L’improbabile tassonomia dei “peggiori” e dei “migliori” dell’architettura italiana

L’intervento numero 39 della serie che Luigi Prestinenza Puglisi sta dedicando agli architetti italiani ha acceso il dibattito tra gli addetti del settore. Il primo dei due punti di vista sulla progettista che pubblicheremo è firmato dall’architetto Vincenzo Latina.

L’esercizio di critica è un diritto costituzionale, la libertà di critica è un imprescindibile valore che va difeso. La critica dovrebbe essere spietata, fredda, misurata, precisa e tagliente, dovrebbe offrire visioni oblique, trasversali. La critica non potrà mai essere imparziale, ma allo stesso modo dovrebbe essere distaccata, se pur alla ricerca della verità, la quale è generalmente frutto di una parziale visione degli eventi. Il diritto di critica va disciplinato tra libertà e limiti. A differenza dello storico, il critico si espone maggiormente, pertanto va difeso dal rischio dell’omologazione, anche dal rischio di prendere facili abbagli. Di recensire, severamente e criticamente, luoghi, cose e persone aumentando la schiera dei delusi, degli insoddisfatti, i così detti “nemici”. Allo stesso modo il critico può correre il rischio di trarne “vantaggio”, diventando un facilitatore di programmi, investimenti, operazioni commerciali di taluni o promuovere dei prodotti, magari per qualche, più o meno oscuro, tornaconto.
Negli ultimi anni ho preso le distanze da chi promuove la critica spettacolo, infarcita di proposte shock; dal rischio del populismo mediatico che ne deriva. Ormai è un fenomeno già ricorrente e dilagante nella società italiana. Generalmente la critica eccessivamente plateale è infarcita di gossip, al pari di qualche intrattenimento televisivo domenicale, che deve mantenere alto l’audience e perciò a volte deve ricorrere al canzonatorio.
La critica delle freccette, alcune avvelenate, ai “nemici”, altre… di “cupido”, quelle zuccherine per agli “amici” da esaltare. La tassonomia dei buoni e dei cattivi, e poi… gli altri; divisi per categorie, isolati dal loro contesto storico, quella che tocca la superficie delle cose, immediatamente visibile e riconoscibile ai più. Il rischio di questo genere di critica è quello di scambiare i lettori con i follower. Per mantenere l’attenzione degli assuefatti, e forse anestetizzati, seguaci alcuni critici devono “sparare” sempre più in alto, così da mantenere costante la soglia di attenzione. Sono i rischi del web e dei nuovi social media, possono trasformare il critico “blogger” in ostaggio del consenso, del “like”. L’insoddisfazione dell’ampia platea mediatica, il desiderio di rivalsa, le latenti insoddisfazioni personali a volte facilitano improvvisati tribunali mediatici, pronti ad abbattere alcuni “miti”, magari per eleggerne altri.
Come già detto, la critica è pur sempre frutto di una visione parziale, e a volte sembra spingersi eccessivamente verso un tratteggiamento macchiettistico del soggetto criticato. Apprezziamo le gag, l’ironia, i commenti “a caldo” da Bar dello Sport, quelli del dopo partita della domenica sera, a partite appena concluse; quando ancora il tifo per la squadra del cuore induce, a volte, a eccedere nello sproloquio (comprensibile e divertente in clima sportivo, quello del dopo partita). Dire, invece, qualcosa di simile in altri ambiti, “a freddo”, a un player, “hai comprato l’arbitro”, sei una “fetecchia” al di fuori del rettangolo di gioco, rischia di diventare particolarmente sconveniente e volgare perché potrebbe interferire con la sfera privata.

