Architettura. Anche in Italia è tempo di BIM

Sul fronte della progettazione e delle attività di cantiere, il modello BIM è uno strumento utilissimo per combinare i dati e averli subito a disposizione. Ecco una panoramica sul suo funzionamento e sui soggetti che ne stanno facendo uso.

Aperta nell’ottobre 2015 al 21_21 Design Sight – The Miyake Issey Foundation di Tokyo, la mostra Frank Gehry: I Have an Idea si concentrava sul metodo di lavoro dell’ottuagenario architetto canadese. Tenendosi a distanza dal proporre ai visitatori esclusivamente una rassegna di foto, disegni e modelli di iconici interventi, il curatore – il giovane progettista Tsuyoshi Tane – aveva destinato un’ampia digressione alla presentazione di BIM – Building Information Modeling. Probabilmente sarebbe semplicistico ridurre l’attenzione riservata a tale tecnologia, di cui lo studio del progettista del Guggenheim di Bilbao si avvale da anni per la progettazione e l’esecuzione dei suoi interventi, a una sorta di passaggio imprescindibile in un’esposizione su Gehry.
In un’istituzione come quella giapponese, che per vocazione orienta i propri sforzi verso l’analisi della cultura del progetto, tale scelta andrebbe considerata come una modalità per introdurre, presso un pubblico generalista, un indirizzo di portata globale. Sinonimo di interoperabilità e di ottimizzazione dell’intero processo di costruzione, il metodo BIM sta incidendo con vigore nell’edilizia internazionale, imponendo ad architetti, ingegneri e specialisti dell’impiantistica di rimodulare i rispettivi asset interni, specie in termini di competenze.
Etichettato da più parti come “rivoluzionario”, acquisito da oltre un decennio negli Stati Uniti e sostenuto in Europa da politiche comunitarie intraprese nel 2014, il modello BIM combina i dati di natura grafica, geometrica e dimensionale di una determinata struttura con tutte le informazioni che possono rivelarsi salienti nel suo intero ciclo di vita: dalla cantierizzazione alla manutenzione. Tali attributi, raccolti da uno specifico database, rendono possibile l’integrazione delle varie fasi in un unico modello operativo: in altre parole, un sistema di gestione condiviso. Così facendo, ciascuno dei soggetti coinvolti nelle fasi di progettazione e nelle attività di cantiere opera sul medesimo strumento, accessibile e comprensibile a tutti e in grado di fornirgli risposte su aspetti materici, tecnici, dimensionali, prestazionali in qualsiasi momento. Si avvia dunque verso l’archiviazione la stagione dei processi disgiunti, sostituita da un approccio che assegna la priorità ad attività complementari e integrate, siano esse di natura architettonica, strutturale, impiantistica, energetica, cantieristica o gestionale, concepite su un modello tridimensionale.

DAGLI USA ALL’EUROPA

Passando dagli Stati Uniti – dove è stato sviluppato – all’Europa, lo scenario attuale mostra alcune frammentazioni. Tra i primi a recepire la portata innovativa di BIM ci fu il colosso dell’ingegneria Arup: applicò il metodo anche nel cosiddetto Water Cube, il centro acquatico identificato dall’effetto “bolle di sapone”, nel quale vennero ospitate alcune gare dei Giochi Olimpici di Beijing nel 2008. Dimostrando un atteggiamento per certi versi pionieristico, il Regno Unito attraverso il BIS – Department for Business, Innovation and Skills ha agito nel corso di un intero quinquennio per delineare la strategia che avrebbe progressivamente condotto verso l’impiego di BIM in tutti i progetti del settore pubblico. A partire dal 2016 qualsiasi fornitore di servizi che desideri concorrere a gare pubbliche deve possedere strumenti, tecniche e figure adeguate, come un BIM manager nel team.
Non è un caso se proprio la pubblica amministrazione, nel caso specifico quella inglese, si sia fatta promotrice della cruciale operazione di passaggio: secondo le proprie stime, dall’applicazione di tale approccio il governo britannico potrebbe ridurre il costo delle attività di costruzione fino al 20%. Come dimostra la storia italiana, le “varianti” determinano revisioni dei progetti, lievitazioni degli investimenti pubblici, ripetuti slittamenti delle date di consegna, con la conseguente incapacità di rispondere in maniera tempestiva alle esigenze della collettività. A questo quadro, almeno alle nostre latitudini, si sommano ben note questioni di malagestione che talvolta sfociano nell’illecito e in un danno non solo per le casse pubbliche. Pur non rappresentando la panacea di tutti i mali, il ricorso al BIM – Building Information Modeling fornirebbe un ausilio concreto nell’ottimizzazione e nella gestione delle fasi complesse di progettazione e costruzione, con un’utilità riscontrabile anche in seguito, durante la manutenzione e l’adeguamento impiantistico.

Il modello BIM combina i dati di natura grafica, geometrica e dimensionale di una determinata struttura con tutte le informazioni che possono rivelarsi salienti nel suo intero ciclo di vita: dalla cantierizzazione alla manutenzione”.

Sebbene al momento in Italia una percentuale ancora ridotta degli studi abbia condotto a compimento il passaggio – un’operazione legata a un significativo investimento e che risulta tanto più efficace quanto più alto è il numero dei soggetti in grado di lavorare con modalità analoghe all’interno della medesima filiera – le testimonianze incoraggianti non mancano. Due fra tutte: a Milano lo studio Antonio Citterio Patricia Viel ha già fatto ricorso alla piattaforma BIM per alcuni interventi nell’area di Expo Milano 2015; a Roma, ma anche in Francia e Svizzera, opera Parallel Digital, società di nuova costituzione di architetti e ingegneri specializzata nello sviluppo di progetti in BIM. Fra le varie commesse gestite, anche il project management BIM delle sette stazioni della metropolitana denominata Red Line North di Doha (impresa Salini Impregilo).
Un’accelerazione – o un tentativo di evitare che l’Italia resti troppo indietro rispetto ai Paesi del Nord Europa – potrebbe provenire dal Nuovo Codice degli Appalti 2016. Pur senza aver previsto l’obbligatorietà, lo strumento legislativo consente intanto alle stazioni appaltanti di richiedere, per nuove opere e recuperi, l’uso di metodi e strumenti elettronici avanzati come il BIM. Riusciranno gli studi italiani, specie quelli di dimensioni più contenute, a dotarsi di uno strumento capace di modificare la natura stessa della progettazione, avendo così la possibilità – tra l’altro – di accedere a gare e concorsi nel resto del mondo?

Valentina Silvestrini

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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