Come vivremo insieme? Verso la Biennale Architettura 2020 a Venezia
Il Presidente Paolo Baratta e il curatore Hashim Sarkis hanno introdotto le linee guida della 17. Mostra di Architettura di Venezia, che aprirà al pubblico il prossimo 23 maggio. How will we live together? è il tema dell’edizione 2020.
Si può analizzare ciascuna delle cinque parole che compongono la domanda, elevata a titolo, della prossima Biennale Architettura per cogliere, più in profondità rispetto a una lettura rapida, il senso della scelta compiuta da Hashim Sarkis. Nominato curatore della 17. Mostra di Architettura di Venezia nel dicembre scorso, proponendo il tema How will we live together? l’architetto di origini libanesi intende indirizzare le energie della comunità di professionisti che darà vita all’appuntamento internazionale verso un obiettivo preciso: “Immaginare degli spazi nei quali possiamo vivere generosamente insieme”. In questa accezione, come lui stesso ha precisato, ecco che “how” sottintende un riferimento alle tecniche e alle strategie da adottare ed esempi concreti; “will” va inteso anche nella sua accezione di “volontà”; “we” rivela un atteggiamento votato alla massima inclusione; “live” è un auspicio di sopravvivenza e di superamento dei contrasti; “together” diventa il richiamo verso azioni collettive, comunitarie. Il fatto che proprio a quest’ultimo vocabolo Sarkis abbia scelto di destinare larga parte del suo intervento incoraggia a pensare all’edizione 2020 della kermesse – dal 23 maggio al 29 novembre – come una delle più politicamente impegnate degli ultimi anni. Di sicuro già sappiamo che prende le mosse da una ritrovata consapevolezza del contesto attuale, contraddistinto “da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori”, come ha dichiarato nelle prime battute il curatore.
PER UN NUOVO CONTRATTO SPAZIALE
Accanto al richiamo, rivolto agli architetti invitati, a includere nei progetti curatoriali dei singoli Paesi – al momento sono 34 quelli che hanno confermato la propria presenza, come anticipato dal Presidente Baratta – il contributo di “altre figure professionali e gruppi di lavoro: artisti, costruttori, artigiani, ma anche politici, giornalisti, sociologi e cittadini comuni”, nella sua presentazione Sarkis ha affermato la necessità di adottare “un nuovo contratto spaziale”. Per il fondatore nel 1988 di HSS, a capo della School of Architecture and Planning del MIT, spetta all’architetto, nella duplicità del suo ruolo – “affabile convocatore e custode del contratto spaziale” – occuparsi della progettazione di spazi nei quali il concetto di “vivere generosamente insieme” possa essere efficacemente declinato. “Insieme come esseri umani che, malgrado la crescente individualità, desiderano connettersi tra loro e con le altre specie nello spazio digitale e in quello reale; insieme come nuove famiglie in cerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi; insieme come comunità emergenti che esigono equità, inclusione e identità spaziale; insieme trascendendo i confini politici per immaginare nuove geografie associative; e insieme come pianeta intento ad affrontare delle crisi che richiedono un’azione globale affinché possiamo continuare a vivere”, è senza dubbio il passaggio chiave del suo intervento, che lascia presupporre come la Biennale Architettura 2020 possa, prima di tutto, costituire l’occasione per una ricognizione sulla questione abitativa.
OBIETTIVI E ASPETTATIVE
Passando da Freespace del 2018 – che chiuse con 275.000 visitatori – a How will we live together? del 2020, dalla ricerca condotta da Hashim Sarkis e dai singoli paesi partecipanti, il Presidente Paolo Baratta si attende soprattutto “esempi di progettazione che oltre a informarci meglio su tante realtà e sulle tendenze e sui conflitti presenti, offrano alla nostra speranza l’immagine di un mondo che è al lavoro per affrontare quelle questioni”. Un richiamo alla concretezza e alla responsabilità sociale dell’architetto reso più urgente dal “dualismo” del panorama contemporaneo, in merito al quale è ormai impossibile coprirsi gli occhi. Proprio provando ad analizzare gli scenari a partire dal tema abitativo, per Baratta emerge infatti come per “una vasta area del pianeta la questione dell’abitare si pone tuttora nei suoi termini tradizionali ed elementari (spazi per proteggersi, per vivere, per condizioni abitative umanamente adeguate, spazi pubblici). Altre parti del mondo sono avviate verso nuove fasi del loro sviluppo nelle quali mutano (o sono già mutate) le condizioni del produrre, quelle dell’organizzazione del lavoro e degli scambi, della organizzazione delle società, delle comunità e dei nuclei famigliari, verso realtà spesso assai diverse da quelle per le quali sono stati pensati e realizzati gli sviluppi del territorio e quelli urbani ed edilizi del recente passato”. Alla luce di tali premesse teoriche, sarà ancora più interessante capire come l’architetto Alessandro Melis, scelto a marzo come curatore del Padiglione Italia, presenterà specificità e prospettive del contesto nazionale, anche eventualmente in relazione alla questione ambientale.
-Valentina Silvestrini
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