“È ora di combattere”. L’appello dell’architetto Gianluca Peluffo
Gianluca Peluffo riflette sulla vicenda connessa all’ampliamento di Palazzo dei Diamanti e guarda oltre. Incitando l’architettura a scendere in piazza.
Abbiamo una speranza. Che questa storia del Palazzo dei Diamanti di Ferrara, surreale comunque la si guardi, sia senza ritorno.
Ovvero stabilisca uno spartiacque definitivo fra i diritti di chi lavora, lo Stato di Diritto, il futuro delle nostre città, e la collettività.
Abbiamo una speranza facendoci sentire e vedere. Sì, scendendo in Piazza.
Non contro Sgarbi. No, al contrario. Io lo vorrei ringraziare, e gli amici dei Labics mi perdoneranno l’iperbole: Sgarbi in questa storia surreale è come il McGuffin nei film di Hitchcock, la figura, l’oggetto, l’evento che in una particolare situazione fa scattare un racconto, una storia appunto, in modo definitivo e magari sproporzionato rispetto alla sua stessa figura.
Senza la sua chiamata alle armi, senza la sua tracotanza, che quasi sempre offusca le sue osservazioni, talvolta anche sensate, questa ennesima infamia nei confronti della nostra professione e dell’architettura in Italia sarebbe passata inosservata. Scordiamoci di lui.
Scendiamo in piazza per l’architettura, le città, i cittadini e il loro futuro.
L’Architettura è un mestiere complesso, perché tocca la vita quotidiana delle persone e, nello stesso tempo, segna la storia, la cultura di un Paese. In Italia, dove la storia umana, urbana, paesaggistica e artistica è dentro alla genealogia di ogni cittadino, il mestiere dell’architetto è terribilmente difficile, proprio perché essere all’altezza, nella contemporaneità, del peso di questa storia, è una sfida da far tremare i polsi. Ma pensare nella contemporaneità è quanto è stato sempre fatto dagli italiani nei loro, tanti, momenti di splendore. Vogliamo arrenderci all’idea di essere decadenti e sottosviluppati?
Di non poter trasformare le nostre città?
Questa grandezza nella storia non è l’unico motivo per cui il nostro mestiere in Italia è difficile, terribilmente difficile, complesso, delicato e prezioso.
L’altro motivo che ci differenzia dal resto del mondo avanzato è l’arretratezza culturale del “sistema” architettura.
UNA QUESTIONE ELITARIA
Mi spiego meglio; siamo l’unico Paese occidentale, democratico, in cui la professione dell’architetto è rimasta ostinatamente elitaria.
Nonostante l’illusione dell’“università per tutti”. Guardiamo i nomi dei pochi architetti che sono sopravvissuti in Italia con visibilità nell’epoca del boom dei fondi e della sua crisi (fra il 1995 e oggi): a parte i brand del design, che si stanno accreditando come architetti sfruttando la commercialità del nome, oltre alla professionalità del prodotto, e le grosse società di ingegneria, che assicurano “certezza” e “sicurezza” di procedura, scopriamo praticamente solo nomi che sono stati in grado di sopravvivere con visibilità e successo per questioni familistiche e politiche (e sicuramente per qualità, che non sono però loro esclusiva).
La nostra generazione (i nati fra gli Anni Sessanta e Settanta), e ancora più drammaticamente quelle successive, ha sperato, sognato, di scardinare questo sistema. Prima noi (come 5+1AA) con il Palazzo del Cinema di Venezia, e poi oggi i Labics con il caso di Ferrara, forse meno importante come progetto ma eclatante per il modo più “pubblico” in cui il crimine è stato compiuto, ambedue appartenenti alla stessa generazione, rappresentiamo questo dato di fatto. Noi allora sconfiggemmo Fuksas, Moneo, Boeri e altri. La Biennale era guidata da un “cane sciolto” perché senza padroni (mi perdoni il Dott. Croff per la definizione), IUAV era stato tenuto fuori dal concorso. Poi il disastro. Nazionale e locale. Il “sistema Italia” dell’architettura non è democratico, non è aperto, non è diffuso.
I motivi sono innumerevoli. Dalla storia politica del dopoguerra, all’atteggiamento della stessa politica degli anni post tangentopoli, al sistema immobiliare.
L’unico metodo che ha dimostrato di funzionare per fare crescere la base della diffusione sociale della professione, e quindi l’innalzamento della sua qualità, applicato in un Paese da certi punti di vista a noi vicino come la Francia, è quello dei concorsi pubblici in due fasi su ogni opera pubblica.
Arriveremmo comunque terribilmente tardi, certo.
La legge francese è del 1977.
Ma facciamolo. Subito. Ora.
In un Paese in cui l’urbanistica, così come le opere pubbliche, veniva praticata non per competenza, ma per tessera di partito, la qualità del progetto è decaduta per mancanza di competizione, di ricerca.
Il mondo elitario, finché sono esistite ideologie collettive, praticava pubblicamente l’interesse comune. Le stesse élite che negli Anni Settanta oppure Ottanta vietavano la lettura di giornali come il Corriere della Sera nei propri studi professionali perché troppo conservatore, oggi vanno a cena o si fanno intervistare dai direttori di quegli stessi giornali. Oppure promuovono e sottoscrivono, sempre su quei giornali, iniziative elitarie come questa contro il concorso di Ferrara, contro un’idea di futuro possibile attraverso i concorsi. La cultura dell’individualismo del nostro cattivo presente fa sì che queste élite non abbiano alcuna spinta collettiva, nemmeno culturale e di socializzazione, ma le spinge a promuovere il proprio nome e i propri interessi. Esclusivamente e ossessivamente.
