Architetti d’Italia. Stefano Pujatti, l’elastico

Stavolta la rubrica di Luigi Prestinenza Puglisi dà voce a un architetto che ha fatto dell’elasticità concettuale il suo cavallo di battaglia.

Non ho mai capito bene la storia di Elastico, il gruppo capitanato da Stefano Pujatti. Sapevo che nel 1995 Pujatti aveva aperto con Simone Carena e Alberto Del Maschio lo studio Elastico. Che nel 2005 si era separato dai colleghi per fondare Elastico-Stefano Pujatti SpA. Oggi leggo, in una recente pubblicazione, che lo studio si chiama ELASTICOSPA o, come vedo scritto in altre, ELASTICOSPA+3, e che collabora stabilmente con lo studio ELASTICO3 dell’architetto Alberto Del Maschio.
Una storia di aggregazioni e disgregazioni non inusuale in Italia, che ci interessa però solo per introdurre il personaggio per molti versi più genialmente versatile dell’architettura italiana e che forse, attraverso i cambiamenti del nome dello studio, ha mantenuto il termine Elastico come ragione sociale, non solo per non rendere irriconoscibile il proprio brand, ma perché nessun altro nome ‒ oltre a Elastico ‒ avrebbe potuto rappresentare la sua intima natura. La capacità di organizzare e sintetizzare, appunto elasticamente, le più svariate suggestioni che danno corpo alla propria produzione architettonica.
A cominciare dalla formazione. Stefano Pujatti, studia infatti nella facoltà di Venezia e si laurea con Gino Valle, un progettista che vive in pieno il clima tradizionalista veneziano, ma che ha una indubbia sensibilità per i materiali. Valle, che in quegli anni sta lavorando a Parigi, gli offre l’opportunità di seguire un progetto consistente in un intervento di ricucitura, restauro e riconfigurazione di un isolato ubicato nel centro città. All’esperienza francese segue un soggiorno a Los Angeles, dove Pujatti incontra Tom Mayne di Morphosis e Wolf Prix di Coop Himmelb(l)au, entrambi protagonisti della ricerca architettonica decostruttivista, che gli insegnano a lavorare con lo spazio, anche a costo di frammentare la costruzione (quelli erano gli anni in cui Morphosis e Coop Himmelb(l)au erano ancora duri, molto duri da digerire, la spettacolarizzazione arriverà dopo).
Pujatti non rinnega né l’uno né gli altri. Anche a costo di produrre un abnorme mostro concettuale. Com’è possibile infatti unire l’eclettismo raffinato e postmodernista di Valle con lo sperimentalismo inquieto e violento di Mayne o Prix?
La strada la trova nella tradizione italiana. Non quella che va di moda nelle accademie ‒ neorazionalista ‒ ma in quella da molti rinnegata della tradizione organica. Cosa ci può essere infatti di più elastico di un decostruttivismo organico? Il decostruttivismo fornisce l’agilità spaziale, l’apertura concettuale, l’inquietudine formale. La prospettiva organica il rapporto con il contesto, l’amore per i materiali, il buon dettaglio e l’apertura verso tecniche costruttive, come quelle italiane, non particolarmente evolute.

ElasticoSpA+3, Ampliamento del Cimitero di Borgaretto, 2006. Photo Betta Crovato

ElasticoSpA+3, Ampliamento del Cimitero di Borgaretto, 2006. Photo Betta Crovato

DENTRO E FUORI

Così attrezzato, Pujatti è pronto ad andare con tutti rimanendo sempre dentro e fuori, in una posizione che per altri sarebbe opportunista ma per lui è di confronto, di crescita, di riflessione. E difatti non esita a partecipare a quell’indicibile connubio di forme architettoniche che è stata la città ideale di VeMa proposta da Franco Purini quando all’architetto romano fu affidata la curatela del Padiglione italiano in occasione della Biennale di Venezia del 2006. Pujatti riuscì a parteciparvi senza uscirne, come altri, con le ossa rotte per aver sacrificato le ragioni della ricerca a quelle della neo-accademia.
Propose di inserire le residenze, anche kitsch e banali, realizzate autonomamente da ciascun abitante, all’interno di una struttura in grado di annullarne l’impatto. L’idea, in realtà, non è nuova: ha antecedenti nel piano Obus di Le Corbusier ad Algeri e nelle macrostrutture progettate dagli architetti radicali negli Anni Sessanta e Settanta. Con grande abilità, appunto elastica, le riprende, le adatta al contesto e le caratterizza con quella fluida spazialità che costituisce il tratto caratteristico della sua produzione architettonica.
Versatile è anche l’impatto con i committenti privati. “Scopo del mio lavoro”, confessa, “è tirare fuor da ognuno i propri sogni. Solo in questo modo, l’architettura potrà uscire da quella mediocrità a cui la costringono il conformismo e gli stereotipi culturali”.
Lavorando sull’immaginario spesso banale e contorto del committente e rendendolo complesso con abilità magica, se non da psicanalista della forma, Pujatti riesce in ogni casa a produrre una insolita sperimentazione: con i materiali, con gli spazi, con le trovate tecnologiche.