Gae Aulenti, 2005. Photo Ruven Afanador

Gae Aulenti, 2005. Photo Ruven Afanador

AULENTI E ROSY BINDI

Tra gli architetti della lista, finita nella rete di Luigi Prestinenza Puglisi, vi è Gae Aulenti. Ricordo bene la sua ultima uscita pubblica, era il 16 ottobre 2012: io c’ero. Era per il conferimento della Medaglia d’Oro alla carriera a Maria Giuseppina Grasso Cannizzo,Vittorio Gregotti, alla stessa Aulenti e della Medaglia d’Oro all’opera il Padiglione di ingresso agli scavi dell’Artemision di Siracusa. Non mi soffermerò sul personale ricordo di quel giorno, legato alla mia sfera affettiva ed emotiva. Il giorno dopo, Luigi Prestinenza Puglisi, in Edilizia e Territorio del Sole 24 Ore, pubblicava un piccato articolo dal titolo Opere opache e poco innovative: le Medaglie d’Oro non premiano il coraggio. L’articolo associava, con un esercizio di spiccata fantasia, l’architettura alla politica; Gregotti a D’Alema, Aulenti alla Rosy Bindi, e il Padiglione di ingresso agli scavi dell’Artemision di Siracusa (premiato con la medaglia d’oro all’opera) alla Duna della Fiat, a suo dire modello nato vecchio non particolarmente riuscito. A tal riguardo scriveva: “Cosa dire di un evento con premi assegnati a D’Alema, alla Bindi e alla Duna?”. La “critica” si fermava a un accostamento figurato del tutto sommario e provocatorio. L’ho interpretato come una boutade, una delle sue tante sparate. Non ho provato eccessivo disappunto per l’accostamento del Padiglione a una vecchia “Duna”, ma per l’accostamento, fuori luogo, di Gregotti e Gae Aulenti ad alcuni personaggi della politica nazionale, soprattutto perché Gae Aulenti, in quel momento, stava vivendo momenti di grande difficoltà. Il 31 ottobre, la notizia della sua scomparsa rimbalzò su tutti i giornali.

UN GIUDIZIO SEVERO

Come accennato, a distanza di alcuni anni, il titolone della “puntata” a effetto di Artribune del 7 agosto 2018: Architetti d’Italia. Gae Aulenti, la peggiore.
Il titolo apodittico e definitivo potrebbe sembrare una condanna capitale. Simile al severo giudizio di qualche anziano maestro della scuola elementare italiana degli Anni Trenta. Mi sono chiesto la peggiore di chi? Nel frattempo vengono indicate goffamente le “prime della classe”, con il rischio di suscitare, ad alcune “nominate”, un certo imbarazzo per un così goffo endorsement. Si lascia chiaramente intendere che Gae Aulenti è stata una sopravvalutata e forse raccomandata dai poteri forti, con committenti privilegiati e incarichi pubblici, anche grazie all’appoggio della famiglia Agnelli.

Elektra, scena IV. Archivio Gae Aulenti

Elektra, scena IV. Archivio Gae Aulenti

NON LA SOLITA RACCOMANDATA

Con molte difficoltà cerco di esercitare l’architettura, non sono un critico, non ambisco neanche a ricevere questa speciale “patente”. Allo stesso modo proverei un certo imbarazzo nel vestire i panni dell’avvocato difensore, non tocca a me difendere l’onorabilità dell’operato di Gae Aulenti. Non è il caso, non ne sarei capace, soprattutto non credo che ce ne sia bisogno.
Personalmente preferisco altri architetti, diversi linguaggi e architetture, a mio avviso meno “ridondanti”. In passato ho avuto modo di visitare alcune architetture di Aulenti, di apprezzarle e poi col tempo di cambiare la mia opinione in merito. Non per questo Gae Aulenti, star internazionale dell’architettura, del design e della scenografia, può essere diventata negli anni, d’un tratto con un colpo di penna, l’ultima della classe! “La solita raccomandata, quella sovrastimata”.
Gae Aulenti è stata negli Anni Ottanta e Novanta la prima donna architetto italiana riconosciuta in ambito europeo e internazionale, un fenomeno di stile, gusto e ricercatezza italiana nel mondo. Alcune opere e alcuni allestimenti, dal linguaggio spiccatamente postmoderno, nel tempo potrebbero sembrare stucchevoli, come gli allestimenti di Palazzo Grassi e gli interni museali della Gare d’Orsay, forse eccessivamente disegnati e frammentati. Non bisogna dimenticare che Palazzo Grassi e il Museo d’Orsay sono state anche delle autentiche pietre miliari nel campo del “riutilizzo” di edifici con destinazioni “altre”. Casi nei quali l’indifferenza degli edifici alle funzioni può diventare un valore aggiunto. Sono edifici che hanno veicolato nell’immaginario collettivo l’architetto, o meglio la donna architetto, simile a un “attore” di primordine. Gli interventi sono stati una efficace risposta all’atteggiamento francese, forse eccessivamente sbrigativo, che procedeva facilmente con le demolizioni, e quello italiano, all’opposto, fin troppo conservatore.

