In memoria di Robert Venturi. Il ricordo di Emilia Antonia De Vivo
“Imparare dal paesaggio esistente, per un architetto è un modo di essere rivoluzionario”. In seguito alla scomparsa del progettista statunitense, Pritzker Prize 1991, Artribune pubblicherà alcuni ricordi e ritratti. La prima a prendere la parola è Emilia Antonia De Vivo.
Robert Venturi ci ha lasciati. In eredità abbiamo la sua lezione sulla rivoluzione silenziosa dell’architettura ordinaria. L’architetto professore, che ha insegnato a generazioni di allievi architetti come imparare da Las Vegas, ci ha dato in regalo il movimento degli architetti ribelli e sconosciuti. Il suo motto preferito ‒ “Less is a bore” ‒ sorrideva scanzonato al mantra di Mies van Der Rohe “Less is more”, faceva marameo all’autocompiacimento di un Movimento Moderno troppo compreso nel purismo bianco del ‘togliere’, in deriva pericolosa verso il togliere vita naturale, spontanea, alle cose.
Da ribelli, non diremo chi Robert Venturi era, i premi che ha ricevuto, le opere che ha realizzato: esigiamo che la comunità dei ribelli li conosca a memoria, tutti; pretendiamo che sappia già, e bene, dove nasce e quando, la libertà di dire no, in architettura.
LA COMPLESSITÀ COME RISORSA E FONTE DI VITA
Due anni prima di partire per il viaggio che avrebbe cambiato la storia dell’Architettura Moderna, Venturi aveva scritto Complessità e Contraddizioni nell’Architettura, uno di quei libri da odiare o amare, dove si enunciava il diritto all’imperfezione, alla contraddizione, al brutto e alla complessità di spazio e fenomeni urbani come risorsa e fonte di vita, piuttosto che problema da risolvere, con la pretesa di farlo una volta e per sempre. Robert aveva conosciuto Denise Scott Brown nel 1960, senza forse immaginare che sarebbe rimasto al suo fianco per i successivi 58 anni. La sua formazione classica si compensava nell’approccio urbanistico militante di lei. Insieme, con un lavoro di ricerca costante, molto scritto, meno progettato, hanno allargato lo sguardo sulla città, sul ruolo simbolico che può avere l’architettura nel comunicare i valori dell’ambiente in cui ci troviamo a vivere. Insieme hanno aperto la strada al Postmoderno, indicando la via a un approccio meno rigido, non dogmatico più attento al contesto e alla scala di ogni intervento.
LEARNING FROM LAS VEGAS
Nell’agosto del 1968 è Denise che gli propone il viaggio studio a Las Vegas insieme a dieci studenti. Nel Nevada si stava creando una città dal nulla, a ritmi mai visti prima, senza regole, senza precedenti: occorreva andare lì a capirci qualcosa. Ma Las Vegas era tabù, gioco, vizio, un luogo da evitare per il club dell’intellighenzia modernista. Scegliere di studiarla era scandalo, effimeri e svagati i due (pazzi) architetti che osavano metterci piede. Las Vegas in sé sfidava i principi del modernismo, Bob e Denise erano lì per registrarne il processo. Dal viaggio nacque il libro della svolta di ogni tempo, da cui non si fa più ritorno. Ai tempi, Learning from Las Vegas era blasfemo: faceva parte delle passioni da coltivare in lettura clandestina, roba impronunciabile, pena esser tacciati di ingenua vacuità, vizio e trasgressione. Progetto, architettura e accademia, al tempo, erano ben altro. E invece cominciava a passare come un tam-tam, tradotto in tutte le lingue del mondo, perché tutti potessero sapere.
CON DENISE SCOTT BROWN
Abbiamo incontrato Denise Scott Brown lo scorso anno nella loro casa nel bosco di Philadelphia, una villa che lei adora chiamare “la mia magione”. La casa è una factory, di idee, di studi, di lavori di ricerca e progetti ancora in corso: Denise ha organizzato un enorme tavolo da lavoro nel living. All’ora di pranzo il tavolo si trasforma in un banco in cui sfilano i prodotti freschi coltivati lì vicino nella sua terra, cucinati per lei dalle sue collaboratrici, tutte architette. A intervista conclusa ci invita a pranzo, lì davanti allo schermo gigante del suo computer con le ciotoline in mano per continuare a discutere dei suoi prossimi progetti editoriali e nel frattempo assaggiare tutto, ma proprio tutto di ogni varietà di ortaggi e legumi. Le chiedo di Bob, lei abbassa gli occhi e la voce: “Preferirei non parlare di lui, il mondo sa già troppo”. Sento aprire la porta di là all’ingresso, lei si illumina e dà voce “Hi Dear!”. Un vocione un po’ rauco le risponde “I love you!”. Lei mi guarda e fa: “Vedi? Non passa giorno che non mi dica ti amo”.
LA VICENDA DEL MUSEO DI SAN DIEGO
Opere semplici, mai banali le realizzazioni dello studio Venturi Scott Brown insieme al collega Rauch, spesso non comprese, sottovalutate. Il caso più recente è il Museo di Arte Contemporanea di San Diego, di cui saranno demolite alcune porzioni per far posto a un progetto di espansione di Selldorf Architects. La comunità dei ribelli allievi di Bob oggi spera che la sua morte impedisca lo scempio, Bob da lassù riderà delle contraddizioni in cui ci ha lasciato.
Le nuove regole da Learning from Las Vegas contro la trappola del Moderno:
Pensare in piccolo.
Trarre spunti dall’ordinario.
Creare il nuovo anche scegliendo tra il vecchio e l’esistente.
Ri-considerare l’oggetto familiare anche estraniato dal suo contesto, perché possiede un potere strano e rivelatore.
Distorsione nella forma / cambio di scala / cambio nel contesto.
Allusione al passato / al presente / ai grandi luoghi comuni / ai vecchi cliché.
Inclusione dell’ambiente quotidiano, sacro e profano.
Il simbolismo è essenziale in architettura.
‒ Emilia Antonia De Vivo
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