Rinasce a Roma l’ex Arsenale Clementino Pontificio. Parola ai progettisti dello studio Insula
È Insula architettura e ingegneria ad aggiudicarsi la gara per il restauro e la valorizzazione dell'ex Arsenale Clementino Pontificio, prossima sede della fondazione della Quadriennale di Roma. In questa intervista, Eugenio Cipollone fa il punto anche sugli altri interventi dello studio in progress nella Capitale.
Società d’architettura, di progettazione urbana ed ingegneria fondata nel 2002, Insula – dei soci Eugenio Cipollone, Paolo Orsini e Roberto Lorenzotti – è al centro della notizia per diversi progetti in corso a Roma. Tra tutti, il progetto di riconversione dell’Arsenale Pontificio, a Porta Portese. Voluto da Papa Clemente XI per sovrintendere l’attività doganale del porto fluviale, l’Arsenale è rimasto in funzione fino alla fine del XIX secolo. Da anni al centro di un’operazione di conservazione e ridefinizione da parte del MiBACT, sembra finalmente aver trovato la sua nuova vocazione, come sede stabile – aperta alla città – della Quadriennale di Roma.
Forse qualcosa si muove, anche a Roma. È freschissima la notizia che lo studio Insula si è aggiudicato la gara per il restauro e la valorizzazione dell’ex Arsenale Clementino Pontificio a Porta Portese. Potete raccontarci qualcosa di più sul progetto?
Il progetto prevede il recupero dell’intero complesso dell’ex Arsenale, coinvolgendo le Corderie ed il Magazzino del sale. Tutti gli edifici sono stati recentemente messi in sicurezza e consolidati dal MiBACT, che nel marzo 2018 ha firmato un accordo con la Fondazione La Quadriennale di Roma per una utilizzazione pubblica a forte valenza culturale. Il progetto preliminare, elaborato dagli uffici della Soprintendenza, prevede di insediare gli uffici e l’archivio/biblioteca della Fondazione all’interno della lunga manica delle Corderie, di adibire l’Arsenale a spazio per esposizioni ed eventi e di utilizzare il Magazzino del sale come caffetteria/bookshop. Al recupero dei manufatti storici del complesso si accompagna la riqualificazione dello spazio aperto, che potrà essere restituito all’uso pubblico, come “piazza delle arti” affacciata sul fiume e sulla città.
Cosa significa misurarsi con una preesistenza di questo tipo?
L’edificio dell’Arsenale rappresenta un’icona nello skyline del paesaggio del Tevere; il largo tetto a falda sostenuto dalla coppia di arconi con l’occhialone centrale, lo spazio aperto delle navate, in alto sull’argine del fiume, sono una testimonianza del rapporto che esisteva fra la città ed il Tevere. Per la città l’Arsenale simboleggia lo spazio della potenzialità, del progetto possibile: centinaia di tesi di laurea in restauro o in museografia si sono cimentate con questo tema, che lega la città, il paesaggio, i beni culturali. Le aspettative sono alte: occorre un atteggiamento realistico ed accorto, che ponga le basi per portare a termine l’operazione di recupero. D’altronde la concretezza sembra sia la cifra della committenza, che ha posto a gara direttamente il progetto esecutivo dell’opera.
A livello progettuale quali sono i punti forti della vostra proposta?
In questa fase la nostra proposta si è limitata a suggerire modifiche di buon senso, anticipando i criteri di intervento per i temi sensibili dell’intervento, peraltro già identificati nel progetto a base di gara: i serramenti degli arconi ogivali, l’inserimento del soppalco, la realizzazione di una sala conferenze, il disegno dello spazio aperto, la realizzazione della caffetteria. Tutti temi strettamente legati al progetto di gestione, che ci auguriamo possa essere sviluppato di pari passo con l’elaborazione del progetto di ristrutturazione degli edifici.
La Quadriennale, oggi con sede a villa Carpegna, è un’istituzione nazionale che ha il compito di promuovere l’arte contemporanea italiana. In che modo avete dialogato con loro per rileggere lo spazio dell’Arsenale?
I tempi ristretti e le modalità della gara non hanno permesso grandi forme di dialogo con l’istituzione della Quadriennale. Abbiamo cercato di interpretare le esigenze della Fondazione, che rappresenta il luogo dell’arte contemporanea a Roma. Questo richiede la realizzazione di uno spazio che sia manifesto dell’attività della Quadriennale e che tenga conto della estrema varietà delle forme artistiche contemporanee. Questa nuova sede richiede spazi che siano adatti alle attività di un’industria creativa non solo nel campo delle arti visive, ma anche in quello della fotografia, del design e dei nuovi media; affiancherà alle attività tradizionali un laboratorio di insegnamento, sperimentazione e produzione, candidandosi a gestire un nuovo significativo polo urbano dell’arte contemporanea.
Come?
Abbiamo tenuto conto di come questo sia un percorso in itinere, che richiederà diverse precisazioni che diano concretezza al progetto, ad oggi più possibile versatile. Certo, la disponibilità di questa nuova sede pone finalmente le basi per dare respiro alla Quadriennale. Le prossime fasi di sviluppo progettuale prevedranno contatti molto più strutturati per centrare il progetto sui reali fabbisogni dell’istituzione e per rendere l’Arsenale uno spazio aperto alla città.
Sempre nella Capitale, vi state occupando la ristrutturazione della sede romana dell’Istituto Archeologico Tedesco. Come procede?
