In ricordo di Luigi Caccia Dominioni
Dalle prime esperienze con i colleghi del Politecnico milanese Livio e Pier Giacomo Castiglioni alla fondazione dell’azienda Azucena, con Gardella e Corradi Dell’Acqua: l’architetto milanese, tra gli artefici della ricostruzione del dopoguerra, si è misurato con sapienza anche con il design.
CACCIA DOMINIONI, IL RICOSTRUTTORE
C’è da scommettere che i ben informati, nell’aprile 2015, difficilmente si saranno lasciati sfuggire l’opportunità di visitare il luogo in cui si è compiuta la porzione più significativa del percorso umano e professionale di Luigi Caccia Dominioni. Scomparso domenica 13 novembre – giusto qualche settimana prima di raggiungere il traguardo del 103esimo compleanno – l’architetto, urbanista e designer aveva infatti acconsentito a tenere aperte – su appuntamento – le porte del suo studio, in concomitanza con le giornate della design week milanese. In piazza Sant’Ambrogio 16, Caccia Dominioni ha vissuto e lavorato a lungo e quell’indirizzo può essere associato allo stile sobrio e misurato al quale è rimasto fedele nei decenni. Non a caso, in queste ore in cui anche i social gli dedicano tributi e ricordi, da più parti viene ricordato il suo metodo di lavoro, il suo approccio silenzioso, il modus operandi lontano dalle luci della ribalta. Nato nel capoluogo lombardo nel 1913, formatosi al Politecnico di Milano e abilitato alla professione a Venezia, “è stato per molti versi il migliore e il più rappresentativo architetto della Milano della ricostruzione”, come ha sottolineato il sindaco Beppe Sala, via Facebook, puntando subito l’attenzione sui suoi edifici, sorti in particolare tra gli Anni Cinquanta e Settanta nella città lombarda. Ad anticipare quella stagione progettuale, fu proprio il palazzo di piazza Sant’Ambrogio, portato a termine tra il 1947 e il 1949. È nella ricostruzione della dimora della sua famiglia – in precedenza residente in un palazzo di Alberico Barbiano di Belgiojoso, distrutto dai bombardamenti –, che Caccia Dominioni pone le basi per i successivi interventi – discreti, di forte personalità, curatissimi nei dettagli – e anticipa soluzioni destinate a ripetersi anche in complessi non solo di edilizia residenziale.
UN ARCHITETTO “PIANTISTA”
Rivelando un interesse profondo per tutti gli aspetti della disciplina – “Il compito dell’architetto è anche quello di suscitare un succedersi di emozioni. I miei ingressi, le mie scale, persino i mobili sono soluzioni urbanistiche”, per citare una delle frasi più identificative del suo profilo –, nella casa di famiglia Caccia ricorre a un impianto planimetrico chiaro, regolare, assegnando alla geometria della facciata e al disegno delle ombre un ruolo di primo piano. In particolare, la propensione allo studio della pianta lo spinse verso la definizione di “piantista: nel senso che sulla pianta ci sono, ci muoio, sia che si tratti di un palazzo per uffici che di un appartamento di sessanta metri quadri… Sono architetto sino in fondo e trovo l’urbanistica ovunque…”. Nell’arco di un ventennio, è tra gli artefici del nuovo profilo urbano di Milano, firmando – tra gli altri – i condomini di via Nievo (1955), di via Massena (1958-63), di via XX Settembre (1958-64), di piazza Carbonari (1960-61), l’edificio in corso Monforte (1963-64); sue anche le cinque sedi per uffici in corso Europa (1953-59, 1963-66), gli interni della Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana (1966) e il complesso residenziale di San Felice (1967-75), sviluppato insieme all’amico Vico Magistretti. Tra le realizzazioni dei decenni successivi si ricordano le due torri nel Principato di Monaco (1976-80), i percorsi pedonali sopraelevati della Fiera di Milano e alcuni complessi commerciali per l’Esselunga.
DESIGN E RICONOSCIMENTI
In parallelo alla progettazione architettonica, fin dagli esordi Caccia Dominioni si misura con il design, scendendo in campo in prima persona. Nel 1947, infatti, fonda con Ignazio Gardella e con l’avvocato Corrado Corradi Dell’Acqua, la Azucena, considerata “la prima casa di produzione di elementi di arredo – mobili, lampade e accessori – moderni di Milano”. Nata anche in risposta all’assenza di un indirizzo specializzato nella vendita di questa specifica tipologia di arredi in città, la nuova impresa accoglierà i contributi di Vico Magistretti e delle sorelle Maria Teresa e Franca Tosi. Mettendo a frutto l’esperienza maturata come architetto di interni, Caccia Dominioni ne segue gli sviluppi con continuità, disegnando gran parte dei modelli immessi nel mercato e seguendo tutte le fasi del processo a stretto contatto con le maestranze. La Azucena intraprende la strada della qualità e delle serie limitate, affidandosi con fiducia all’allora fitta rete di artigiani e di piccole manifatturiere per la produzione. Tra gli oggetti ancora oggi identificativi di quella stagione, la memoria non può che soffermarsi sulla celebre poltrona Catilina del 1957-1958. Con struttura in ferro, sedile in legno rivestito e cuscino in gomma, venne presentata alla IX Triennale di Milano: esemplare e straordinaria la torsione del bracciolo alto, che offre un avvolgente supporto anche per la schiena. Caccia lega il proprio nome anche a prodotti che continuano a riscuotere notevole consenso in termini di diffusione; tra questi c’è la serie di posate che porta il suo cognome per Alessi, divenuta parte integrante della collezione permanente del Museum of Modern Art di New York. Progettata nel 1938 con i suoi primi colleghi, i fratelli Castiglioni, venne lanciata in Triennale nel 1940, nella versione in argento: ottenne l’approvazione di Gio Ponti “per il magistrale equilibrio fra un’immagine ancora artigianale e il futuro industriale del casalingo”. Considerata uno “splendido esempio di classicismo lombardo nel design”, dagli Anni Novanta è in produzione anche in acciaio inossidabile 18/10. Compasso d’oro per la sedia C.d.o. e per la porta Super, Luigi Caccia Dominioni è stato insignito della Medaglia d’Oro alla carriera dalla Triennale di Milano nel 2015, insieme a Francesco Venezia, Franco Purini e Mario Bellini. Al maestro ultracentenario, il Salone d’Onore rese omaggio con la standing ovation.
Valentina Silvestrini
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