Il senso di Trump per l’architettura
Il candidato repubblicano lega il proprio nome a una serie di edifici a torre in varie città non solo negli USA, seppur con una notevole presenza a New York. Tra controversie legali, gusto per l'eccesso, sfarzo e autocelebrazione.
C’è anche Adrian D. Smith – fondatore nel 2006 del pluripremiato studio Adrian Smith + Gordon Gill Architecture – nella schiera dei progettisti coinvolti, nel corso degli ultimi trenta anni, da Donald Trump nella realizzazione di nuovi complessi edilizi o nella riconversione di proprietà immobiliari già esistenti e oggi gestite dal suo gruppo societario. L’architetto statunitense, classe 1944 e autore della torre più alta del mondo – il Burj Khalifa di Dubai –, nonché del grattacielo che è destinato a surclassarlo – la Jeddah Tower, a Jeddah, in Arabia Saudita – ha infatti firmato anche la Trump International Hotel & Tower di Chicago, conclusa nel 2009. Svettante dall’alto dei suoi 98 piani, coronati da una guglia, il grattacielo raccoglie una struttura ricettiva e una serie di residenze. Vanta un’altezza che di poco supera i 420 metri – condizione che la colloca tra le strutture a maggior sviluppo verticale degli Stati Uniti e al 15esimo posto su scala mondiale.
Scorrendo la lunga serie delle architetture cui il candidato repubblicano lega il proprio cognome e i propri interessi finanziari dalla celebre Trump Tower, al civico 721 della Fifth Avenue, una delle residenze dello stesso imprenditore, alla Trump Tower di Panama fino allo scintillante Trump International Hotel Las Vegas, con i 64 piani di lusso, destinati a hotel, condominio e multiproprietà, solo per citare alcuni esempi –, a balzare agli occhi è il ricorrente sforzo verso il superamento di record strutturali, cui però talvolta si affiancano controversie legali, polemiche o class action da parte dei residenti nei quartieri interessati. A fronte degli investimenti e della successiva messa a reddito, non appare azzardato qualificare tali edifici come “congegni architettonici” messi a punto per stupire, per oltrepassare soglie e standard, per conquistarsi un posto nella memoria a ogni costo, ricorrendo a una patina lucidissima e, fateci ben caso, a un lettering massiccio e inconfondibile. Un’attitudine che talvolta riesce a raggiungere il gradimento di un certo tipo di pubblico, anche in nome di dotazioni e servizi a cinque stelle, e che è alla base di quello “stile Trump” che, anche nell’architettura, si orienta con veemenza verso il distacco dalla sobrietà.
LE TORRI DI TRUMP NELLA GRANDE MELA
In questo senso, tra gli altri esempi probabilmente più iconici, vanno segnalate almeno due tra le torri newyorkesi, a partire da quella destinata alla sede della Trump Organization: la Trump Tower. Attestandosi su un’altezza di 202 metri, detenne il primato dello sviluppo in altezza nella specifica categoria di appartenenza – quella degli edifici impiegati a uso misto, per scopi abitativi, commerciali e professionali –, fino a quando passò il testimone alla Trump World Tower. Con un comune accorgimento, capace di generare un incremento delle reali dimensioni, almeno dal punto di vista visivo, i due edifici si prestano a una sorta di lettura congiunta. Associando la propria reputazione nell’immaginario collettivo anche al reality show The Apprentice – per avergli fornito il set –, la Trump Tower è resa riconoscibile dall’andamento frastagliato di parte della facciata, un espediente per incrementare la superficie vetrata R di alcuni livelli. Aperta al pubblico nel 1983, su progetto dello statunitense Der Scutt, si trova nelle immediate vicinanze di Tiffany & Co. e impiega una serie di materiali per gli interni che, nel definirne l’identità, restituiscono il gusto della committenza.
Dorature, specchi, marmi, ottone sono una presenza costante, accompagnandosi a giochi d’acqua e altri artifici nell’ottica di conseguire un risultato sempre appariscente e d’effetto. La più recente Trump World Tower di New York, conclusa nel 2001, è stata sviluppata dallo statunitense Costas Kondylis, autore anche del Trump International Hotel and Tower, che insiste a Culumbus Circus, zona Lincoln Center, tra Broadway e Central Park West. In questo caso, l’imprescindibile parametro della luminosità è stato interpretato mediante un rivestimento in vetro con riflessi bronzei che unificano tutti i 420 metri di altezza, altrimenti resi compatti da una patina scura. Una scelta progettuale che ha causato un’aspra battaglia legale, con contestazioni prima e durante il cantiere. All’epoca, intorno alla fine degli Anni Novanta, gli oppositori puntarono il dita contro l’altezza – rea di bloccare la vista degli altri complessi –, contro la ridotta attrattiva del volume esterno, tirando in ballo anche una violazione dei parametri previsti dal piano di zonizzazione vigente e l’incapacità di attivare una connessione con il contesto esistente. In tribunale tali tesi vennero tuttavia ribaltate e il developer Trump portò a ultimazione anche questa torre: seppur per un periodo circoscritto, la stessa si posizionò al vertice della classifica internazionale dei grattacieli residenziali più alti.
DA WAIKIKI A TORONTO, FINO A VANCOUVER
Tra reimpiego di edifici esistenti, compreso il maniero in Scozia MacLeod House & Lodge Hotel, e nuova edificazione, The Trump Organization sta per tagliare un altro traguardo in Canada. Il grattacielo Trump International Hotel and Tower Vancouver è attualmente in costruzione nel centro di Vancouver. Nei suoi 69 piani, accoglierà un uso misto, divenendo la seconda torre per altezza città. Nel complesso, il piano concepito dall’architetto Arthur Erickson prende in parte le distanze da certe soluzioni fin qui più comuni, ricorrendo a un volume di forma triangolare che compie una progressiva torsione dal basso verso l’alto. Non resta che vedere come saranno gli interni: saranno orientati verso l’ormai codificato “stile decorativo Trump” o ne presenteranno una versione mitigata, più – per così dire –”presidenziale”?
Valentina Silvestrini
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