ElasticoSpA+3, Yuppie Ranch House, Budoia 2005. Photo Betta Crovato

ElasticoSpA+3, Yuppie Ranch House, Budoia 2005. Photo Betta Crovato

LE CASE

La Yuppie Ranch House, una casa realizzata nella campagna di Budoia (Pordenone) per un allevatore di cavalli, per esempio, è una residenza che diventa parte del paesaggio, inserendosi in esso e arricchendolo grazie a una terrazza verde che ne costituisce il prolungamento. A rafforzare il collegamento con il territorio agricolo circostante provvedono un antico muretto fatto di sassi che delimitava due precedenti appezzamenti e che oggi incontra la casa in uno dei suoi punti nodali, e le traversine in legno utilizzate come montanti del recinto degli spazi per i cavalli, le quali vicino all’edificio si avvicinano per formare una sorta di palizzata e, poi, condensandosi ulteriormente, diventano facciata.
Dall’interno, grazie a una rampa che l’attraversa, la casa si offre come uno spazio fluido e continuo, con una sequenza di episodi architettonici che la rendono attraente.
Il Cimitero a Borgaretto, vicino a Torino, è un’opera di landscape. Invece di collocare i loculi del cimitero in costruzioni a vista, Pujatti decide di inserirli in un piano sotterraneo, per così lasciare il livello del terreno libero e trasformarlo in una piazza alberata, carica di significati simbolici.
Il Flower Pavilion è una casa e un laboratorio a Chieri per un personaggio creativo che opera nel mondo dei fiori. L’abitazione è risolta con un rivestimento in foratini spezzati e lasciati in vista.
La qualità principale di Pujatti ‒ dicevamo ‒ è la sua inesauribile generosità formale, unita all’ansia di sperimentare oltre i confini e alla capacità di non abbassare la guardia neanche di fronte ai temi più difficili. Altissimo, quasi un gigante, tanto da mettere tutti i suoi allievi in fuori scala, Stefano Pujatti è anche un eccezionale maestro. L’ho visto all’opera come tutor in Sicilia e il suo è stato senza dubbio il progetto più spiazzante, bello e intelligente di quella tornata di Architects meet in Selinunte. Si trattava di trovare luoghi di sosta e di riposo all’interno del Parco archeologico, un complesso ambientale delicatissimo che poco tollera intromissioni dissonanti o protagonismi ingombranti. Il suo progetto ha lavorato sul microclima prodotto da tubi che portavano l’acqua, nebulizzandola tra una zona e l’altra del complesso archeologico. Semplice, complesso, auto evidente.

ElasticoSpA+3, 1301 INN, Piancavallo 2013

ElasticoSpA+3, 1301 INN, Piancavallo 2013

1301 INN

Il progetto dove Pujatti dimostra tutta la sua elasticità è il recente 1301 INN, l’ampliamento di un hotel a Piancavallo, una stazione sciistica in provincia di Pordenone. Un intervento formalmente complesso se non spericolato, che però riesce a mettere d’accordo posizioni critiche molto diverse. Valerio Paolo Mosco, che detesta decostruttivismo e forme artatamente complesse, per esempio, ne ha parlato molto bene in una recente pubblicazione. Il tetto, esageratamente inclinato, risponde infatti a una ragione che Pujatti così riassume: “La forma segue la neve, la neve segue l’acqua, e tutte e due devono andare a terra”. E a ragioni funzionali corrispondono tutte le altre scelte che però alla fine determinano un oggetto poco comune, una presenza iconica che nega sé stessa. Come la anatra-coniglio esaminata da Wittgenstein, che appare alternativamente anatra o coniglio, questo hotel se lo guardi in un modo dice una cosa (sono un’icona), se lo guardi diversamente ne dice un’altra (sono un’opera funzionale). Inutile protestare: è proprio questa ambiguità congenita, questa richiesta continua e a tratti asfissiante di elasticità concettuale, la forza del talento di Pujatti.

Luigi Prestinenza Puglisi

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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