Legge per l’Architettura: cosa ne pensano gli architetti italiani? (I)
Abbiamo invitato architetti, critici e studiosi della disciplina, diversi per formazione, generazione di appartenenza e con esperienze professionali eterogenee, maturate nel nostro Paese e all’estero, a esprimersi sul tema di una eventuale Legge per l’Architettura. Il risultato è questo forum, che pubblicheremo in tre tappe: un’iniziativa di confronto e scambio, aperta ad accogliere ulteriori spunti di analisi e punti di vista. Se volete studiarvi anche le infografiche, beh, dovrete abbonarvi ad Artribune Magazine.
PERCHÈ UNA LEGGE PER L’ARCHITETURA – LABICS
Oggi la normativa italiana ‒ il codice degli appalti pubblici e il suo regolamento ‒ riconosce al progetto di architettura il ruolo di “fornitura di servizi, di ingegneria e architettura“. Il progetto di architettura non viene definito in nessun altro luogo giuridico. Da questo tema discendono moltissime distorsioni del processo edilizio italiano: dal fatto che in Italia all’architetto non è riconosciuto per legge un ruolo centrale ed esclusivo nel processo edilizio, cosa che avviene ad esempio in Francia e in Spagna e in molti altri Paesi europei, al fatto che la principale modalità di attribuzione degli incarichi siano le gare e non i concorsi di progettazione. Se infatti al progetto di architettura non è riconosciuto un valore intellettuale e dunque all’architetto un ruolo centrale per la trasformazione del territorio, può accadere, come accade in Italia, che i progetti siano redatti da soggetti che non hanno avuto una preparazione specifica, culturale e progettuale, ma solo una preparazione di natura tecnico/economica. Se al progetto di architettura non è riconosciuto un valore intellettuale, vince la logica che per l’attribuzione degli incarichi è necessario espletare delle gare di progettazione, in tutto e per tutto simili a quelle indette per le imprese, che prevedono per l’aggiudicazione ribassi oltre il 40%, e dove il criterio di valutazione è meramente quantitativo e non qualitativo.
Questo è il motivo per cui spesso i capigruppo nelle gare e, talvolta anche nei concorsi di architettura, debbano necessariamente essere le società di ingegneria, perché sono le sole che hanno i requisiti tecnico-economici per parteciparvi; così facendo, gli architetti avranno sempre un ruolo secondario nel processo edilizio e i giovani non riusciranno mai ad accedere al mondo del lavoro. Noi crediamo che il progetto di architettura, come avviene per altre forme artistiche, sia un’opera di ingegno e non una fornitura di servizi e in quanto tale debba essere valutato in base alle sue qualità specifiche e irriducibili e non a una valutazione puramente economica.
Naturalmente siamo consapevoli che questa è prima di tutto una battaglia culturale, che deve essere combattuta in tutte le sedi opportune. Una battaglia che vale sia per l’architettura contemporanea sia per l’architettura del Novecento. Se l’opera di architettura fosse considerata alla stessa stregua di altre forme d’arte, ci domandiamo, sarebbe stato possibile compiere quelle terribili alterazioni che oggi sta subendo, ad esempio, la Stazione Termini? Oppure, sarebbe concepibile che un capolavoro come l’edificio della Scherma di Moretti versi tutt’oggi in uno stato di abbandono? Una Legge per l’Architettura è prima di tutto sinonimo di civiltà; l’architettura non è un lusso ma un diritto per tutti.
Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori ‒ Labics
www.labics.it
LEGGE SULL’ARCHITETTURA, UNO SPO(R)T PER CHI? ‒ ALFONSO FEMIA
Nel novembre del 1996 avevo ideato e organizzato con alcuni amici un convegno dal nome Francia 2013 – Italia 10. Non si uccide anche così l’architettura dove, a valle delle disposizioni in materia di architettura e concorsi della allora Legge Merloni e della volontà, in quel periodo, di riaffermare, dopo alcuni decenni, un ruolo centrale del progetto di architettura per l’Italia avevamo invitato i principali esponenti francesi a raccontare la loro esperienza in un dibattito internazionale. Partivamo dal presupposto che la Francia era l’unico Paese in Europa che aveva ‒ il 3 gennaio del 1977 ‒ adottato la Legge 77-2 sull’architettura, e che confrontarsi con loro, dopo quasi vent’anni di esperienza in merito, poteva costituire un punto di riflessione per valutare e definire una ipotesi italiana sul tema concorsi e sul ruolo dell’architettura. Occorre ricordare sinteticamente che la Legge Francese all’Art. 1 recita: “L’architettura è un’espressione della cultura. La creazione architettonica, la qualità delle costruzioni, il loro inserimento armonioso nell’ambiente circostante, il rispetto dei paesaggi naturali o urbani, nonché del patrimonio, sono elementi di pubblico interesse. 1° I committenti sono tenuti a fare appello al concorso degli architetti …”.
