Architettura. L’Italia possibile delle “aree interne”
Che cosa sono le “aree interne” e quali caratteristiche accomunano i loro abitanti? Ecco un dettagliato focus su dinamiche di grande attualità come lo spopolamento, la marginalizzazione, ma anche l’inesorabile aumento dell’età media della popolazione italiana.
Il 22% della popolazione italiana risiede nelle cosiddette “aree interne”. Ad accomunare questa porzione di Paese – dal Leccese al Delta Padano, dall’Agordina alle Madonìe, per citare alcuni esempi – è la condivisione del rischio di spopolamento e marginalizzazione. Se volessimo dare evidenza a questa parte d’Italia, scopriremmo che equivale a circa il 60% dell’intera superficie territoriale. A partire dal 2014, all’interno del PNR – Piano Nazionale di Riforma, il Governo ha adottato la SNAI – Strategia Nazionale Aree Interne. Duplice l’obiettivo di questo ambizioso intervento: “Contrastare la caduta demografica e rilanciare lo sviluppo e i servizi”. Il processo, che attraverso il coinvolgimento di una pluralità di soggetti punta alla stesura di programmi calati nelle specificità di ciascuna zona, è stato preceduto da una mappatura del Paese. Fissando come parametro la distanza dai cosiddetti “poli” – centri nei quali sono disponibili servizi essenziali come sanità, scuola e mobilità –, misurata in tempi di percorrenza, sono state definite quattro “fasce di appartenenza”. Escludendo dunque le zone più servite, l’Italia risulta suddivisa in aree peri-urbane, intermedie, periferiche e ultra-periferiche; queste ultime distano oltre 75 minuti dal polo più vicino. Risultato? Sono 71 aree definite e 1.066 i comuni coinvolti.
PERIFERICO NON VUOL DIRE POVERO
Promossa dall’ex Ministro alla Coesione Territoriale Fabrizio Barca, la SNAI si sta attualmente indirizzando “su 25 aree pilota, di cui 8 hanno già definito le proprie strategie”. A raccontarlo è il ricercatore territorialista Filippo Tantillo, che ricopre il ruolo di coordinatore scientifico della Strategia Nazionale. “All’inizio molto tempo è stato impiegato per la definizione della governance: in ogni singolo processo sono infatti coinvolti uno specifico territorio, la Regione di riferimento, lo Stato, con alcuni Ministeri, e una rete di progettisti ed esperti di settore. Una macchina complessa per un processo sperimentale. In questi anni”, prosegue, “abbiamo percorso più di 50mila chilometri in tutta la Penisola, incontrando sindaci, cittadini, uffici regionali, associazioni e team con proposte da sottoporci.”
Pur nella prevedibile eterogeneità dei contesti, tra peculiarità paesaggistiche, distinte vocazioni economiche o diversi livelli di attrattività turistico-culturale, a rendere omogenei questi territori è il ritratto demografico. “Specifico subito”, precisa Tantillo, “che le aree interne non equivalgono alle più povere o depresse del Paese: a unificarle è la continua perdita di popolazione. Per il resto, ulteriori somiglianze si rilevano nella sofferenza per gli effetti del cambiamento climatico o nella fragilità del territorio”. In particolare, alcune tra queste hanno già superato la soglia indicata come critica dagli esperti: oltre il 30% dei loro abitanti è infatti ultrasessantenne.
STOP AL DECLINO DEMOGRAFICO
Per fermare il declino demografico, la Strategia applica un metodo nuovo rispetto al passato, poiché “a livello di sviluppo locale, quanto fatto fin qui non si è rivelato sufficiente per trattenere la popolazione: tentare di promuovere solo lo sviluppo non è bastato per arrestare il trend”. Per favorire la modifica della composizione generazionale e incentivare i più giovani a permanere o rientrare in questi territori, le condizioni considerate imprescindibili dalla Strategia sono il riequilibro demografico e l’adeguamento della qualità/quantità dei servizi essenziali. Tra questi, accanto a scuola, sanità, mobilità, va rilevato l’inserimento dell’accesso a Internet.
