Architettura e comunità. La scuola InsideOut in Ghana
In un villaggio del Ghana, una coppia di architetti italiani ha progettato e realizzato in tempi record un complesso scolastico per ottanta studenti. Budget? 12mila euro.
Ricordate Maria Reiche, l’archeologa tedesca fotografa da Bruce Chatwin in cima alla scala, scelta per l’immagine guida di “Reporting from the front”? Era testimone della landa deserta della cattiva architettura, ma invitava anche a guardare avanti da una prospettiva inedita, per cogliere nuove e più ampie opportunità future dell’essere architetti ripartendo dalle radici del fare. Se a questo si aggiunge ogni possibile componente di disagio sociale ed economico che può fare da sfondo a necessità insediative cui un progetto è chiamato a rispondere, allora la dimensione pragmatica del fare architettura sarà altresì esistenziale. Quando in un villaggio sperduto del Ghana il vento spazza via l’unica scuola esistente, manca l’elettricità e il budget è così basso da non valere neanche lo sforzo di cercare una soluzione, ecco che l’architettura torna ad avere un ruolo-chiave nella vita della comunità se, nonostante tutto, riesce a restituire a quest’ultima un luogo per l’istruzione di ottanta bambini: InsideOut.
UNA SCUOLA IN TERRA CRUDA LAVORATA A MANO
Non solo un progetto, ma un workshop on site, in cui gli architetti-capo del team, Andrea Tabocchini e Francesca Vittorini, hanno affiancato i membri della comunità impegnati nella costruzione guidandoli alla riscoperta delle loro tradizioni costruttive, dei colori e delle texture da sempre nel loro imprinting. Come? Mostrandogli quanto le tecniche e i materiali della tradizione, già in loro possesso, siano una soluzione più attenta e pertinente allo scopo e al luogo di qualunque altra tecnologia “calata” dall’alto, dall’altrove, capace solo di creare slum a basso costo in situazioni di emergenza. “Occorre che l’architettura torni ad avere un ruolo primario nella società ‒ ma per farlo dobbiamo rimetterci in discussione e riconsiderare quali siano le vere priorità del nostro mestiere, cercare di trasformare ogni vincolo in opportunità, ogni input in elemento di progetto”, ha sottolineato l’architetto Tabocchini.
InsideOut è una costruzione in terra cruda lavorata a mano e colata in casseri di legname locale a realizzare setti paralleli sfalsati entro cui si articola lo spazio delle aule. Per la massima compattezza dei setti, poiché la sola terra reagirebbe in maniera incoerente all’apertura di varchi al suo interno, il dialogo con l’esterno avviene lungo le pareti opposte, tamponate con telai di legno a brise- soleil, completamente apribili e permeabili alla luce. Anche la copertura, rialzata rispetto al filo superiore dei setti con la stessa struttura in legno, contribuisce a far “piovere” luce solare all’interno. Uno spazio dai confini evanescenti, in incessante dialogo con l’esterno, rispettoso del modo di vivere dei piccoli fruitori.
IL VALORE SOCIALE DELL’ARCHITETTURA
12mila euro, 60 giorni di lavoro comunitario: uno fra i “progetti che lavorando sulla dimensione sociale e sulla capacità di generare emozioni riesce a stimolare la collettività tutta”, usando le parole di Andrea Tabocchini. E difatti questo lavoro ha dato grande impulso alla comunità, meritando, fra gli altri, alcuni riconoscimenti ‒ The Plan Award, il Rethinking the Future Sustainability Award e l’Archi-World Academy Award ‒, e la menzione da parte della testata Designboom come uno dei dieci migliori progetti di scuole al mondo del 2017. Alejandro Aravena in apertura della Biennale esordì: “Contro la scarsità di mezzi, ci vuole l’inventiva”. Ma anche, come InsideOut dimostra, l’umiltà e l’ascolto dei bisogni di una collettività per tradurli in una architettura originale con buonsenso.
‒ Aurelia Debellis
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