Solo leggendo il titolo della legge e il primo articolo si definisce la spina dorsale e l’obiettivo chiaro della stessa: l’architettura è un bene di interesse pubblico, il concorso lo strumento per mettere a confronto le idee e per poterle scegliere secondo un percorso capace di essere esso stesso un processo culturale che faccia crescere tutta la filiera del progetto. Dal 1996 sono passati ventidue anni, e nel frattempo i numeri dei concorsi tra Italia e Francia non si è modificato particolarmente, con l’aggravante che qualche decina di concorsi in più ci saranno stati, ma la percentuale di questi che sono arrivati a essere realizzati è molto sconfortante, per non dire di più. Inoltre in questi vent’anni è cambiato tutto, realtà, società, processo, con le relative declinazioni perverse che hanno sempre di più allontanato l’architettura dal percorso quotidiano della Committenza Pubblica e lo hanno utilizzato, anche malamente, solo per rari casi di evidenza nazionale o internazionale. Allo stesso tempo si è modificato il peso e il ruolo della Committenza Pubblica per le difficoltà economiche e non solo. È cambiato, come contraltare, anche il ruolo della Committenza privata, che negli ultimi decenni utilizza piuttosto regolarmente lo strumento del concorso ma dentro le logiche di un committente privato che ha finalmente compreso che il progetto di architettura può essere un “valore” o perché cambiando la “struttura” della committenza, sempre più vicina nel bene o nel male a schemi di tipo anglosassone, spesso si preferisce scegliere il progetto attraverso un concorso, cosa molto apprezzabile, ma con crescenti richieste di progetti molto definiti nelle loro varie parti a dispetto di rimborsi spese non proporzionati alle richieste e/o alla complessità del progetto. Pertanto il processo si è evoluto e involuto allo stesso tempo. Forse perché manca una legislazione chiara e/o una volontà di applicare i principi descritti in diverse leggi? Oggi occorre ancora chiedersi se le leggi in essere in Italia in qualche modo non determinino già l’architettura un bene di interesse pubblico e non suggeriscano l’uso del concorso come modalità per scegliere il progetto. Tutto questo in luogo dell’utilizzo spasmodico di palliativi come gare metodologiche, determinate per lo più dal ribasso della offerta economica, dentro un sistema dove l’architettura non la sviluppa soltanto l’architetto, ma società di ingegneria e altre figure, che sono ovviamente più interessate a occupare il mercato e a crescere di fatturato e personale che non di ricerca sull’architettura e/o di riflessioni sul progetto di architettura. Siamo diventati anglosassoni senza esserne capaci e abbiamo perso la forza unica dell’essere mediterranei.
Esistono, dalla Costituzione (art. 9) ai vari articoli dei decreti che dal 1995 si sono susseguiti, gli elementi per determinare il giusto percorso, ma forse nessuno in maniera inequivocabile e semplice recita come la Legge francese. Allora forse se, data la machiavellica modalità tutta italiana di surf_are tra le leggi per affermare e negare o contraddire ogni cosa, una Legge che ha come titolo Legge per l’Architettura e che si articola in pochi e chiari articoli, ne diviene il rimando incontestabile e indiscutibile di come occorre operare…, allora sì una Legge per l’Architettura (intendendo l’Architettura non una questione legata agli architetti ma come lo strumento che deve gestire, immaginare, ricercare, studiare, proporre, la metamorfosi del reale rappresentata in una città, nel suo territorio e/o nel paesaggio che l’uomo via via definisce come sua azione nel rapporto con la natura e il territorio naturale), potrebbe essere utile. Mi piacerebbe pensare che sia una volontà culturale e operativa di immaginare il futuro, preservare il presente, e mettere in valore il passato, la molla che, a dispetto di ogni Legge, ci guidi nel nostro futuro, perché l’Architettura rappresenta l’umanità e non gli architetti.