La volontà è garantire a queste aree, come al resto d’Italia, condizioni di partenza adeguate per lo sviluppo e la crescita della cittadinanza. Al raggiungimento di tali “precondizioni” andranno quindi ad affiancarsi operazioni di rilancio economico: “Sono stati costituiti dei tavoli per definire strategie integrate e intervenire sugli aspetti valutati come fondamentali sia dai territori, sia dai tecnici locali e nazionali: il nostro è un percorso di co-progettazione. Intendiamo finanziare esperienze promettenti, rimuovere eventuali ostacoli che ne impediscano la realizzazione; destiniamo un’attenzione particolare ai giovani o a nuovi possibili referenti, come gli immigrati. Dalle aree interne, che non sono né marginali né residuali nello scenario nazionale, possono originarsi nuove forme di imprenditorialità.”
SENTINELLE DI COMUNITÀ
Gli esempi che Tantillo presenta attestano un’attenzione multigenerazionale. Nelle otto aree a uno stadio già avanzato del percorso ricorrono infatti alcuni temi: la questione energetica, la messa in sicurezza del territorio, la valorizzazione dei beni culturali, le forme di supporto per gli anziani. “In Piemonte, la Val Maira”, racconta Tantillo, “perde abitanti. Sta cercando di richiamarne di nuovi e di diventare attrattiva per l’imprenditorialità come produttore di energia alternativa. Qui dovrebbe nascere una scuola innovativa che ne sarà diretta beneficiaria. In Sicilia, nelle Madonie, i comuni coinvolti impiegheranno le risorse della Strategia per raggiungere il traguardo, attraverso le fonti alternative, l’autosufficienza energetica”.
Si qualificano come misurate e puntuali alcune azioni rivolte alla Terza Età: “Nel cosiddetto ‘welfare di comunità’ abbiamo ricevuto decine di progetti, facilmente realizzabili, come l’individuazione di una ‘sentinella di comunità’, che controlli quotidianamente gli anziani della zona e coordini la distribuzione delle medicine, anche al fine di evitare il ricorso a un’eccessiva ospedalizzazione, talvolta non necessaria”.
Per la prima volta, dunque, lo Stato ha deciso di rompere la tradizione delle “politiche compensative per le aree interne. Siamo di fronte alla definizione di strategie di ripensamento, che aiuteranno a capire come si possa vivere, andare a scuola, essere curati e fare impresa in questo 60% del Paese”. Una forma di tenace dialogo-confronto e progettazione estesa anche alle zone del Centro Italia colpite dal sisma, nelle quali “dobbiamo immaginare strategie che consentano di convivere con una debolezza strutturale del territorio.”
VERSO CITTÀ AGE FRIENDLY?
Oltre un trentennio ci separa dal 2050. Secondo il rapporto sulle prospettive di crescita redatto dall’Onu, entro quell’anno per la prima volta gli ultrasessantenni supereranno i minori di quindici anni; Cina, India e Stati Uniti conteranno, ciascuno, oltre cento milioni di persone anziane. Un dato cui va a sommarsi il progressivo abbandono delle zone rurali: si stima che, sempre entro il 2050, almeno il 70% degli abitanti del pianeta sarà residente nei grandi centri urbani.
Quali sono le misure che verranno adottate dagli amministratori e dalle figure professionali specialistiche per supportare un quadro sociale senza precedenti? A mettere nero su bianco il futuro verso cui tendiamo, “incoraggiando” politici e specialisti a intraprendere processi adeguati, ha provveduto la società di ingegneria Arup. Insieme a HelpAge International, Intel ICRI Cities e Systematica, Arup ha sviluppato Shaping Aging Cities, un report di cui è stato responsabile l’architetto italiano Stefano Recalcati. Tale analisi ha preso in esame dieci città europee, nove delle quali capitali; unica eccezione Milano, scelta per l’Italia.
La già marcata dualità tra nord e sud Europa acquisisce ulteriore rilievo analizzando il quadro demografico: alla “tenuta dei giovani” nelle capitali della fascia settentrionale, in particolare in Danimarca, si contrappone il calo di nascite dei Paesi del Mediterraneo – Italia, Portogallo, Spagna –, seguiti dalla Germania. “L’invecchiamento della popolazione costituisce un cambiamento epocale da un punto di vista socio-economico”, osserva Recalcati, “e allo stesso tempo, rappresenta una delle più importanti sfide che le nostre città dovranno affrontare nel prossimo ventennio, con ricadute notevoli in diversi campi, dal welfare ai trasporti, dall’urbanistica all’edilizia, il tutto permeato dal fondamentale ruolo della tecnologia”.
L’urgenza di rispondere alle questioni poste dal decadimento fisico e mentale sarà tra le priorità delle città del prossimo futuro, le quali, se concepite a misura di anziano, si riveleranno in grado di funzionare per chiunque. La formula verso cui tendere accosta “trasporti pubblici frequenti, integrati e accessibili, wifi gratuito, mix di funzioni, servizi ed esercizi di prossimità che possono sicuramente migliorare l’inclusione e la qualità della vita delle persone”, prosegue Recalcati. Tuttavia, “sono gli spazi pubblici e le residenze i luoghi in cui è possibile introdurre soluzioni semplici ma capaci di trasformare completamente le modalità in cui la città è percepita e vissuta dalle persone più anziane”.
Un’ottica nella quale il contributo degli architetti si rivelerà fondamentale: “Attraverso la propria creatività dovranno fornire quelle soluzioni innovative ai bisogni di una categoria di persone in forte aumento. Alberi che creino ombra riducendo l’effetto isola di calore, panchine per la socializzazione e il riposo, pavimentazioni antiscivolo, rampe al posto delle scale, bagni pubblici, sistemi di wayfinding intuitivi, alloggi flessibili, tecnologie intelligenti, sono solo alcuni degli innumerevoli esempi in questo senso”.
Un ulteriore aspetto sarà legato al superamento dell’attuale scenario di “esclusione digitale”, oggi condiviso da una fetta degli ultrasessantenni europei: il crescente accesso a Internet potrà tradursi in nuove forme di partecipazione e di sostegno. Accanto agli interventi che riguarderanno l’adeguamento architettonico e urbanistico, le opportunità offerte dal web, ad esempio in termini di partecipazione civica, di accesso all’informazione o di acquisizione di dati sui mezzi di trasporto, incideranno nella qualità della vita della popolazione anziana. “Connettività, integrazione e accessibilità”, illustra Shaping Aging Cities, “significano inclusione sociale ed equità”.
DEMENZA SENILE E ARCHITETTURA
Come muta la percezione dello spazio domestico in un soggetto affetto dal morbo di Alzheimer? Nel corso della 15. Biennale di Architettura di Venezia, i visitatori del Padiglione Irlanda hanno potuto sperimentare proprio tale sensazione in Losing Myself, l’installazione concepita dagli architetti Yeoryia Manolopoulou e Niall McLaughlin. Qualche anno prima, a Dublino, lo studio guidato da quest’ultimo aveva ultimato il pluripremiato Alzheimer’s Respite Centre, un centro di cura e riposo commissionato dalla Alzheimer Society of Ireland.
Nell’ambito della kermesse curata da Alejandro Aravena, i due progettisti hanno scelto di dare evidenza ad alcune delle conseguenze del morbo: “Siamo interessati alla funzione sociale dell’architettura, alle modalità con cui può migliorare la vita delle persone con la demenza”, hanno dichiarato. In un “paesaggio temporaneo” di forma quadrata, tra alcune sollecitazioni sonore della vita quotidiana – le campane, un bollitore che fischia, le grida dei bambini – e proiezioni in successione, i visitatori hanno potuto calarsi nei panni dei malati. I video in loop, infatti, mostravano sedici variazioni della planimetria dell’Alzheimer’s Respite Centre di Dublino, frantumando la percezione, solitamente univoca e fissa, di un edificio. A complicare il tentativo di lettura dello spazio, si sovrapponevano improvvise reminiscenze, vere e proprie “schegge di memoria”.
L’esperienza si lega profondamente al processo di realizzazione dell’Alzheimer’s Respite Centre, nel quale Niall McLaughlin ha accettato la sfida di misurarsi con le limitazioni, alla memoria e al linguaggio, dipendenti dal morbo. La risposta offerta si sostanzia in ambienti che inducono alla calma e incoraggiano i degenti alla mobilità. Sviluppato su un unico livello, il complesso dublinese si articola in padiglioni posti in successione. Raggiungibili attraverso percorsi intuitivi e privi di ostacoli, immettono in aree comuni aperte su spazi verdi. Il principio compositivo è la coerenza spaziale, finalizzata a ridurre disorientamento e confusione.