Il tanto vituperato Gregotti ha prodotto una rivista, Casabella, che metteva sul tavolo idee, da criticare, studiare, ma non parlava esclusivamente di se stesso, oppure Abitare di Italo Lupi, Domus di Mario Bellini ed Ermanno Ranzani, o la Lotus di Pierluigi Nicolin, o, meno diffusamente ma molto in profondità e libertà, Spazio e Società di Giancarlo De Carlo, e prima L’Architettura di Bruno Zevi.
I CONCORSI
Il CNAPPC, con il suo nuovo corso, ha di certo preso una strada non elitaria, per convinzione e condizione. Ha cercato la condivisione territoriale diffusa, per promuovere una Legge dell’Architettura.
Il Consiglio Nazionale del 2018 si è svolto a Roma, in casa del senatore Renzo Piano, simbolicamente in quell’Auditorium che, oggetto di un concorso, è un esempio virtuoso di trasformazione della città attraverso l’architettura.
Il senatore non si è presentato a promuovere, con la propria meritata e indiscutibile notorietà internazionale, una legge che propone lo strumento attraverso il quale egli stesso si è imposto nel mondo e nella Storia: il concorso.
Non ne sente la spinta, il bisogno. Pensa a fare del populismo con il terribile concetto del “rammendo”, o regalando progetti come nella imbarazzante storia del Ponte di Genova.
E cito solo lui perché ha spalle talmente larghe da alzarle senza fastidio.
Eppure, visto che le élite continuano a essere il potere, dovrebbero essere loro a promuovere l’interesse collettivo.
Perché, diciamolo chiaramente, non stiamo parlando dell’interesse degli architetti: l’architettura è sempre pubblica, è sempre bene comune. Allora, venuti meno prìncipi, papi e dittatori, davvero non esiste un modo per promuovere l’architettura di qualità, che faccia crescere progettisti, committenti e cittadini?
Sì, esiste: i concorsi.
I concorsi in due fasi sono l’unico strumento serio, democratico per fare crescere la qualità in modo diffuso.
Non per la genialità, non per i capolavori.
Quelli trascendono e non interessano il nostro discorso.
Per la qualità diffusa, la buona architettura, che inizia dal non fare danni, e arriva a rendere felici i cittadini, come essenziale e fondamentale obiettivo. Il progetto di Ferrara non faceva danni. Era un retro semiabbandonato di un edifico storico. Il polverone è una bufala comunicativa. Era un progetto quasi troppo timido. Di certo era rispettoso e poteva essere rimosso, fra dieci anni, senza alcun danno al bene storico.
È chiaro che non possiamo chiedere alle élite di cedere il loro potere.
È successo talmente poche volte con élite illuminate che oggi, con la poca luce che da loro emana, sembra davvero ridicolo pretenderlo.
L’Italia è prima di tutto fatta di città. Nel suo corpo, nella sua storia, nel suo futuro. Qualche rara città metropolitana, moltissime straordinarie e spesso ferite città di provincia.
Propongo allora che si costruisca una lobby delle città, più efficace e snella dell’ANCI, capace di proporre, per la propria sopravvivenza economica, culturale, una serie di riforme legislative riguardanti l’urbanistica, l’architettura, lo sviluppo e il recupero, compresa quella dell’Architettura elaborata dal CNAPPC.
Propongo che il CNAPPC stesso si faccia consulente di questa lobby di città metropolitane e di quella delle città medie e piccole, per elaborare una riforma radicale del modo di pensare il loro futuro e quello del Paese. Nelle periferie, nei centri abbandonati. Magari lasciando stare, se non strettamente necessario, monumenti indiscussi.
Ne va della loro e nostra sopravvivenza.
Prendete i piccoli centri terremotati negli ultimi dieci-quindici anni; prendete Genova; oppure Roma nella sua follia quotidiana.
Senza riforme in quel campo, semplificazioni e soluzioni, le nostre città storiche, portuali, industriali, direzionali, turistiche, universitarie, agricole, non sopravvivranno alla competizione internazionale.
SCENDERE IN PIAZZA
Abbiamo toccato il fondo. E lo abbiamo toccato nell’indifferenza generale.
Il ruggito artificiale di un orso da Luna Park forse ci ha svegliato.
È ora di combattere.
Scendiamo nelle piazze delle città, davanti al Ministero dei Beni Culturali, che ha recitato una misera parte in questa scena tragicomica, e protestiamo.
E poi sediamoci al tavolo delle città, con i sindaci, perché i loro interessi sono i nostri. E sono quelli dei cittadini.
E sono il futuro.
‒ Gianluca Peluffo
Gianluca Peluffo ha progettato e costruito con 5+1 AA, fra il 2005 e il 2017 la Nuova Sede della BNL a Roma Tiburtina, la Nuova Sede dell’Università IULM a Milano, la Nuova Sede dell’Agenzia Spaziale Italiana a Roma, le Sedi Direzionali del Ministero degli interni a Roma, la riconversione dei Docks di Marsiglia, e numerosi edifici scolastici, residenziali e per uffici.
Con “Gianluca Peluffo&Partners”, dal 2017, sta progettando e costruendo tre nuove città di fondazione in Egitto, la nuova Moschea di Sokhna, sempre in Egitto, il Borgo Vita a Cornedo Vicentino con residenze ad alta e bassa protezione per la Onlus “Domani per voi”, nuove residenze studentesche ad Enna. È docente presso lo IULM di Milano, dove si occupa del dialogo fra Arte e Architettura e alla ENA di Marrakech, dove insegna Progettazione architettonica. È Benemerito della Cultura del Ministero dei Beni Culturali e Accademico d’Onore dell’Accademia di Belle Arti di Perugia.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati