The Swamp Pavilion. L’esordio della Lituania alla Biennale di Architettura di Venezia
Curato dagli artisti-curatori Nomeda e Gediminas Urbonas, il padiglione lituano oltrepassa la dimensione nazionale per analizzare il contesto lagunare e il panorama globale. Tra iniquità e urgenze ambientali.
Il contributo della Lituania alla Biennale di Architettura di Venezia intende ridefinire e mettere in discussione categorie geografiche predefinite e indagare ecosistemi per proiettarli in un futuro possibile. Lo spazio acquitrinoso della palude è il protagonista di The Swamp Pavilion ‒ questo il titolo del padiglione e del progetto curatoriale ‒ che ha interconnesso discipline diverse: scienza, arte, architettura, pedagogia, biologia. Alla sua prima partecipazione alla Biennale, il padiglione reinventa e decolonizza la disciplina architettonica, circumnavigando la mera identità nazionale e il concetto di padiglione nazionale in quanto riduttivo nella scena geopolitica globalizzata, per proiettarsi su due diverse dimensioni: l’ecosistema acquitrinoso di Venezia, con la sua immagine di decadente bellezza, minacciata però ogni giorno dalla presenza dei turisti e dal suo progressivo inesorabile affondamento, e quello planetario, con la sua precarietà politica, instabilità e iniquità economica. Contaminando gli studi pioneristici sulla palude lituana di Aukstumala dell’inizio del Novecento, compiuti dal botanico tedesco Carl Albert Weber, con le visioni cibernetiche di Stafford Beer, gli artisti-curatori Nomeda e Gediminas Urbonas hanno individuato nella palude, nel suo essere al tempo stesso acqua e terra, una metafora delle pratiche progettuali contemporanee, che dialogano e s’innestano su ambiti diversi come ecologia, economia, politica e tecnologia.
OLTRE 200 INTELLETTUALI COINVOLTI
Il padiglione è una piattaforma di ricerca ideata per raccogliere opere e installazioni visive e sonore realizzate in Lituania, a Boston (gli Urbonas sono entrambi nati in Lituania ma da anni sono residenti negli Stati Uniti e Gediminas Urbonas è docente e direttore del programma Art, Culture and Technology al Massachusetts Institute of Technology), a Venezia, ad Anversa o in Lettonia, con investigazioni teoriche e ricerche sul campo, ossia nelle paludi stesse, raccolte nella Swamp School. Più di duecento intellettuali, tra architetti, sound artist, botanici, scienziati, artisti, sono stati coinvolti in workshop, sperimentazioni sonore, esplorazioni e camminamenti sulle isole e nelle paludi presenti nell’entroterra veneziano. Conferenze e incontri sono stati realizzati in collaborazione con diverse università e accademie internazionali, tra cui la Royal Academy di Anversa, la Princeton University, la FHNW di Basilea, l’University of Fine Arts di Amburgo, NABA di Milano, IUAV di Venezia, introdotte da una serie di conferenze intitolate Hello World? tenute dal research team del padiglione in Lituania lo scorso anno.
SWAMP SCHOOL
“Come possiamo co-esistere con la palude? Può essa giovare alle pratiche architettoniche contemporanee?”. Sono queste le domande che gli Urbonas hanno rivolto ai partecipanti alla Swamp School. All’interno del padiglione la piattaforma educativa è stata suddivisa in tre diversi appuntamenti: Swamp Radio (on transmitting), dal 23 al 27 maggio, Futurity Island (on sympoietics), dal 25 al 30 giugno, e Commonism (On Cohabitation), dal 24 al 29 settembre.
Il primo, Swamp Radio (on transmitting), ha riguardato l’esplorazione e l’indagine acustica, attraverso il sound recording e la riproduzione dei suoni, perché i segnali acustici, dichiarano i curatori e gli artisti coinvolti, permettono di restituire la presenza degli organismi che vivono nella palude. È quanto suggeriva l’artista Juan Downey, che indagava l’architettura invisibile dei campi “energetici”, che possono essere restituiti nell’interscambio tra gli esseri viventi. Alle prime ore del mattino Jana Winderen ed Erin Genia hanno registrato i suoni delle paludi veneziane per individuare le vibrazioni dell’ecosistema e tradurli in una live performance il giorno successivo. Rasa Smite e Raitis Smits hanno lavorato con gli esperimenti di Biotricity, che permette di visualizzare l’elettricità prodotta dai batteri presenti nelle zone acquitrinose veneziane, rappresentati in tempo reale in una videoinstallazione nel padiglione, per mostrare le relazioni esistenti tra gli assetti biologici e i sistemi di calcolo computazionale. Rania Ghosn ed El Hadi Jazairy hanno presentato il loro ultimo libro, Geostories: Another Architecture for the Environment, manifesto per la sostenibilità ambientale, in cui invitano a riflettere sulla complessità del sistema terrestre. Petteri Nisunen e Tommi Grönlund, artisti di stanza a Helsinki, insieme a studenti e studiosi, hanno creato una mappa dei suoni di Venezia, solo per citare alcuni dei progetti presentati.