In questo “centro pilota”, tutti gli aspetti della progettazione – impianto planimetrico, illuminazione naturale e artificiale, materiali, stimoli sonori e olfattivi, percorsi, aree verdi – sono stati messi a punto per migliorare la qualità di vita dei malati. Spostandosi da un’area all’altra, in sicurezza, possono rilevare i cambiamenti di luce legati al passare del tempo; ciascun giardino, a seconda del punto di osservazione, svela scorci diversi. “Sappiamo dove siamo, perché ricordiamo come siamo arrivati in un determinato luogo”, afferma Niall McLaughlin: nel momento in cui tale capacità dovesse venire meno, legittimo auspicare che, oltre alla medicina, anche l’architettura, con gli strumenti che le sono propri, sappia farsi cura.
E IL MOLISE LANCIA IL BORGO DEL BENESSERE
Mettere d’accordo la volontà di recuperare manufatti in disuso e rivitalizzare un centro storico attraverso la nascita di un sistema ricettivo diffuso, organizzato e attrezzato, indirizzato ai bisogni della Terza Età: questo l’intento del nuovo Borgo del Benessere di Riccia (Campobasso). Nell’ambito della SNAI – Strategia Nazionale Aree Interne, il Comune molisano è divenuto capofila di un’iniziativa orientata all’assistenza sanitaria e al turismo sociale; il primo step di un processo che interessa anche gli oltre 480 chilometri quadrati del Fortore Molisano.
Negli anni scorsi l’amministrazione comunale di Riccia ha acquisito da privati quattro immobili, tutti nel centro storico del paese; a questi se ne è aggiunto un quinto, già di sua proprietà. Dal recupero dei complessivi 1.000 mq disponibili, sono sorti alloggi dotati di soggiorno, servizi sanitari e camere, destinati a circa trenta ospiti. Negli edifici, inoltre, sono presenti spazi comuni per attività di socializzazione. “La nostra intenzione era quella di realizzare un intervento che uscisse dai canoni abituali, il più possibile a impatto zero, visto anche il contesto storico nel quale è inserita la struttura. Una scelta etica, prima ancora che costruttiva”, ha spiegato Micaela Fanelli, sindaco di Riccia. Alla riqualificazione di questa porzione della località molisana, condotta con sistemi a secco e attraverso il recupero dei materiali originari, l’amministrazione ha associato un concorso di idee per ridefinire l’identità di una delle piazze: 17 i team di progettazione che hanno partecipato.
“In Molise”, racconta Michele Esposto, presidente di Borghi srl, “abbiamo declinato la formula degli alberghi diffusi, puntando sulla terza età e su una serie di servizi aggiuntivi che arricchiscono l’offerta”. Infatti, nel Borgo del Benessere, oltre all’accoglienza, vengono proposte iniziative per mantenere attivi la mente e il fisico. “La proprietà è pubblica”, prosegue Esposto. “Ultimati i lavori, abbiamo provveduto a selezionare, con bando di gara, il gestore delle strutture. Ora siamo alla fase di avvio. Ci rivolgiamo a un target che, lo attestano i dati, è destinato a crescere nei prossimi anni. Il Borgo si rivolge soprattutto ad anziani autosufficienti, in cerca di soluzioni per trascorrere, anche in maniera non continuativa, il proprio tempo in una destinazione che possa offrire loro qualcosa in più. Abbiamo fatto un accordo con l’Università della Terza Età, con le Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma e Federico II di Napoli; prevediamo, tra le varie possibilità, anche attività di alfabetizzazione informatica o la possibilità di dedicarsi alla cura di orti e giardini. Non mancheranno momenti di socializzazione tradizionali, dal ballo alle iniziative culturali, con visite nel territorio”.
In caso di feedback positivi, a questo primo blocco di “edifici rigenerati” andranno a sommarsi ulteriori realizzazioni.
‒ Valentina Silvestrini
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Articolo pubblicato su Artribune Magazine #38
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