Nove storie sulla tappezzeria. Sophie Taeuber-Arp
Settimo appuntamento con le riflessioni di Luigi Prestinenza Puglisi sul concetto di tappezzeria, sullo sfondo del dialogo tra architettura e arte. Stavolta i contorni della tappezzeria si mescolano con quelli della danza, complice il lavoro, troppo a lungo rimasto in sordina, di una donna che ha fatto della sperimentazione il suo cavallo di battaglia.
Sophie Taeuber-Arp, come le donne trasparenti, sfugge alla storia, che si limita a celebrarla come moglie di un grande artista, Hans Arp, come autrice di tessuti con motivi geometrici, come pittrice e creatrice di deliziose marionette. Dimenticando che fu coreografa, ballerina e architetto, autore, tra il 1926 e il 1929, di una casa che influenzò Le Corbusier, contribuendo a un mutamento di direzione della sua ricerca formale. Ritroviamo, inoltre, la Taeuber negli anni eroici del Cabaret Voltaire e all’apertura della galleria Dada nel 1917, quando danza indossando una maschera disegnata da Marcel Janco, mentre Hugo Ball recita le sue poesie. È a lei che nel 1926 i fratelli Paul e André Horn assegnano l’incarico di decorare il Café de l’Aubette a Strasburgo. Una impresa in cui generosamente si farà affiancare da Theo van Doesburg, il quale se ne prenderà i meriti, e dal marito. Bruno Zevi, nel suo saggio sull’architettura neoplastica, si dimentica di citarla e, anche nei testi di altri storici, il suo contributo è trascurato per dare massimo risalto a van Doesburg e, semmai, al marito Arp.
È la Taeuber che tesse contatti tra gli artisti costruttivisti, che nel 1930 è parte attiva del gruppo Cercle e Carré, confluito l’anno successivo nel raggruppamento Abstraction-Creátion, da lei abbracciato e poi criticato. Sempre lei, tra il 1937 e il 1939, è fondatrice e direttore della rivista Plastique, che si propone di mettere in contatto l’arte europea e americana e il cui numero uno sarà dedicato a celebrare l’immensa eredità di Kazimir Malevič.
Tappezziera: la Taeuber si forma come tappezziera. Studia disegno tessile a St. Gallen e poi ad Amburgo e a Monaco, la Monaco del Der Blau Reiter, di Kandinskij e del nascente astrattismo. Nel 1915 è socia del Werkbund come la Lilly Reich, anch’ella tappezziera, di cui abbiamo parlato nella scorsa puntata. Dal 1916 al 1926 la sua fonte di sostentamento economico è un posto di insegnante di arti tessili al Zurich Kunstgewerbeschule. Partecipa a mostre sull’argomento e, nel 1927 scrive, in collaborazione con Blanche Gauchet, un manuale sull’arte tessile. Negli stessi anni si dedica alla danza. Nel 1915 si iscrive alla Laban School a Zurigo per recarsi al Monte Verità ad Ascona dove danza con Suzanne Perrottet e Mary Wigman al Festival del Sole.
DANZA E ISPIRAZIONE
Rudolf Laban è un personaggio indimenticabile, che persegue la liberazione del corpo attraverso il movimento. Inventa notazioni grafiche per codificare le posizioni che il corpo, danzando, può assumere. Notazioni che rassomigliano in forma sorprendente ai quadri astratti che in quegli anni gli artisti stanno sperimentando. La Taeuber ne afferra immediatamente la portata, comprendendo che non vi è soluzione di continuità tra le arti: una coreografia, un passo di danza, un vestito e un tessuto vivono nello stesso spazio e sono relazionati da intime corrispondenze e profonde analogie.
Nel 1915 Sophie, durante la mostra International Exhibition of Modern Tapestries, conosce Hans Arp con il quale si sposerà nel 1922. I due si influenzano producendo opere a quattro mani: i Duo-collages. Con Arp la Taeuber inizia l’avventura Dada. Per costruire occorre infatti distruggere. Anche se lei, come carattere, sembra la persona più taciturna e mite di questo mondo, come ci raccontano gli amici Hugo Ball e Hans Richter, che ne parlano ammirati per la sua non appariscente bellezza.
Scopre l’arte primitiva e l’importanza di indossare, durante le performance, costumi e maschere. Aiutano a decostruire il sistema dei gesti ai quali siamo abituati, per fare spazio, secondo l’insegnamento di Laban, a una nuova spontaneità, al rinnovato rapporto tra spazio e corpo: “La nostra inclinazione per la decorazione non deve essere sradicata. Fa parte della nostra profonda natura umana. Gli uomini primitivi decoravano i loro utensili e oggetti di culto per un desiderio di bellezza e di miglioramento… con la finalità della perfezione attraverso la creatività”.
Siamo agli antipodi delle ricerche di Adolf Loos e di Ludwig Wittgenstein che abbiamo visto in questa serie dedicata alla Tappezzeria. Tanto i due viennesi tendono a codificare un sistema di gesti che segue un rituale ineluttabile, per giungere a una maschera contemporanea, tanto la posizione di Sophie è aperta a prove e sperimentazioni disgreganti e riaggreganti. E difatti per lei la maschera libera, non ingessa e la prima sensazione che si ha quando ci si avvicina alla produzione dell’artista è di un universo inesauribile di movimenti che si proiettano in un altrettanto inesauribile sistema di segni.
IN ANTICIPO SU LE CORBUSIER
Nel 1926 la Taeuber e Arp diventano cittadini francesi e acquistano un lotto di terreno a Meudon-Val Fleury. Sophie “disegna la casa secondo i principi del Movimento Moderno”. Almeno così dicono i testi. In realtà la costruzione è in pietra, lontana dai canoni puristi di quegli anni che prevedevano l’intonaco colorato possibilmente bianco. Un imperativo al quale lo stesso van Doesburg, che costruisce la propria casa a poche strade di distanza, non riesce a sottrarsi.
Guardiamo le date: la casa della Taeuber è terminata tra il 1928 e il 1929, quindi prima che Le Corbusier, che conosce la coppia, realizzi le sue case in pietra. Ciò infatti avverrà solo negli Anni Trenta, quando lo svizzero sarà indeciso se muoversi verso i materiali naturali (case de Mandrot e Errazuriz), un approccio metafisico e surreale (attico Beistegui) o un’architettura che dialoga con le moderne tecnologie, seguendo l’esempio di un’altra casa che lo influenzò non poco: la Maison de Verre di Pierre Chareau e Bernard Bijvoet.
Osservando casa Arp non sfuggirà che le bucature sono organizzate all’interno della facciata come segni all’interno di un quadro astratto e, a sua volta, come passi di danza codificati secondo il sistema di notazione inventato da Laban. D’altra parte, la stessa chiave di lettura si può utilizzare per decodificare le zone de l’Aubette che la Taeuber dipingerà negli stessi anni, con un maggior impeto cromatico sia per tener conto del lavoro dei suoi due partner, Theo van Doesburg e il marito, sia per il diverso contesto: un bar metropolitano e non una abitazione suburbana.
E così la tappezzeria diventa danza e la danza si trasforma in architettura. Una ipotesi interessante che ci introduce al prossimo scritto di questo ciclo della tappezzeria in cui parleremo di psicanalisi e di un telescopio tridimensionale per scrutare la nostra interiorità.
Luigi Prestinenza Puglisi
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