L’INTERESSE PER LA SCENOGRAFIA

Mi chiedo, nel descrivere il profilo di Gae Aulenti, come si possa omettere del tutto il suo interesse per la scenografia, campo nel quale ha realizzato alcuni autentici capolavori, come non si possa cogliere il suo speciale sodalizio con Luca Ronconi, dal quale scaturirono straordinarie scenografie teatrali; dal 1974 al 2005 ebbe luogo una sorprendente e trentennale collaborazione (che qualcuno cancella con un colpo di gomma). Sono almeno sedici le scenografie teatrali della Aulenti per opere che hanno visto la regia di Luca Ronconi. In alcuni casi ha disegnato anche i costumi di scena. Le scenografie di Gae Aulenti sono autentiche architetture, non sono mica di serie “B”. Tra le ultime scenografie mi piace ricordare quella dell’Elettra del 1994 ‒ con direttore d’orchestra Giuseppe Sinopoli e la regia di Luca Ronconi –, nelle quali mette in scena un mattatoio, altro che il color confetto da molti richiamato nei precedenti allestimenti museali. L’imponente dimensione della scena, la crudezza e la potenza espressiva fanno diventare, nel suo dramma, le scenografie delle autentiche opere d’arte. Gae Aulenti, in un colloquio con Enrico Groppali, descrive le scene di Elettra: “Intonaci d’asfalto, lamiere pressate, piastrelle da lavatoio pubblico. Tutto, dal bianco al verde al bitume fuligginoso e macabro, concorre all’idea di un lager. Gli animali insieme reali e simbolici che entrano lateralmente devono potenziare questa atmosfera da macello e da massacro, da mattatoio e da mattanza. (…) La scena è un muro cieco all’arrivo di Oreste, una parete inaccessibile e quasi impenetrabile da cui si ritaglia una porticina bassa che pare una feritoia”.
Carmelo di Gennaro sul Sole 24 Ore scrive: “Interessante, invece, l’idea di movimentare l’atto unico con una serie di cambi di scena (…), che modificano di volta in volta la prospettiva. Il pubblico scaligero (improvvisamente scopertosi fervente straussiano) ha regalato al debutto un clamoroso e meritato successo”.

Lampada da tavolo Pipistrello,1965. Archivio Gae Aulenti

Lampada da tavolo Pipistrello,1965. Archivio Gae Aulenti

“HO SEMPRE FATTO FINTA DI NIENTE”

Si potrebbe continuare ancora con la descrizione di alcuni arredi, degli oggetti di design, più o meno riusciti. La lampada Pipistrello, che piaccia o no, ha goduto di un successo duraturo nel tempo, con l’edizione di diverse versioni; una particolarità nel design.
Narra Vittorio Gregotti che Gae Aulenti alla fine degli Anni Quaranta arrivava al Politecnico di Milano in Lambretta, cosa rara persino per la città di quel tempo. Nel periodo in cui a Milano tutti erano craxiani e socialisti, la Aulenti si pose criticamente nei confronti della predominante tendenza politica meneghina del momento, e pertanto, anche nei confronti del marito, Carlo Ripa di Meana, esponente di primo piano del Partito Socialista, appena diventato Presidente della Biennale di Venezia. Eppure avrebbe potuto raccogliere molti favori, e invece si dedicò, anche grazie a Luca Ronconi, al mondo del teatro. In un mondo profondamente maschilista ha saputo agire con forza e distacco, con esiti a volte particolarmente interessanti e altre volte meno. Un aneddoto (per chi apostrofa come “raccomandata” Gae Aulenti): “Anche se poi, arrivando a Parigi dopo aver vinto il concorso per il museo della Gare d’Orsay, le chiesero dove fosse l’architetto, avendo pensato che lei fosse la moglie”. Famosa è la sua riflessione, che denotava il suo speciale aplomb e senso della misura: “L’architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di niente”. Allo stesso modo, se fosse ancora tra noi, mi piace immaginare che avrebbe potuto rispondere con distacco: “Qualche critica è forse eccessivamente ruvida nel commento delle mie opere, ma ho sempre fatto finta di niente”.

Vincenzo Latina

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Vincenzo Latina

Vincenzo Latina

Vincenzo Latina nel 1989 si laurea in Architettura allo IUAV di Venezia. È professore di Composizione Architettonica presso l'Università degli Studi di Catania; è stato docente presso la Scuola di Architettura di Mendrisio, Università della Svizzera italiana. Ha redatto numerose…

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