cercato sempre di fare da “ponte” tra la nostra cultura e quella internazionale, e spesso ha concretizzato questa sua intenzione in eventi importanti, come la ricerca sulle città (Learning from Cities, Postmedia Books 2008, con ventidue scuole di tutto il mondo) alla Biennale del 2006, il padiglione italiano del 2008 (L’Italia cerca casa, Electa 2008) e un’infinità di workshop, seminari e pubblicazioni.
L’ARCHITETTURA, UN IMPEGNO CONCRETO
La seconda ragione è che Francesco Garofalo era uno dei pochi tra noi che aveva la pazienza di dedicarsi anima e corpo anche alle istituzioni, cercando di tradurre le sue idee sulla necessaria “ricostruzione” dell’architettura italiana in impegno concreto nelle sedi dove si cerca di riformare le istituzioni, universitarie, professionali o culturali che siano. È stato presente nelle fasi più e meno recenti di adeguamento dei meccanismi di riorganizzazione delle scuole di architettura, ha partecipato all’organizzazione di concorsi importanti, è stato parte del team che ha lavorato per l’impostazione del concorso e la selezione dei progetti per il futuro MAXXI. Pur affezionatissimo all’autonomia della sua disciplina, e veniamo al terzo punto, Garofalo non ha mai trascurato la preoccupazione di fare dell’architettura una presenza attiva nel mondo e in particolare nella sua città, Roma. Dall’epoca della laurea, nei primi Anni Ottanta, Francesco non ha mai fatto mancare il suo contributo generoso a tutti i dibattiti, i laboratori, le ricerche e soprattutto i tentativi di coinvolgere i massimi esponenti della cultura architettonica internazionale a discutere di Roma.
NEL CUORE DELLA CAPITALE
Era cominciato con alcune mostre importanti della Roma degli anni d’oro del centrosinistra, era proseguito con il concorso delle chiese del Giubileo e con quello per l’addizione alla GNAM, era avvenuto ancora l’anno scorso, nella fase finale della sfortunata giunta Marino, quando con il MAXXI e venticinque università di tutto il mondo (Roma 20-25. Nuovi cicli di vita per la metropoli, Quodlibet 2015) avevamo provato a prefigurare un futuro possibile per la nostra strana metropoli. Garofalo era professore ordinario di progettazione a Pescara, ha insegnato allo IUAV di Venezia e in diverse università canadesi e americane. Era un bravo architetto e insieme alla moglie Sharon Miura, progettista accuratissima, aveva realizzato a Roma due chiese di forte impatto architettonico, Santa Maria Josefa e Santa Maria delle Grazie a Casal Boccone, aveva lavorato al restauro della British School romana e a molti altri progetti importanti. Ha scritto libri importanti – come la monografia Zanichelli su Adalberto Libera (con Luca Veresani, del 1989) e Architettura scritta, per Allemandi (2008) – e un altro con una raccolta di suoi scritti sta per uscire. Non è facile a Roma battersi per la qualità e il progresso in architettura, da metà agosto di quest’anno è ancora più difficile.
Pippo Ciorra
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