Architettura. Quando l’abitare è nomade
Case prefabbricate, container, roulotte. Le soluzioni abitative nomadi possono riservare piacevoli sorprese e comfort inaspettato. Ecco qualche esempio italiano ed estero.
In futuro vivremo tutti in moduli compatti, potenzialmente estendibili e, magari, in grado di “seguirci” nei nostri spostamenti temporanei? Pubblicato nell’ottobre 2017, il volume Nomadic Living – Relocatable Residences, curato dall’architetto tedesco Sibylle Kramer ed edito da Braun Publishing, si interroga sul futuro dell’abitare riunendo oltre quaranta esempi tra abitazioni private trasportabili e prototipi di compact smart living. Affascinanti, acuti, ready-to-use, i modelli selezionati riflettono un modo di intendere la casa ancora poco radicato nella società italiana; tuttavia, alle nostre latitudini, questo tipo di ricerca potrebbe incoraggiare lo sviluppo di modelli da adottare nelle cicliche situazioni di emergenza dovute alla fragilità e sismicità del territorio, potenziandone prestazioni e competitività economica.
Dimensioni contenute, impianti planimetrici scrupolosamente studiati, utilizzo di materiali sostenibili, affidabilità nel lungo periodo caratterizzano anche le “tiny houses”, altro fenomeno da osservare con attenzione anche per la versatilità di impiego delle soluzioni abitative proposte. Il mutato scenario professionale, accompagnato dal superamento dell’idea di possesso di una dimora in forma permanente nelle vicinanze del luogo di lavoro, sembra aver rinvigorito un ambito della progettazione architettonica con il quale già alcune autorevoli voci del passato si erano misurati: tra i casi eccellenti, vale la pena ricordare il Cabanon di Le Corbusier e la casa prefabbricata in legno e acciaio di Jean Prouvé.
GLI ESEMPI INTERNAZIONALI
In questi anni, a farsi largo sono progetti capaci di contenere gli investimenti, in particolare a livello di manutenzione, e, soprattutto, di offrire in maniera rapida, affidabile e intelligente risposte a crisi temporanee, dovute al cambiamento climatico, a tensioni sociali o ad altri fattori. Nell’impossibilità di prevedere quanto l’attuale vigore di questa materia inciderà nel tessuto urbano delle città del domani, gli esempi a disposizione consentono d’immaginare prospettive interessanti in termini di rigenerazione dello spazio pubblico, di riattivazione di aree periferiche, degradate, interstiziali o di rinnovamento dell’offerta ricettiva, specie in paesaggi ostili o remoti. Sviluppati dalla società svedese Add a Room, in cooperazione con l’architetto danese Lars Frank Nielsen, i moduli ONE + sembrano esprimersi al massimo del loro potenziale a contatto con la natura. Attraverso la Builder App, disponibile sul sito, ciascun utente può assemblare la propria casa ideale, associando alla struttura base – disponibile in varianti da 10 a 25 mq, con o senza veranda, cucina, panca e sauna all’esterno – una serie di elementi in grado di rispondere alle esigenze individuali. Si possiede un terreno in collina, con vista mozzafiato sul paesaggio? In quel caso varrà la pena prendere in considerazione la possibilità di inserire una vetrata panoramica, ovvero una delle opzioni in lista. “We focus on sustainable materials from Scandinavia”, precisano i produttori, lasciando aperta sia la possibilità di monitorare, sempre mediante l’app, il budget complessivo di pari passo con l’inserimento dei desiderata, sia l’opzione di ricorrere a una delle configurazioni basiche.
Tetto a doppia falda e sobria essenzialità contraddistinguono la casa trasportabile ÁPH80. Progettata dallo studio Ábaton Arquitectura, in collaborazione con Batavia per l’interior design, dispone di tre distinte aree funzionali, utilizzabili in contemporanea, in una struttura mobile di 27 mq. Collocata al centro della dimora, la zona living è provvista di cucina e separa la camera da letto matrimoniale dai servizi, disposti alle due estremità.
Costituisce invece un unicum d’autore la lignea Winter Cabin sul Monte Kanin, nei pressi di Bovec/Plezzo, in Slovenia. Frutto della ricerca dello studio OFIS Arhitekti, coadiuvato da un’équipe di ingegneri e tecnici, questo rifugio di montagna per un massimo di nove scalatori sembra sfidare le leggi della statica. Accessibile solo a piedi o in elicottero, si relaziona con un contesto naturale climaticamente ostile dimostrando persino una certa audacia, come testimonia la porzione a sbalzo aperta su uno scenario mozzafiato.
L’ITALIA
E in Italia? La ricerca sul tema delle soluzioni abitative destinate allo spazio urbano ed extraurbano del futuro è al centro della rassegna/indagine Inhabits – Milano Design Village, la cui nuova edizione è andata in scena a Milano, nell’area intorno al Castello Sforzesco, durante il Fuorisalone 2018. Occasione d’incontro per progettisti, aziende e utenti interessati alle living unit e, più in generale, alle strutture multifunzionali di rapido montaggio e facile trasporto, l’appuntamento ha consentito di vedere dal vivo modelli di house unit selezionati tramite una call internazionale. In questa cornice, nell’aprile 2017 il già citato OFIS Arhitekti, insieme ai colleghi italiani di C+C, C28 e AKT II e in collaborazione con il contractor Permiz, ha presentato Livingmodule. In antitesi rispetto ai modelli precedenti, questa cellula abitativa minima di 10 mq di superficie consente l’aggregazione anche in verticale. Realizzata con un telaio ligneo, definito da pannelli in legno disposti all’interno e all’esterno, ciascuna unità base è in grado di accogliere due ospiti contemporaneamente; è possibile installare un bagno e una cucina essenziale. Ancoraggi in acciaio o blocchi di cemento rimovibili garantiscono il fissaggio al suolo, mentre la semplicità dell’installazione consente di impiegare Livingmodule come abitazione temporanea per ricerche in specifiche aree, in contesti emergenziali o come rifugio per soggiorni alternativi. E chissà che, dopo aver sperimentato una vacanza in un innovativo modulo compatto, anche qualche diffidente italiano non inizi a guardare con maggiore interesse verso queste proposte.
‒ Valentina Silvestrini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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