Venezia. L’emergenza migranti alla Biennale di Architettura
Nel 2015 sono state 63,5 milioni le persone in fuga da guerre, violenze e povertà. Ed è questa una delle sedici battaglie individuate dal curatore Alejandro Aravena per la Biennale di Architettura.
L’attualissima questione migratoria non è solo al centro delle cronache quotidiane, ma anche delle riflessioni compiute in luoghi istituzionali come la Biennale di Venezia. Lo dimostra la serie di progetti legati all’emergenza migranti esposti nell’ambito della Biennale di Architettura diretta da Alejandro Aravena.
DA CALAIS ALLA GERMANIA
Con la sua imponente presenza, un glaciale blocco marmoreo invade l’ingresso delle Sale d’Armi dell’Arsenale. Riproduzione in scala reale di un rifugio improvvisato nel campo profughi di Calais, il contributo di Sam Jacob Studio per il Padiglione delle Arti Applicate è la potente testimonianza alla XV Biennale di Architettura di Venezia dell’emergenza migranti. In prima linea ai Giardini, così come in Europa, si colloca la Germania, che a un’attenta analisi delle “Arrival City” nazionali affianca una selezione di architetture dell’accoglienza. Fra mobile house, container ed edifici low-cost efficaci ma anonimi, si distingue il social hub per gli 8.000 rifugiati ospitati nello storico aeroporto berlinese di Tempelhof. Prossima all’inaugurazione, la leggera struttura in legno dei Gorenflos Architekten raccoglierà sotto un’unica copertura semitrasparente spazi per il gioco e il lavoro, lo sport, l’educazione e anche un giardino d’inverno.
AZIONE SUL CAMPO
A un report dal fronte, l’Austria preferisce l’azione sul campo, finanziando tre interventi per accogliere richiedenti asilo a Vienna. Notevoli i moduli in legno dei the nextENTERprise-architects, che trasformano un edificio per uffici dismesso in luogo di co-abitazione per 140 fra giovani profughi e studenti. Versatili “stanze nelle stanze” che, aprendosi, permettono agli ospiti di definire liberamente spazi privati e collettivi. Alle Corderie, l’emergenza immigrazione diventa occasione per ripensare lo sviluppo delle città europee. Incorniciato dall’emblematica scritta Neubau, l’enorme plastico in polistirene dei BeL Architekten illustra in cinque casi studio le potenzialità dell’edilizia incrementale. Dato uno scheletro strutturale neutro e un kit per l’auto-costruzione, i residenti completano l’edificio secondo il proprio background culturale: un modello urbano per milioni di migranti, che coniuga la scarsità dei mezzi alla qualità architettonica.
L’ARCHITETTURA CHE FA LA DIFFERENZA
Il ruolo giocato dal linguaggio nei processi di integrazione è rimarcato dal belga Alexander D’Hooghe (ORG) nel masterplan per il quartiere multietnico di Anderlecht. Rifiutando la specificità di uno stile a favore di forme archetipiche, la struttura in “pannelli platonici” fa del nuovo mercato – prima opera realizzata del piano – un “monumento per una società aperta”. Declinata in proposte interessanti ma allo stato embrionale in Finlandia, in un’evocativa installazione in Albania e nelle nobili ma confuse intenzioni del collettivo greco #ThisIsACo-op, la complessità dell’emergenza migranti è invece in questi quattro progetti affrontata con audacia e concretezza. Diversi per scala, tempi e tipologia, ricordano come, nel lungo percorso dall’accoglienza all’integrazione, gli architetti sono chiamati a offrire, oltre che un riparo dignitoso, spazi di vita, inclusione e socialità. Solo in questo modo “l’architettura”, citando Aravena, “ha fatto, fa e farà la differenza”.
Marta Atzeni
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