ANALIZZANDO I CAMBIAMENTI DEL PIANETA
Il secondo appuntamento, Futurity Island (on sympoietics), ha indagato su possibili, nuove forme di assetti ambientali per poter accompagnare e comprendere al meglio i cambiamenti in atto che necessitano di nuovi progetti e infrastrutture. Jennifer Gabrys ha presentato The Phyto-Sensor Toolkit, dispositivo digitale che permette di misurare il grado d’inquinamento e contaminazione ambientale. Progettato per essere usato all’aperto, il toolkit suggerisce quali alberi piantare per migliorare la qualità dell’aria. Swampification è il workshop tenuto da Lorena Bello e Brent D. Ryan, professori di architettura e urban design al MIT, che hanno chiesto ai partecipanti di immaginare un nuovo futuro per le terre paludose del sud del mondo. Prendendo come esempio e punto di partenza Cartagena de Indias, in Colombia, dove diverse paludi sono diventate l’habitat in cui vivono persone in difficoltà che fuggono dalla violenza che i cartelli della droga e le FARC hanno imposto per decenni nelle zone rurali, gli architetti hanno illustrato le potenzialità offerte dallo spazio acquitrinoso. Il terzo appuntamento, Commonism (On Cohabitation), ha visto studiosi e artisti riflettere sul significato del vivere comune nella società contemporanea. Doina Petrescu, fondatrice del collettivo francese Atelier d’Architecture Autogérée, ha presentato alcuni progetti tra cui Agrocité, laboratorio di rigenerazione dell’ecosistema urbano costruito a Gennevilliers, nella periferia nord-occidentale di Parigi. Una nutrita delegazione di antropologi, architetti e biologi islandesi ha discusso dei processi microbici dell’architettura vernacolare islandese. La lecture di Marco Scotini e Andris Brinkmanis ha indagato il Trattato di nomadologia di Deleuze e Guattari per declinarlo in istanze legate al nomadismo, all’ecologia e alle questioni di genere; Marco Baravalle si è occupato delle esperienze del Collettivo Teatro Documenta di Pistoia e delle azioni partecipate di Giuliano Scabia; Pascal Gielen ha invitato Antonio Negri e l’architetto Santiago Cirugeda a riflettere sulle infrastrutture economiche e abitative che permettono il vivere in comune.
SWAMP PAVILION
Tante le installazioni presenti nel padiglione (visitabile fino al 25 novembre). Olfactory infrastructure diffonde l’esperienza immersiva della palude; Camilla Alberti e Simona Cioce hanno indagato le specie vegetali presenti nella laguna veneziana e Matteo Messina ha raccolto e archiviato frammenti di detriti lì depositatisi. Sonic Void, ideata da Urbonas Studio, in collaborazione con Indre Umbrasaite e Tobias Putrih, presenta un network di tubature che venivano utilizzate per drenare le paludi. È una sorta di scheletro artificiale che indica quanto, nonostante le opere di bonifica per trasformare le paludi in zone agricole produttive e/o abitative, le paludi abbiano sempre resistito ai tentativi di antropizzazione. L’archivio dei suoni degli abitanti della palude, diffuso nell’installazione, è stato raccolto dal sound artist Francisco Lopez. “Fin dal 2004 con RAM (on collective intelligence) organizzata a Vilnius, e poi con il simposio Zooetics al MIT abbiamo sempre gravitato verso sistemi e infrastrutture complesse, che permettono di far emergere narrazioni spaziali e forme di pedagogia sperimentale e multidisciplinare”, affermano gli Urbonas che, soddisfatti degli esiti raccolti, stanno ora lavorando al libro Swamps and the New Imagination.
‒ Lorenza Pignatti
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