La ristrutturazione dell’Istituto Archeologico Germanico è una sfida complicatissima e allo stesso tempo affascinante. Anzitutto per il grande valore simbolico che sia l’istituzione che l’edificio rappresentano per il governo tedesco. Si tratta del primo edificio pubblico costruito all’estero dalla giovane repubblica federale di Germania, nata dopo il disastro della seconda guerra mondiale. Il linguaggio dell’edificio fu quindi improntato al nuovo stile nazionale, una sobria contemporaneità che rinunciava a qualsiasi forma di autocelebrazione che all’epoca era ritenuta completamente fuori luogo. Un unico involucro regolare ingloba la biblioteca, gli uffici, le sale conferenza, i depositi, i laboratori e le residenze per i borsisti. Una serie di problematiche strutturali, che comporteranno l’adeguamento sismico delle strutture in calcestruzzo armato e il completo rifacimento degli impianti, ha determinato la demolizione integrale di tutti gli interni per approfondire il livello conoscitivo in funzione del progetto.
Come vi confronterete con questi presupposti?
Su espresso desiderio della committenza il progetto mantiene l’impronta stilistica dei primi anni Sessanta salvando più possibile gli elementi originali o reinterpretandoli in chiave contemporanea. Questo ha fatto sì che il nostro lavoro si collocasse a metà tra il restauro del moderno e il progetto contemporaneo. In questa occasione si è sviluppata la nostra collaborazione con gli studi tedeschi Wenzel+Wenzel, Bollinger+Grohmann e IGP con i quali abbiamo raggiunto un livello di approfondimento esecutivo dei dettagli mai fatto prima. Prevediamo di mandare il tutto in gara di appalto all’inizio del prossimo anno per iniziare i lavori nella seconda metà del 2019.
Proprio in cordata con Wenzel + Wenzel e con lo studio berlinese Kuehn Malvezzi Associates siete nella shortlist del concorso per il restauro e la riqualificazione in polo culturale dell’Istituto Poligrafico dello Stato all’Esquilino. Nonostante la spietata concorrenza di big italiani e stranieri, potete dirci qualcosa su questo progetto?
Qui possiamo parlare poco del progetto in quanto i lavori della giuria sono ancora in corso. Naturalmente siamo molto fiduciosi. La collaborazione con Kuehn-Malvezzi, ma anche con tutto il resto del gruppo di progettazione, che è articolatissimo, è stata di altissimo livello. Ci siamo trovati molto in sintonia con il loro approccio progettuale e siamo molto soddisfatti della proposta presentata. La concorrenza dei big è certamente già un risultato per un’opera che si propone come nuovo polo culturale della Capitale. E che ci auguriamo continui ad essere mantenuta su un registro alto.
Interventi su Roma, difficoltà e urgenza. Com’è lavorare in questa città? In quanto architetti, su cosa pensate bisognerebbe intervenire per far sì che torni ad essere un luogo competitivo e ricco di energie?
Sotto varie forme ci siamo sempre occupati della nostra città. Il nostro studio affonda le sue radici nel progetto urbano: abbiamo lavorato a vario titolo al progetto urbano Ostiense Marconi, al progetto urbano Flaminio Foro Italico, alla riqualificazione delle aree basilicali per il Giubileo, alla riqualificazione di via Giustiniano Imperatore, alla riqualificazione dell’area della stazione Tiburtina, all’ex Mattatoio di Testaccio, alla riqualificazione dei depositi ATAC, alla riqualificazione di Piazza Augusto Imperatore. Vedere tutte queste iniziative dilatarsi nel tempo, se non afflosciarsi e fallire miseramente una dopo l’altra, spesso senza proposte alternative; vedere amministrazioni che si susseguono senza dare mai continuità al lavoro di quella precedente è davvero mortificante, e non solo per noi progettisti. Il risultato è che le attività del nostro studio dai primi anni 2000 ad oggi si sono sempre più inesorabilmente spostate dal pubblico al privato. Manca una visione di quadro, l’idea di un interesse comune superiore agli schieramenti politici. Roma non è solo il suo centro storico, dove basterebbe sistemare il “vassoio” su cui poggiano i suoi tesori. Roma deve capire che per sopravvivere deve creare centri di interesse diffusi in tutto il suo tessuto.
Indicando una priorità, su cosa si dovrebbe iniziare?
Riteniamo che uno dei nodi più urgenti da affrontare sia quello della mobilità urbana. Una rete efficiente di trasporto è la base per creare inclusione sociale. A questo proposito ci sembra molto interessante la proposta di Metrovia, che oltre ad affrontare in modo strutturato e capillare il tema della mobilità urbana su ferro, pone con urgenza il tema del dialogo fra amministrazioni e della sinergia fra tutti gli interlocutori, per affrontare un realistico (e rivoluzionario) efficientamento delle reti già disponibili. E potrebbe costituire il palinsesto per una riqualificazione capillare della nostra città partendo dai nodi di intersezione della rete di trasporto pubblico.
Progetti futuri?
Abbiamo vari progetti in cantiere o in fase di sviluppo a Roma, quasi tutti di iniziativa privata. Il nostro sogno resta però quello di tornare ad occuparci dello spazio pubblico della nostra città; per questo il progetto dell’Arsenale ci rende particolarmente felici e inverte una tendenza.
-Giulia Mura
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