Alfonso Femia ‒ Atelier(s) Alfonso Femia
www.atelierfemia.com/it/
L’INTERVENTO DEL MAXXI ARCHITETTURA – MARGHERITA GUCCIONE
Il MAXXI Architettura è un museo nazionale impegnato nella conservazione, valorizzazione e promozione dell’architettura del XX e XXI secolo. Si impegna attraverso le mostre e le diverse iniziative che attiva per la diffusione della conoscenza dell’architettura d’autore ma anche dell’architettura di qualità diffusa, che ha un ruolo rilevante nel disegno degli spazi urbani e dei paesaggi. Il museo vuole essere anche una voce e un punto di riferimento nel dibattito che in questo momento è centrato sulla definizione di una Legge per l’Architettura, in particolare pensiamo che siano tre gli ambiti su cui investire attenzione, cercando le azioni più efficaci per realizzare gli obiettivi e le finalità di una norma che metta al centro l’interesse pubblico dell’architettura di qualità.
Il primo tema è l’educazione. Costruire una conoscenza e consapevolezza nelle giovani generazioni e nei cittadini permette di rafforzare la considerazione rispetto al patrimonio storico e architettonico e rispetto al valore dell’architettura di qualità e al suo peso nella qualità della vita degli abitanti. La sensibilizzazione rispetto al ruolo dell’architetto e del progetto architettonico nella società porta a sviluppare un “bisogno di architettura” e dunque una ricerca di qualità.
Un secondo tema è il rafforzamento della committenza. Un governo consapevole del valore del progetto, dall’amministrazione centrale a quella sul territorio, mette in moto un processo virtuoso che innesca una fiducia nelle trasformazioni da attuare, grazie all’efficacia della committenza pubblica che si dovrebbe riverberare anche nella committenza privata. Il ruolo del governo, in particolare centrale, influisce inoltre decisamente nella definizione e miglioramento degli strumenti normativi e applicativi di settore. A questo si collega certamente la necessità di formare una committenza consapevole, capace di gestire le procedure con esperienza e sicurezza.
Connesso al secondo, il terzo tema guarda agli strumenti che garantiscono la qualità dell’architettura. Tra questi il concorso di progettazione ha senza dubbio un ruolo di rilievo. Dare spazio alla ricerca, all’elaborazione del progetto, alla professionalizzazione delle giovani generazioni e alla formazione permanente degli architetti sono questioni nodali, che discendono da un principio fondamentale: che l’opera di architettura va considerata e tutelata come produzione intellettuale, opera di ingegno e d’autore. Superando l’attribuzione del lavoro dell’architetto alla sfera dei servizi, per formulare concorsi pubblici e privati basati sul reale confronto di diverse soluzioni progettuali alla ricerca della migliore. Sono questi aspetti fondamentali se si vogliono pensare e realizzare città dove si vive bene.
Insieme a questo credo che il concorso sia da considerare uno strumento importante per tutto ciò che concerne la partecipazione dei cittadini ai processi di miglioramento della vita urbana e la promozione e diffusione con mostre, libri, convegni e momenti di confronto.
È proprio con questo spirito e finalità che il MAXXI Architettura ha promosso e organizzato tra luglio e ottobre gli incontri dal titolo Verso una legge per l’architettura. Attraverso il confronto tra esperti e amministratori si sono affrontati temi specifici come il panorama europeo e la gestione dei concorsi di architettura e temi più generali come la normativa vigente e il ruolo dell’architetto e dell’architettura nella società.
Margherita Guccione
www.maxxi.art
ANCORA SUL TEMA DELLA LEGGE PER L’ARCHITETTURA E UN INVITO, ANCHE, AGLI INGEGNERI – CLAUDIO SAVERINO
Il Paese dove ponti, viadotti e soffitti delle scuole crollano, dove i fiumi esondano, le montagne rovinano, i bulloni dei binari cedono, dove per ogni 100 costruzioni 20 sono abusive, dove patrimoni artistici giacciono abbandonati e interi centri storici crollano per terremoti, è un Paese a cui è venuto a mancare qualcosa di fondamentale. E questo qualcosa non è la manutenzione o la competenza tecnica. In una delle culle mondiali della civiltà urbana e architettonica, è venuta a mancare la capacità di Pro-gettare (gettare in avanti: meditare, pensare, inventare, pianificare, programmare, prevedere, predisporre) e di avere una Visione del Futuro. Responsabili: gli architetti, gli ingegneri, i geometri, i burocrati e i tecnocrati, la società civile, i giornalisti e infine, soprattutto, la Politica. Sempre indaffarata nelle imminenti e prossime elezioni.
Istintivamente non sentirei il bisogno di ancora altre Leggi che regolino e definiscano l’Architettura, cioè la massima Disciplina che progetta e costruisce le Qualità dell’Habitat in cui vivremo. Ma probabilmente mi sbaglio, perché un secolo è una distanza troppo grande per non rendere obsoleti gli strumenti normativi codificati nel trentennio fascista. Una Legge deve essere un Manifesto in grado di innescare in tutta la società civile, un radicale cambio culturale rispetto ai temi complessi del Progetto. Se sarà così, ben venga. In ultimo mi rivolgo agli amati cugini Ingegneri, che sorprendentemente hanno reagito a questa proposta di legge in modo rigido e quasi corporativistico. Le discipline ingegneristiche sono la faccia complementare di quelle architettoniche. Mi permetto di citare a memoria il grande Ingegnere strutturista Mario Salvadori, che nel 1980 scrisse Why Buildings Stand Up. Qui Salvadori dedica un capitolo all’inscindibile rapporto tra Architetto e Ingegnere, descrivendone il primo come multidisciplinare, sommario e sintetico ‒ per cui si dice di lui “che non sa nulla di tutto” ‒e il secondo come analitico e specialistico ‒ per cui si dice di lui “che sa tutto di niente!”. L’attitudine allo “sguardo d’insieme” dell’Architetto ne farebbe l’umile Regista di competenze e figure progettuali sempre più complesse, articolate e multidisciplinari. La posta in gioco è troppo alta per querelle fra parenti.
Claudio Saverino ‒ VUDAFIERI-SAVERINO PARTNERS
www.vudafierisaverino.it/
NON ABBIAMO BISOGNO DI LEGGI! – MASSIMO PIERATTELLI
Questa prima frase vuole essere un’esplicita provocazione, relativa all’annoso tema del Testo Unico dell’edilizia. In Italia siamo pieni di leggi, regolamenti, commi che rimandano ad altri decreti e regolamenti e che rendono il lavoro dell’architetto un equilibrismo normativo estremo, caratterizzato da interruzioni, integrazioni e annullamenti. Questo nuovo strumento, se realizzato, dovrà rappresentare una rottura totale e potente con il passato e con tutte le leggi a oggi presenti: il punto zero dal quale ripartire, non un ulteriore strumento capace solo di contraddire sé stesso oppure, ancor peggio, entrare in contrasto con i regolamenti normativi vigenti in ogni singolo comune e spesso superflui o di dubbia interpretazione. Una legge chiara e cristallina, facilmente applicabile a tutto il territorio italiano, non modificabile da alcun comune, nel quale ritrovare i principi normativi guida di tutto l’iter procedurale relativo a nuove costruzioni, ristrutturazioni e restauri. In Italia ogni organo o comune ha la possibilità di legiferare, creando molto spesso una sovrapposizione o uno sconfinamento di competenze. Un esempio concreto di cosa dovrebbe essere fatto è rappresentato dal regolamento edilizio nazionale, unico testo per tutta Italia, al quale però hanno dato la possibilità di esser cambiato a seconda delle esigenze dei comuni. Sembra infatti incredibile applicare modifiche a uno strumento di regolamentazione nazionale, per esigenze comunali molto spesso superflue e senza basi reali. Tutto questo dà anche origine a situazioni di sovrapposizioni di competenze tra i tre principali organi di controllo del nostro territorio: soprintendenza, commissione per il Paesaggio e Comune. In una città come Firenze sono frequenti i casi in cui, progetti approvati da Soprintendenza e Commissione per il Paesaggio subiscono modifiche estetiche da parte della Commissione edilizia comunale. Così facendo rimane impossibile interagire con le giuste autorità creando solamente confusione per il professionista e il committente.
In sintesi: ben venga una nuova Legge sull’Architettura a patto che rappresenti un cambiamento totale con il passato, caratterizzandosi come un nuovo e affidabile strumento normativo che possa tutelare il territorio, snellendo la soffocante burocrazia, garantendo tempi certi e pareri univoci.
Massimo Pierattelli
www.pierattelliarchitetture.it
‒ Valentina Silvestrini
Versione integrale dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #46
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